Stabilimento di origine: sempre più vicina la data in cui sarà tolto dalle etichette. Appello al Governo perché lo impedisca. Cosa si farà in caso di intossicazione da botulino? Aggiornamento del 28 novembre di Emilio Senesi dal ministero
Stabilimento di origine: sempre più vicina la data in cui sarà tolto dalle etichette. Appello al Governo perché lo impedisca. Cosa si farà in caso di intossicazione da botulino? Aggiornamento del 28 novembre di Emilio Senesi dal ministero
Dario Dongo 20 Novembre 2014Il Fatto Alimentare ha sempre evidenziato l’importanza della norma italiana che prescrive l’indicazione sulle etichette alimentari della sede dello stabilimento di produzione e/o confezionamento. Si tratta di una regola antica – a suo tempo accettata dalla Commissione europea per facilitare la gestione di richiami dal mercato urgenti, relativi a prodotti nocivi all’organismo. Questa indicazione rischia di sparire. Non è servita la petizione on line promossa qualche mese fa dal sito Io Leggo l’Etichetta e nemmeno l’interpellanza urgente presentata alla Camera dei Deputati dal Movimento 5 Stelle per mantenerla in vigore. Il Fatto Alimentare ritiene importante insistere con questa richiesta per agevolare il lavoro dei sanitari quando si trovano ad affrontare una seria emergenza alimentare.
Un esempio verosimile riguarda un’eventuale intossicazione da botulino. Dopo la visita al pronto soccorso dallo sventurato consumatore e la rassegna dei cibi assunti, occorre immediatamente identificare il prodotto e contattare lo stabilimento di produzione per allertare i cittadini. A questo punti ci sono due possibilità: risalire subito allo stabilimento di origine indicato sull’etichetta, oppure rintracciare lo stabilimento interpellando l’azienda che ha apposto il marchio sulla confezione e che magari ha la sede all’estero. Se il problema accade di sabato o domenica sarà necessario aspettare ore e forse giorni e il botulino potrebbe provocare altre vittime e forse dei morti. Non si tratta di un evento così improbabile e la Direzione generale per la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della salute sa di cosa stiamo parlando e sa che il rischio c’è ed è serio. In Italia l’allerta botulino è scattata tre volte negli ultimi 16 mesi!
Il secondo motivo per cui lo stabilimento di origine deve essere riportato sull’etichetta è quello di dare la possibilità ai consumatori di scegliere. Ciascuno ha il diritto di privilegiare i prodotti confezionati in Italia per favorire il mantenimento di posti di lavoro a livello locale e contribuire alla lotta contro le delocalizzazioni. Se anche in Italia prevarrà la “logica” delle multinazionali, potremo trovare sugli scaffali alimenti con una forte caratterizzazione italiana ma prodotti altrove.
Il deputato Giuseppe L’Abbate del Movimento 5 Stelle, ha saputo cogliere la questione sollevata da Il Fatto Alimentare e anche dal sito Io Leggo l’Etichetta che autonomamente ha raccolto 16.000 firme, con un’interrogazione rivolta al Governo e discussa pochi giorni fa (per ottenere notizie circa “gli intendimenti del Governo in ordine alla notifica alla Commissione europea, entro il termine del 14 dicembre 2014, della volontà di mantenere l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione alimentare per i prodotti realizzati e commercializzati in Italia”).
Il Viceministro dello sviluppo economico, Claudio De Vincenti, rispondendo all’interrogazione, ha riconosciuto «che non vi sono preclusioni a prevedere l’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento nel rispetto delle condizioni che il regolamento impone agli Stati membri…». Ha ribadito che «il Ministero dello sviluppo economico sta comunque procedendo nel lavoro di riassetto delle disposizioni nazionali in materia di etichettatura degli alimenti, compatibili con il regolamento, usando gli strumenti disponibili a legislazione vigente». Tuttavia, secondo De Vincenti «in tale contesto non appare possibile adottare i provvedimenti richiesti». La risposta è del tutto insoddisfacente perché il Viceministro non ha detto il motivo per cui manca la legge. Il deputato ha concluso con un esempio molto efficace dicendo: «Vede, io sono pugliese e conosco i prodotti della mia regione, per questo le chiedo se lei i taralli li comprerebbe da un’azienda che li produce e li confeziona in qualsiasi parte del mondo o comprerebbe un prodotto fatto e confezionato in Puglia, dove, magari, si conoscono le caratteristiche di questo prodotto tipico?»
Il problema è urgente perché se il Governo italiano non provvederà subito a notificare questa norma alla Commissione europea, dal 14 dicembre 2014 (data di applicazione del regolamento UE n.1169/2011) l’indicazione sull’etichetta della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento non ci sarà più. Da quanto ci risulta, il Ministero dello sviluppo economico non ha manifestato l’interesse al mantenimento della dicitura. Anzi pare che abbia manifestato la volontà di non mantenere la scritta attraverso una nota informativa diffusa alle associazioni delle varie categorie produttive lo scorso luglio e mai resa effettivamente pubblica.
Manca quasi un mese all’entrata in vigore del nuovo regolamento e per fare un decreto molto semplice servirebbe pochissimo tempo. Per questo rivolgiamo un appello al Governo affinché torni sui suoi passi e metta in atto tutte le misure per la tutela del nostro sistema-paese.
Dario Dongo
AGGIORNAMENTO DEL 28 NOVEMBRE 2014 SUL TAVOLO DELLE TRATTATIVE PRESSO IL MINISTERO
Sono uno dei due rappresentanti del CNCU (Consulta Nazionale Consumatori Utenti che riunisce le Associzioni dei Consumatori attive sul piano nazionale) al tavolo tecnico sull’etichettaggio aperto al MISE. Si è tenuta una riunione il 28 novembre e se ne terrà un’altra l’11 dicembre. Nel corso della riunione del 28/11 ho presentato la mia posizione a nome del CNCU. Tra gli altri argomenti, sono intervenuto sul tema dell’indicazione dello stabilimento di produzione. Vi riporto qui sotto il parere espresso, pensando di fare una cosa utile al dibattito in corso.
Consultazione su DPCM di modifica del D. lgs 109/92REG 1169
In merito al problema dell’indicazione dello stabilimento in cui avviene la lavorazione/confezionamento finale, si ribadisce che l’indicazione dello stabilimento è ritenuta un elemento importante nella scelta di un prodotto alimentare. La mancata indicazione dello stabilimento potrebbe essere un fattore discriminante per la non scelta di un certo tipo di prodotto a parità di prestazioni e contenuto. L’indicazione dello stabilimento è anche considerata come un fattore di credibilità per la produzione nazionale, di fiducia nel sistema della rintracciabilità e di certezza nei controlli degli organi di vigilanza.
A nostro modesto parere, si potrebbe proporre un marchio promozionale del “made in Italy” prendendo lo spunto dall’articolo 30 del decreto-legge n. 133 convertito nella legge n. 164/2014, che prevede l’elaborazione di un piano per la promozione straordinaria del made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia. Le imprese e gli operatori alimentari che vorranno aderire a questo marchio promozionale, dovranno inserire l’indicazione dello stabilimento di lavorazione/confezionamento situato in Italia. Se i Ministeri interessati vorranno intraprendere questa strada, il CNCU e le associazioni dei consumatori daranno un convinto appoggio.
Emilio Senesi
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La solita follia all’italiana!
Anche il Ministero dello sviluppo economico nella sua nota citata pare più interessato a mantenere il sistema sanzionatorio in riferimento all’ormai quasi ex D.Lgs n.109/92 piuttosto che intervenire sulla sede dello stabilimento, parametro essenziale come indicato dall’Avv. Dongo per la salute dei cittadini.
Il mese scorso, scrivevo nel post dedicato alla vicenda: “fare la cosa giusta per tutelare i cittadini, dovrebbe essere un dovere per lo Stato, senza che vi sia bisogno di una raccolta* di firme.”
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Leggo che la petizione di Ioleggol’etichetta ha raccolto 16.000 firme. E poi penso ai numeri dell‘indignazione facile del web di fronte a problemi meno importanti, se non addirittura a bufale…
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Meglio sarebbe incanalare tempo ed energie aderendo ad iniziative concrete, nel sostegno di iniziative atte a tutelare i “cittadini-consumatori”, evitando che si calino sempre più nei panni di “sudditi” e che mirino ad ottenere un reale cambiamento, così come fanno Avaaz, Oxfam ed altre organizzzazioni.
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Sarebbe poi il caso di ricordare quella 17enne americana che ha fatto piegare la testa a colossi come Coca Cola & Pepsi oppure a quei boicottaggi contro aumenti ingiustificati di prodotti alimentari.
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Meglio un “mi piace” in meno e qualche firma, seppur virtuale, in più.
Mi sembra evidente che il governo non privilegia gli interessi dei consumatori
buongiorno,
ma l’indicazione dello stabilimento di produzione non può ritenersi una indicazione facoltativa che il titolare del prodotto può apporre in etichetta a suo piacimento ?
Certo il produttore può indicarla in modo facoltativo
Non comprate i prodotti, soprattutto se alimentari, dove non è indicato il luogo di produzione. Saranno un pericolo per la salute pubblica. Chi tenta di sopprimere il luogo d’origine, è pagato dalle multinazionali.
concordo; se saremo ascoltati avremo un segnale di lungimiranza e onestà, altrimenti starà a noi escludere categoricamente l’acquisto dei prodotti senza indicazione dello stabilimento di produzione.
Ogni azienda è libera di scrivere tutte le informazioni che vuole (purchè veritiere) sulle confezioni dei propri prodotti alimentari.
Dunque non mi sembra che la mancanza dell’indirizzo della sede dello stabilimento di produzione obbligatorio in etichetta, sia una carenza informativa così importante.
E’ vero che in caso di allerte dover contattare il distributore e poi il produttore può essere un passaggio in più, ma non è detto che al sabato e alla domenica il distributore sia chiuso e il produttore sia aperto: probabilmente sono chiusi entrambi. Anzi, in molti casi il distributore è, grazie alle procedure di allerta, in possesso dei recapiti di emergenza del produttore, che possono velocizzare il ritiro ben più di un semplice indirizzo in etichetta.
Silvano, purtroppo nei casi di botulismo che abbiamo seguito negli ultimi 2 anni la velocità e la rapidità nell’informare i consumatori da parte delle autorità sanitarie ai massimi livelli (Ministero salute) ha lasciato molto a desiderare e alcune volte è stata addirittura disastrosa. Con l’indirizzo dello stabilimento l’intervento è sicuramente più rapido e immediato.
Il problema del botulismo è importante e urgente quando si verifica, ma, a mio parere, è molto significativo per il consumatore sapere dove viene prodotto quello che mangia; e ovviamente non è una questione di campanile.
Cosa si puo’ fare per avere la garanzia che il Governo notifichi questa norma? La Sicurezza Alimentare e quindi la salute dei consumtori deve essere garantita in primis dalle regole di un paese che si definisce civile!
Posso sbagliare, ma, ripeto, non credo che la presenza dell’indirizzo del produttore in etichetta sia l’elemento determinante per velocizzare gli avvisi delle autorità sanitarie anche nell’esempio citato dei casi di botulismo alimentare.
Solo un paio di commenti:
a) la domenica quanti stabilimenti sono aperti e produttivi e con personale pronto a rispondere?
b) il botulino non esiste in Europa? o altri possibili rischi legati ai prodotti alimentari? significa forse che tutta l’EU è una masnada di avventati senza scrupoli?
c) il boicottaggio mascherato da scelta consapevole finalizzata a supportare l’economia locale siamo sicuri che ci piaccia tanto? Premesso che a volume importiamo ben più del doppio di quello che esportiamo (chiaramente non siamo autosufficienti) saremmo contenti che all’estero tutti facessero così con il nostro prodotto perchè straniero? La libera circolazione delle merci ci piace solo quando escono da casa nostra? mi sembra un pò comodo.
Ma, al di là del botulino, degli stabilimenti chiusi o aperti (aspetti sicuramente rilevanti).. io voglio poter scegliere di consumare prodotti fatti in Italia, non solo o necessariamente per questioni qualitative ma anche per motivi patriottici..
Sono uno dei due rappresentanti del CNCU (Consulta Nazionale Consumatori Utenti che riunisce le Associzioni dei Consumatori attive sul piano nazionale) al tavolo tecnico sull’etichettaggio aperto al MISE. Si è tenuta una riunione il 28 novembre e se ne terrà un’altra l’11 dicembre. Nel corso della riunione del 28/11 ho presentato la mia posizione a nome del CNCU. Tra gli altri argomenti, sono intervenuto sul tema dell’indicazione dello stabilimento di produzione. Vi riporto qui sotto il parere espresso, pensando di fare una cosa utile al dibattito in corso.
TAVOLO ETICHETTATURA – Consultazione su DPCM di modifica del D. lgs 109/92REG 1169
SINTESI PARERE DR. EMILIO SENESI PER CONTO DI CNCU
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In merito al problema dell’indicazione dello stabilimento in cui avviene la lavorazione/confezionamento finale, si ribadisce che l’indicazione dello stabilimento è ritenuta un elemento importante nella scelta di un prodotto alimentare. La mancata indicazione dello stabilimento potrebbe essere un fattore discriminante per la non scelta di un certo tipo di prodotto a parità di prestazioni e contenuto. L’indicazione dello stabilimento è anche considerata come un fattore di credibilità per la produzione nazionale, di fiducia nel sistema della rintracciabilità e di certezza nei controlli degli organi di vigilanza.
A nostro modesto parere, si potrebbe proporre un marchio promozionale del “made in Italy” prendendo lo spunto dall’articolo 30 del decreto-legge n. 133 convertito nella legge n. 164/2014, che prevede l’elaborazione di un piano per la promozione straordinaria del made in Italy e l’attrazione degli investimenti in Italia. Le imprese e gli operatori alimentari che vorranno aderire a questo marchio promozionale, dovranno inserire l’indicazione dello stabilimento di lavorazione/confezionamento situato in Italia. Se i Ministeri interessati vorranno intraprendere questa strada, il CNCU e le associazioni dei consumatori daranno un convinto appoggio.
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