Un ipermercato dà ogni giorno 200 kg di prodotti alimentari alle onlus, nessuno però rivela l’ammontare dei rifiuti che finiscono nel cassonetto
Un ipermercato dà ogni giorno 200 kg di prodotti alimentari alle onlus, nessuno però rivela l’ammontare dei rifiuti che finiscono nel cassonetto
Valentina Murelli 13 Febbraio 2013Carne, pasta fresca e latticini troppo vicini alla data di scadenza oppure confezioni di riso, biscotti e conserve con qualche imperfezione vengono ritirati ogni giorno dagli scaffali dei supermercati. Che fine fanno? Tre le soluzioni possibili: vendite promozionali, donazioni nell’ambito di progetti di solidarietà o eliminazione nei rifiuti. Può sembrare davvero brutto che del cibo ancora buono finisca in pattumiera, ma una parte “fisiologica” di invenduto (o di invendibile) che non trova destinazione c’è sempre. Il punto è capire di quanto prodotto si tratta. È plausibile che non sia molto, trattandosi di un costo che si eviterebbe volentieri.
Abbiamo provato a chiedere ad alcune delle principali catene distributive italiane – Coop, Conad, Bennet, Auchan, Esselunga – qualche dato sia sulle donazioni di questo cibo, sia sulla merce che finisce nei rifiuti. Nel primo caso abbiamo ottenuto un buon livello di informazioni, mentre nel secondo un incomprensibile silenzio generalizzato, a parte Bennet, che non ha rivelato alcun dato. Vediamo meglio.
Secondo quanto riferito nell’ultimo Rapporto sociale, nel 2011 Coop ha donato oltre 3400 tonnellate di merce alimentare ad associazioni no-profit, come mense per poveri o case famiglia. Le donazioni sono avvenute nell’ambito del progetto Buon fine (detto anche Brutti ma buoni), che ha coinvolto 492 punti vendita (sui 1468 totali) e 827 associazioni. «Insomma, un buon modo per ridurre lo spreco del buon cibo, ridurre l’impatto ambientale della merce invenduta e promuovere un legame con il territorio» commenta Carmela Favarulo, del settore politiche sociali Coop. Oltre che per salvaguardare il potere d’acquisto di chi opera in ambito solidaristico». Ecco per esempio quanto ogni giorno cede alla solidarietà un ipermercato tipo di 10.000 metri quadri:
Categoria | Quantità media giornaliera ceduta per solidarietà (in kg)* |
Pasta di semola | 6 |
Farina | 3,9 |
Riso | 2 |
Conserve di pomodoro | 1,4 |
Freschi industriali | 48,6 |
Yogurt | 8,7 |
Latte | 11,9 |
Formaggi freschi | 8 |
Ortofrutta | 69,7 |
Carni rosse | 10,3 |
Polli e conigli | 21,2 |
Pane | 34,9 |
*I dati si riferiscono a una media tra vari iper mercati con una superficie di 10.000 mq
Un po’ più complesso il quadro delle donazioni a fini solidaristici di Conad che, ci fanno sapere dall’ufficio stampa, non ha un sistema univoco di trattamento. In alcuni casi, infatti, le donazioni vengono fatte in base a scelte dei singoli punti vendita (a parrocchie, enti caritatevoli o strutture solidali sul territorio ecc.) e in questo caso sono «praticamente impossibili da monitorare». In altri casi invece avvengono nell’ambito di progetti più strutturati, che fanno riferimento al circuito di Last Minute Market. Nell’ambito di Nordiconad, per esempio, nel corso del 2011 hanno aderito al progetto 20 punti vendita, che nel complesso hanno raccolto e distribuito 135 tonnellate di prodotti commestibili, per un valore di 455 mila euro. Un caso specifico è quello dell’iper E.Leclerc Conad di Modena, che ha donato in tutto 89 tonnellate di cibo, così suddiviso:
Categoria merceologica | % sul totale donato |
Ortofrutta | 65 |
Macelleria | 15 |
Generi vari | 11 |
Latticini | 5 |
Pane e pasticceria | 3 |
E ancora: Auchan ha attivi diversi progetti di solidarietà con Banco alimentare, Banco opere di carità, Cauto (cooperativa sociale) e Croce rossa italiana, che coinvolgono al momento 30 dei 51 ipermercati presenti sul territorio nazionale. «In questo contesto» hanno affermato dall’ufficio stampa, «Auchan dona merce per un importo complessivo di circa 854mila euro». Un caso-tipo è quello dell’ipermercato di Rescaldina, che nel 2012 ha donato in media 90-100 kg di merce. Per chiudere, Esselunga segnala un accordo con il Banco alimentare per la cessione di prodotti freschi (latticini, frutta e verdura) dai propri negozi (attualmente ne sono coinvolti una cinquantina), mentre dai centri distributivi il Banco ritira anche derrate secche. Esselunga dichiara di aver donato, nel complesso, 815 tonnellate di merce.
Dunque, chi più chi meno, chi in maniera organizzata e chi in maniera sporadica, chi da tempo e chi solo da poco, le principali catene distributive italiane donano merce in scadenza o con confezione danneggiata. Però è inevitabile che qualcosa finisca anche nei cassonetti: lo ammettono tutti, ma interrogati sulle quantità, nessuno si sbilancia. Conad parla di una «minima percentuale non monitorata» e Coop di «volume fisiologico di invenduto», mentre Esselunga si trincera dietro un elegante no comment e non rilascia dati, Auchan si limita a sottolineare genericamente di aver ottenuto ottimi livelli di differenziazione dei rifiuti. Sul tema sprechi alimentari, la Gdo preferisce non sbilanciarsi. Peccato: se è davvero così poca roba, perché nessuno vuole dire di quanto si tratta esattamente?
Il fatto alimentare ha già evidenziato in una nota lo spreco quotidiano di migliaia di litri di latte fresco, dovuto alla scelta di supermercati e ipermercati di restituire cartoni e bottiglie di prodotto che scade dopo due-tre giorni. Si tratta di latte che finisce nel circuito mangimistico. Questo spreco non viene preso in considerazione dalle catene, perchè per loro non rappresenta un costo, visto che le spese dell’operazione ricadono sul produttore.
Forse tra i lettori qualcuno conosce l’ammontare del cibo destinato al cassonetto dei rifiuti e ci può spiegare perchè le catene di supermercati non vogliono diffondere queste notizie. Aspettiamo fiduciosi.
Valentina Murelli
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giornalista scientifica
Non esiste una definizione condivisa di cosa sia spreco alimentare e la Commissione UE ne ha preso atto e ci sta lavorando. Ad esempio voi vi ostinate a considerare “spreco” il latte riutilizzato nel circuito mangimistico, mentre nella visione della distribuzione, poiché è riutilizzato, non lo è affatto. Ed ancora il pane che viene sempre mandato alle ditte mangimistiche o direttamente agli allevatori, voi lo considerato spreco, mentre mia nonna il pane avanzato che dava alle galline non lo considerava tale.
L’articolo è molto interessante e lo userò nella prossima riunione con la Commissione sul tema.
Ma applicare la legge del buon sammaritano prevista dal nostro ordinamento, no?
Cara Katya
la legge viene applicata e per fortuna senza imposizione dell’IVA come avviene in altri Paesi. Tuttavia c’è un oggettiva difficoltà a stabilire quali siano le procedure igienico sanitarie (catena del freddo ad esempio) da dover applicare nella distribuzione del cibo avanzato. Ogni ASL in Italia fa “legge” a se. La Commissione ha intenzione di fare una linea guida sull’argomento, per facilitare questo canale di riduzione dle cibo avanzato.
Ciao Luigi,
sono molto interessata alla Legge del Buon samaritano alla quale si riferisce Katia e vorrei avere indicazioni in modo da proporre all’amministrazione comunale ed alle associazioni no profit del Comune ove risiedo un progetto di recupero e riutilizzo dei prodotti invenduti o non più commercializzabili. Quali sono le Linee guisa alle quali ti riferisci? Fra quanto saranno pronte? Grazie per tutte le info che vorrai darmi