“Da consumarsi preferibilmente entro, ma spesso è ancora buono dopo…”: sì di Unilever e Carlsberg all’etichetta anti-spreco di Too Good to Go
“Da consumarsi preferibilmente entro, ma spesso è ancora buono dopo…”: sì di Unilever e Carlsberg all’etichetta anti-spreco di Too Good to Go
Giulia Crepaldi 18 Settembre 2019“Da consumarsi preferibilmente entro, ma spesso è ancora buono dopo…”. In italiano suonerebbe più o meno così, l’etichetta che 16 aziende, tra cui Unilever e Carlsberg, sperimenteranno in diversi paesi del Nord Europa per combattere lo spreco alimentare. L’idea, raccontata da FoodNavigator, è nata dalla collaborazione con la start up danese anti-spreco Too Good to Go, famosa per l’app che permette ai consumatori di comprare a prezzi scontatissimi gli avanzi della giornata di negozi, bar e ristoranti.
L’esperimento parte da una semplice considerazione: il 53% dei cittadini europei non conosce la differenza tra le diciture “da consumarsi entro…” e “da consumarsi preferibilmente entro il …”. La prima indica la data di scadenza, ovvero il giorno entro cui il prodotto (tipicamente fresco) deve essere consumato perché poi non è più garantita la sua sicurezza microbiologica. La seconda dicitura indica il termine minimo di conservazione, ovvero la data oltre la quale il prodotto si può consumare ancora anche se non è più garantita la qualità nutrizionale e organolettica. Questa confusione genera ogni anno tonnellate di spreco alimentare, che la start up vuole evitare adottando la nuova dicitura.
Tra le aziende che hanno aderito alla sperimentazione, Carlsberg ha annunciato che la nuova dicitura sarà presente sulle etichette di alcune birre (vedi foto sopra), mentre il gigante caseario danese Arla Foods lo aggiungerà sulle confezioni di alcuni marchi di latte. Unilever, invece, adotterà la nuova scritta sui nuovi prodotti, a partire da tre tipi di noodles istantanei a marchio Knorr che arriveranno in autunno sugli scaffali dei supermercati di Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Ottima iniziativa, soprattutto per i maniaci delle scadenze.
Per quelli “meno giovani” come me, ricorderanno che una volta le date di scadenza non c’erano…
Se il latte andava a male (irrancidiva), mia mamma lo bolliva e ci faceva una mini ricotta.
Se un pezzo di formaggio faceva la muffa, la si grattava via e si consumava il restante e così via.
Ancora oggi mi comporto così, nel mio bidone non ci finisce mai alcun alimento (o rarissimamanete, quando proprio non è più recuperabile in alcun modo).
Purtroppo la questione è più complicata di quanto sembra.
Proviamo a spiegarla nel modo più semplice possibile senza trascurare i principi di base.
Le scadenze sono spesso indicate per legge, come per il latte, lo yogurt, il pane fresco, …
Tali limiti sono da considerarsi invalicabili per le condizioni generali che devono garantire, ma potrebbero essere tranquillamente superate in specifiche e garantite condizioni. Il latte pastorizzato, se con carica microbica iniziale bassa, diciamo un millesimo dei limiti legali, trattamento di bonifica adeguato e correttamente controllato, confezionamento in asettico validato e verificato, conservazione a non più di 4 °C potrebbe durare molto di più dei giorni previsti per legge, forse anche il doppio o fino all’inevitabile acidificazione che lo fa cagliare e rendere inadatto al consumo per quello per cui sarebbe destinato.
Altra cosa sono tutti gli alimenti deperibili con data di scadenza decisa dal produttore, come prevede la norma di riferimento. Il problema è che quasi sempre a decidere tali termini è il commerciale e non la funzione tecnica, magari a fronte di studi specifici sulle effettive prestazioni di quello specifico alimento. L’analisi predittiva è stata di recente sconsigliata a livello europeo perché i risultati forniti sono sempre sottostime del problema globale.
Ancora più aleatorio è il tempo minimo di conservazione che dovrebbe essere valutato a fronte di specifici test di conservabilità sui microrganismi che l’analisi del rischio evidenzia. Listeria monocytogenes non deve essere considerato l’unico problema da affrontare ma può essere utile come riferimento metodologico per considerare il problema in tutti i suoi aspetti.
A volte non sono solo i patogeni a dare preoccupazioni ma potrebbero esserci degli alteranti altrettanto degni di considerazione.
In sintesi studio dei problemi specifici del singolo alimento nelle condizioni specifiche di preparazione, conservazione e consumo e definizione delle avvertenze per il consumatore per la miglior utilizzazione del prodotto a fronte di studi specifici sugli eventuali microrganismi a rischio.
I contaminanti chimici sono più subdoli perché normalmente agiscono per accumulo e non per tossicità acuta (se non aggiunti fraudolentemente, in dosi maggiori del consentito o per preparazioni non adeguate), con problematiche maggiori sulle modalità di studio per definirne la concentrazioni tollerabili.