Nel 2024 gli italiani hanno speso 639 milioni di euro per acquistare alimenti a base vegetale: sostituti di carne, latte, formaggi, yogurt e panna. Lo dicono i dati della società di ricerche di mercato Circana. Il fatturato cresce del 7,6% rispetto all’anno precedente, mentre il volume delle vendite, nello stesso anno, è aumentato del 6,5%. L’interesse per i sostituti vegetali è sempre più diffuso e non riguarda solamente vegetariani e vegani (che secondo il Rapporto Eurispes 2024 in totale sono il 9,5% degli italiani) ma un buon numero di persone che, per mantenersi in salute o per ridurre il proprio impatto ambientale, vogliono moderare il consumo di prodotti di origine animale e scelgono, almeno ogni tanto, un’alternativa vegetale.
Il parere dell’esperta sui sostituti vegetali
Ma dal punto di vista nutrizionale questi alimenti sono sempre preferibili rispetto agli omologhi animali? Ne abbiamo parlato con Roberta Alessandrini, nutrizionista appartenente alla Physicians Association for Nutrition International, associazione no-profit globale che si occupa della diffusione presso i medici dei principi di un’alimentazione sana.
“Secondo lo schema Eat-Lancet, riferimento condiviso per un’alimentazione salutare e sostenibile dal punto di vista ambientale, la nostra dieta dovrebbe essere ricca di frutta, verdura legumi e cereali, prevalentemente integrali. – Spiega Alessandrini. – Il consumo di alimenti di origine animale dovrebbe essere, viceversa, ridotto, limitando in particolare le carni rosse e quelle processate. In questo senso la tendenza a sostituire, almeno in parte, carne e latte con analoghi prodotti a base vegetale, è sicuramente positiva ed è da sostenere.”
Alcuni di questi alimenti, però, per esempio i burger vegetali, i sostituti dei salumi, o i formaggi spalmabili a base di soia, sono criticati perché appartengono al gruppo degli ultra processati, alimenti che, secondo diversi studi, favorirebbero l’insorgenza di malattie come diabete, obesità, patologie cardiovascolari e addirittura potrebbero aumentare la mortalità generale.

Gli ultra processati
Ma che cosa si intende con ultra processati? Il termine, indicato con UPF (ultra processed food) nella letteratura scientifica, fa riferimento alla classificazione Nova, ideata da Carlos Monteiro, un sistema che suddivide gli alimenti in quattro gruppi:
- Gruppo 1: cibi non processati o minimamente processati, quindi prodotti grezzi come foglie, semi e frutti di vegetali, carne e pesce non lavorati, uova e latte;
- Gruppo 2: ingredienti culinari lavorati, cioè alimenti ottenuti direttamente dalla trasformazione (taglio, pressione, raffinazione) di quelli del primo gruppo. Per esempio il sale, il miele e gli oli vegetali;
- Gruppo 3: alimenti processati. Sono alimenti semplici, ottenuti utilizzando ingredienti del primo e secondo gruppo, come per esempio i legumi lessati in scatola o il pesce affumicato;
- Gruppo 4: cibi ultra trasformati, preparazioni industriali con cinque o più ingredienti e sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina. Appartengono a questo gruppo buona parte degli alimenti confezionati, come prodotti da forno, bevande gassate, patatine fritte, gelati ecc.
La possibile associazione fra gli alimenti del gruppo Nova 4 e diverse patologie è nota sia nel mondo scientifico che fra i consumatori ed è in atto un dibattito sull’opportunità di attuare misure specifiche per limitarne il consumo.
Parlando, per esempio, di burger vegetali, prodotti che spesso hanno una lunga lista di ingredienti, che cosa dobbiamo pensarne?
“Fra i nutrizionisti e i ricercatori sono emerse recentemente posizioni che tendono a ridimensionare l’uso della classificazione Nova perché riconoscono che il grado di trasformazione non è necessariamente sinonimo di dannoso per la salute. – Dice Alessandrini. – Questo emerge in particolare in una review condotta da alcuni ricercatori italiani (sintetizzata qui) secondo i quali non è chiaro quali aspetti siano presi in considerazione nella definizione di Monteiro che sarebbe troppo vaga e non adatta a essere utilizzata nell’ambito di studi scientifici. Il termine stesso ‘ultra processato’ fa riferimento alle tecnologie utilizzate per produrre gli alimenti (per esempio pastorizzazione, concentrazione, estrusione ecc.), processi che non sono dannosi di per sé, ma l’effetto sulla salute dipende dal contesto in cui sono utilizzati”.
“Inoltre la stessa definizione del gruppo Nova 4 non valuta approfonditamente la composizione nutrizionale degli alimenti all’interno del gruppo, – spiega Alessandrini – ma attribuisce la stessa ‘etichetta’ negativa, per esempio, a un cracker molto salato e povero di fibre e a uno senza sale, a base di cereali integrali e ricco di fibra. Il focus è maggiormente sui processi utilizzati piuttosto che sugli ingredienti e sulla quantità di questi”.

Che cosa si dovrebbe considerare allora, per ‘superare’ questa classificazione e individuare in modo corretto gli alimenti più salutari?
“Per valutare se un dato prodotto, per esempio un burger vegetale, sia consigliabile oppure no, è importante considerare le caratteristiche nutrizionali, l’uso che ne facciamo nella nostra dieta e anche gli ingredienti che entrano nella preparazione. – Sottolinea la nutrizionista. – Uno studio condotto da Good Food Institute Europe (qui riassunto) dimostra che in media la qualità nutrizionale dei sostituti della carne, in Italia, è superiore rispetto alle carni tradizionali, in particolare per il maggiore contenuto di fibra e il minor apporto di grassi saturi e calorie. Questi alimenti però non sono tutti uguali, quindi è importante leggere le etichette ed evitare l’eccesso di grassi, di aromi e soprattutto di sale, un aspetto piuttosto critico. Per le persone vegane è utile poi scegliere alimenti fortificati, in modo da colmare le carenze vitaminiche cui possono andare incontro.”
In che modo dovremmo utilizzare i sostituti vegetali della carne?
“Sappiamo che gli italiani consumano una quantità eccessiva di carni rosse e di salumi, prodotti associati a un elevato rischio di cancro al colon-retto. – Fa notare Alessandrini – I sostituti vegetali sono utili soprattutto per abituarsi a ridurre le carni rosse e processate. Un würstel vegetale dovrebbe andare a sostituire per esempio un würstel di carne. I prodotti vegetali non dovrebbero invece andare a sostituire piatti salutari della tradizione, come pasta e fagioli, magari preparata in casa.”
La tabella riporta, a puro titolo di esempio, il confronto fra un burger vegetale e uno a base di carne, e fra un würstel di suino e uno a base vegetale. Confrontando i due prodotti vediamo che il sale, pari al 2,2% nel würstel vegetale e al 2% in quello di suino, è troppo elevato in entrambi i prodotti. I grassi, sono pari al 25 e al 28% nel prodotto di suino e in quello vegetale, rispettivamente, mentre i grassi saturi, che nel würstel di suino arrivano al 9,6%, in quello vegetale si fermano al 2,3%. Le fibre, assenti nel prodotto di suino, sono il 6,1% in quello vegetale. La valutazione del Nutri-Score1 è E per i würstel di suino e C per quelli vegetali.
La versione vegetale esce vincente anche dal confronto fra i burger: la percentuale ridotta di grassi saturi e quella elevata di fibre fanno guadagnare una A al burger di soia, mentre il prodotto a base di suino riceve una D. La valutazione dell’app Yuka2 mostra lo stesso andamento, ma risulta più ‘punitiva’ per i prodotti che contengono additivi considerati ‘da evitare’ come il nitrito di sodio e i difosfati-polifosfati.
Insomma, nel complesso i sostituti vegetali della carne sono prodotti interessanti, consigliabili come alternative a carni rosse e processate. Rimane importante, come al solito, leggere attentamente le etichette.
Note
1) Il Nutri-Score è un sistema di etichettatura, adottato in diversi Paesi europei, che valuta gli alimenti dal punto di vista nutrizionale attribuendo una lettera che va da A (per il più salutari) e E (per quelli da consumare in modo limitato) e i corrispondenti colori da verde intenso a rosso, passando per verde chiaro, giallo e arancione.
2) L’app Yuka è un sistema di valutazione degli alimenti che, oltre agli aspetti nutrizionali, considera la presenza di additivi alimentari e la loro tipologia.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.





a mio parere, anche gli additivi alimentari sono importanti nella valutazione di un prodotto di provenienza industriale (ultraprocessato), in quanto potrebbero appartenere a categorie che, da alcuni studi, avrebbero dimostrato reazioni negative nell’organismo umano, come infiammatorie e cancerogene (p.e. carragenine e nitriti/nitrati).