
Si accende ulteriormente, il dibattito sugli effetti degli alimenti ultra processati (UPF) sulla salute. A scatenare la discussione è un nuovo studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, che associa direttamente il consumo di cibo industriale a un aumento del rischio di morte per qualunque causa.
Il nesso, di per sé, è già stato suggerito in numerose altre ricerche, ma in questo caso ci sono due elementi che hanno fatto balzare immediatamente quella pubblicata in questi giorni sotto i riflettori della comunità scientifica: il confronto tra i dati di otto paesi molto diversi, e il fatto che tra gli autori vi sia Carlos Augusto Monteiro, ovvero il ricercatore brasiliano che per primo, nel 2009, a commento del libro di Michael Pollan Il dilemma dell’onnivoro, coniò il termine ultra processati, per poi proporre la classificazione NOVA, che suddivide gli alimenti in quattro categorie, la peggiore delle quali è appunto quella degli alimenti ultra processati.
Il nuovo studio di Monteiro
In questo caso, i ricercatori brasiliani sono partiti da alcuni dati fondamentali, il primo dei quali è la percentuale di calorie rappresentate da UPF nella dieta-tipo dei cittadini di otto paesi. Così, negli USA si arriva al 54,5%, in Regno Unito al 53,4%, in Canada al 43,7%, in Australia al 37,5%, in Messico al 24,9%, in Cile al 22,8%, in Brasile 17,4% e in Colombia ci si ferma al 15%. Come si vede, nel mondo anglosassone le calorie provengono ormai per metà circa da alimenti industriali, mentre in paesi con una tradizione culinaria diversa, e con un tasso di industrializzazione inferiore, le percentuali sono ancora relativamente basse, e gli UPF non rappresentano mai metà delle calorie.

Il passaggio successivo è stato verificare l’associazione tra l’aumento di UPF nella dieta e quello del rischio di morte. In base ai dati, in generale, per ogni 10% di calorie provenienti da un UPF si vede un +3% del rischio di morte.
Ultra processati e differenze geografiche
Ma la situazione cambia molto da paese a paese, perché il rapporto non è lineare. Il numero di decessi in più aumenta, relativamente, in misura maggiore via via che cresce il posto occupato dagli UPF nella dieta quotidiana. Così, nei paesi dove si consumano ancora (relativamente) pochi come la Colombia l’aumento, per ogni 10% di calorie da UPF l’incremento è del 4%, ma in quelli peggiori come Stati Uniti e Regno Unito è del 14%. Tradotto in persone decedute a causa di una delle 32 patologie associate al consumo di UPF, significa che 124.000 decessi negli USA e 18.000 nel Regno Unito si sarebbero potuti evitare, con una dieta migliore (in Colombia 2.800).
I commenti
Secondo gli autori non ci sono più dubbi sul fatto che concedere troppo spazio agli UPF significhi aumentare il rischio di sviluppare una o più delle decine di patologie associate e, quindi, di morte. Per questo è urgente varare norme che scoraggino il consumo di UPF, dalle tassazioni specifiche agli incentivi per gli alimenti più sani e meno processati, in attesa di capire a che cosa sia dovuto l’aumento di mortalità, se a fattori specifici come alcuni additivi o alla scomparsa di nutrienti indispensabili come le fibre. Inoltre, sarebbe necessario modificare le linee guida, e finanziare campagne educazionali che valorizzino le tradizioni culinarie locali.
Non tutti, però, concordano con i risultati cui sono giunti i ricercatori brasiliani. I dati provengono dalle statistiche ufficiali, ma fanno riferimento ad anni molto diversi, che spaziano dal 2010 del Cile al 2019 della Regno Unito, e questo li renderebbe non del tutto assimilabili. Soprattutto, però, nutrizionisti come Stephen Burgess, dell’Unità di biostatistica dell’università di Cambridge, nel Regno Unito, intervistato da Food Navigator, ricordano ancora una volta come questo tipo di ricerche possa indicare la coesistenza di due fenomeni – l’aumento di UPF nella dieta e quello dei decessi – ma non possa in alcun modo dimostrare quella di un rapporto causale tra i due fenomeni.
Infine, secondo altri come Alex Robinson, CEO della no profit britannica Hubbub, non bisogna generalizzare, e non si devono penalizzare ultra processati come i sostituti vegetali della carne, perché molto spesso non sono affatto pericolosi per la salute, anzi, e stanno dando un contributo importante alla diminuzione del consumo di carne.
Il dibattito continua.
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Giornalista scientifica
Quali sono le categorie di cibi ultra processati ?
Gli alimenti preconfezionati -freschi o a più lunga conservazione – pronti al consumo (sughi, minestre, pietanze, ecc) sono ultra processati ?
Il consumatore si deve riferire solo all’etichetta per presenza di eventuali additivi e/o conservanti ?
cercate su Youtube un video di Youtube “Quali sono i consigli per andare al supermercato?”
In breve: tutto quel che la vostra BISNONNA non riconosce come cibo, o contiene ingredienti che non conosce, lasciatelo sullo scaffale.
Le indagini epidemiologiche come quelle citate su aprono a diverse spiegazioni. Una può essere che chi mangia male e soprattutto cibi industriali è meno attento alla propria salute, fa meno controlli medici, non prende le medicine consigliate, non si muove, ecc.
Fa meno controlli medici? Non prende le medicine consigliate?
Finché parliamo che anche in Italia abbiamo perso l’abitudine a farci da soli le cose o cucinare, e questo è un problema, ma se parliamo di controlli medici, forse non sai che per una visita specialistica o un esame diagnostico occorrono mesi.
Circa le medicine penso che ne consumiamo anche troppe, e spesso inutilmente.
Ormai mangiare sano non sappiamo cosa sia.
Perché non inserire Educazione Civica, Ambientale e Alimentare nelle scuole?
Basterebbe poco per avere meno malati in giro ma…