La produzione di alimenti crea una quantità sempre maggiore di rifiuti: ogni anno in Italia si producono in media dodici milioni di tonnellate di scarti agroindustriali (dati 2013 Università di Milano), mentre l’industria alimentare considera “scarto” tra il 10 e il 60% , a seconda dei casi, della materia trattata. Anche se spesso si tratta di sostanze interessanti per il mercato. Tanto che negli ultimi anni, piuttosto che smaltire questi prodotti – con i relativi problemi di costi e impatto ambientale – o utilizzarli semplicemente come compost o biomassa, si studia come estrarne sostanze attive (zuccheri, antiossidanti, vitamine e altro ancora). Un vero e proprio cambio di prospettiva che trasforma gli scarti in byproduct, sottoprodotti da valorizzare anche al di fuori della filiera alimentare, generando una collaborazione virtuosa tra agricoltura, impresa e ricerca che impone nuove strategie produttive e commerciali.
Uno dei settori più promettenti in questo campo, insieme alla nutraceutica, è quello della cosmetica, «che possiamo considerare un destinatario naturale per sostanze attive con forti proprietà antiossidanti, idratanti, antinfiammatorie», spiega Fabio Apone, direttore scientifico di Arterra Bioscience, un’azienda biotecnologica italiana nata per produrre e commercializzare principi attivi utilizzabili in cosmetica estratti da scarti agricoli. «Ci rivolgiamo a un mercato potenzialmente amplissimo, anche tenendo conto che le materie prime destinate a questi impieghi devono essere biologicamente pure: le nostre produzioni hanno la certificazione Ecocert, e per questo utilizziamo materie prime provenienti da produzioni biologiche», spiega il ricercatore. Il campo di azione è comunque vasto, come Apone e colleghi spiegano in un articolo pubblicato sulla rivista Cosmetics che fa il punto sulle esperienze più interessanti nel settore, italiane e non (l’articolo è disponibile online)
I ricercatori di Arterra puntano soprattutto sui prodotti del territorio, come uva, olive, pomodori. «Abbiamo visto ad esempio che dalle vinacce di Aglianico provenienti da una coltivazione biologica locale possono essere estratti composti oleosi utilizzabili per stimolare l’idratazione della pelle», spiega Apone. Per quanto riguarda le olive, le sostanze potenzialmente interessanti sono i polifenoli solubili in acqua dispersi nelle “acque di vegetazione” che derivano dalla spremitura dei frutti, e che di solito devono essere smaltite con costi aggiuntivi, «mentre possono essere una fonte a basso costo di materie prime utilizzabili per le loro proprietà antinfiammatorie».
Uno dei mercati potenzialmente più interessanti poi è quello del pomodoro, non solo per l’interesse commerciale del licopene – l’antiossidante che dà il colore rosso a questo vegetale – ma anche per la quantità di materia prima disponibile. La produzione annua di pomodori freschi a livello mondiale ammonta a circa 160 milioni di tonnellate, e almeno un quarto di queste sono destinate a lavorazione industriale. Resta il problema degli scarti, composti soprattutto da bucce, particolarmente ricche di antiossidante: “Oggi abbiamo trovato il modo di semplificare il processo di estrazione con un trattamento enzimatico che aumenta la quantità di licopene recuperato, riducendo al tempo stesso l’uso dei solventi tradizionalmente utilizzati per l’estrazione”, spiega Apone.
Un’altra risorsa importante sono gli agrumi, visto che circa un terzo della produzione mondiale di questi frutti è destinata alla lavorazione industriale, e soprattutto alla produzione di succhi. Ma anche di una gran quantità di scarti, ricchi di olii essenziali ma anche di altre sostanze, tra cui sbiancanti molto utilizzati in cosmetica soprattutto nei paesi asiatici: non è un caso che siano stati ricercatori coreani i primi a studiare il potere sbiancante dell’estratto di un agrume locale, il citrus unshiu o mandarancio giapponese. Un’esperienza che i biotecnologi italiani stanno ora cercando di riproporre con una varietà locale di limoni. Ma i prodotti su cui Arterra sta lavorando sono molti: dagli scarti di lavorazione di prodotti come la frutta secca confezionata o i chicchi di caffè – ricchissimi di antiossidanti – scartati per le imperfezioni prima della tostatura, all’ananas, il frutto tropicale più utilizzato nell’industria alimentare con una lavorazione che produce dal 25 al 35% di scarti.
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giornalista scientifica