Non fa sconti a nessuno il rapporto sulla contaminazione da carne di cavallo nei prodotti a base di carne bovina macinata presentato nei giorni scorsi al Parlamento inglese, di cui dà conto il Guardian. Anche se lo scandalo è stato ridimensionato, il documento mette in luce gravi carenze nella catena di controllo, ambiguità degli enti preposti, connivenze e omertà inaccettabili, a distanza di vent’anni dal caso della mucca pazza che, evidentemente, non ha insegnato molto.
Il rapporto, presentato da una commissione che lavora su ambiente, cibo e affari rurali (chiamata EFRA), ha fatto emergere un primo dato preoccupante: tanto le autorità britanniche quanto quelle irlandesi non sono state in grado di ricostruire adeguatamente la rete dei venditori e dei fornitori che ha immesso nel mercato la carne di cavallo.
In Gran Bretagna tutto è stato aggravato dal fatto che la principale autorità preposta, la Food Standard Agency da alcuni anni è stata privata dei poteri necessari a contrastare emergenze come questa, trasferiti al Department for the Environment, Food and Rural Affairs (DEFRA). Questa decisione ha generato una confusione di ruoli, per cui quando è scoppiato lo scandalo, non era chiaro chi doveva fare controlli e chi avrebbe dovuto adottare i necessari provvedimenti.
Eppure dal 2010 diversi parlamentari chiedono al governo inglese di rivedere quell’improvvida decisione, e di riportare tutta la filiera dei controlli sotto un’unica gestione. Non solo. La FSA non ha potere sanzionatorio né normativo, per cui non ha potuto obbligare i produttori a eseguire i test e nemmeno chiedere alle autorità locali di assumere iniziative simili. Secondo gli estensori del rapporto, tutto questo deve cambiare, anche se in Europa le agenzie analoghe non hanno questo genere di poteri e svolgono solo il ruolo di consulenza e verifica.
Ma nel rapporto ce n’è anche per gli irlandesi, che dovrebbero fare molto di più. Le autorità sanitarie locali sarebbero infatti state mosse dalla preoccupazione di difendere l’industria bovina nazionale, molto più che dall’esigenza di fare chiarezza e tutelare i consumatori. Va detto che l’origine del problema è stato individuato proprio in un produttore irlandese chiamato ABP Food Group. ABP è però anche il fornitore della catena di supermercati Tesco, che vendeva hamburger di manzo e carne macinata surgelata con una percentuale media di carne equina del 29%.
La critica è stata accolta malissimo dalle autorità irlandesi, che l’hanno rispedita al mittente per bocca del capo della Food Safety of Ireland Alan Reilly. Gli irlandesi fanno notare che il Beef Tribunal, messo in piedi nel 1994 in seguito allo scandalo ben più grave della mucca pazza, aveva accusato il produttore irlandese ABP Food Group di false registrazioni, truffe ai danni dei consumatori, false etichette sui prodotti ed evasione fiscale sistematica attraverso l’impiego di false fatturazioni. Secondo l’attuale proprietario di ABP molte delle accuse di allora erano false, e comunque i processi industriali e produttivi e le procedure di controllo sarebbero stati profondamente modificati. Con scarso successo, si direbbe. Inoltre, la proprietà non sarebbe mai stata a conoscenza della presenza di carne di cavallo nei suoi prodotti e anzi, sarebbe essa stessa vittima di una frode. Ma gli inglesi non ne sono convinti e sottolineano il contrario, e cioè che dal 1994 a oggi ben poco è cambiato, e avanzano il dubbio di complicità con un’altra azienda, la Freeza Meats, che ha venduto alcune partite di carne bovina che contenevano fino all’80% di carne equina, dubbio anche in questo caso respinto con decisione.
Tutta la vicenda ha ancora contorni poco chiari in Gran Bretagna e Irlanda, ma mostra ancora una volta la necessità di controlli più efficaci. Nel complesso, in Gran Bretagna i test sono risultati negativi nel 99% dei casi; in Europa il 4,66% dei prodotti esaminati aveva una percentuale di carne di cavallo superiore all’1%. Per quanto riguarda il fenilbutazone, oggetto di indagini separate, il numero più alto di carni dopate è stato rinvenuto in Gran Bretagna e per questo il rapporto si conclude con la richiesta alle autorità sanitarie europee e nazionali di continuare sulla strada delle verifiche sulla presenza del farmaco effettuato prima dell’immissione in commercio.
Agnese Codignola
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24