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Tra gli addetti ai lavori la distorsione del mercato dovuta alle differenze delle normative sul miele nelle diverse giurisdizioni non è certo un segreto. Il Food Sasfety Standard (GB 14963-2011) emanato dal ministero della salute pubblica della Repubblica popolare cinese che ha rimpiazzato il precedente standard GB 14963/2003 (Standard igienici del miele) introduce la definizione di miele come

“La secrezione di nettare delle piante e la melata raccolta dalle api che vengono trasformate in una sostanza dolce naturale attraverso un processo di fermentazione, dopo essere state mescolate con secrezioni autologhe”.

La normativa

Per la normativa nazionale (e, ovviamente, europea), invece, “per «miele» si intende la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare” (decreto legislativo 21 maggio 2004, n.179, in attuazione della direttiva 2001/110/CE concernente la produzione e la commercializzazione del miele.

È analoga la definizione che dà il Codex Alimentarius (il set di standard internazionali curato dalla FAO e dall’OMS per contribuire alla sicurezza, alla qualità e all’equità del commercio internazionale di alimenti): ”Il miele è la sostanza dolce naturale prodotta dalle api mellifere dal nettare delle piante o dalle secrezioni delle parti viventi delle piante o dalle escrezioni degli insetti succhiatori sulle parti viventi delle piante, che le api raccolgono, trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano nel favo affinché maturino e stagionino”.

Api sul telaio di un alveare miele
Il “miele” cinese non è più un prodotto agricolo, ma un prodotto di laboratorio

Miele? Non proprio

La differenza è evidente: nella legislazione cinese non sono previsti l’immagazzinaggio e la maturazione nei favi; non si tratta di una sottigliezza da azzeccagarbugli, ma di una differenza sostanziale: è nella maturazione che il nettare si disidrata e passa da un tasso d’umidità dell’80% a meno del 20%, con conseguente concentrazione degli zuccheri naturali e degli altri componenti di interesse nutrizionale (enzimi, polifenoli, flavonoidi, acidi organici, qualche sale minerale).

Nell’assoluto rispetto della normativa nazionale del Paese asiatico, il miele si produce estraendo dai favi nettare non maturo, al quale si aggiungono altre sostanze (pollini, enzimi, acidi), ma anche zucchero (è ammesso fino al 10% di zucchero di canna), pratiche non ammesse in Europa, ma a ben vedere, in nessun’altra parte del mondo che faccia riferimento agli standard del Codex.

I prezzi

Il prodotto così ottenuto (che non è più un prodotto agricolo, ma un prodotto di laboratorio) non risponde ai requisiti per utilizzare la denominazione di miele in Europa, ma arriva comunque nel Vecchio continente, a prezzi compresi tra 1,20 e 1,50 euro/kg, decisamente inferiori al costo di produzione del miele autentico, che qui non può scendere sotto i 4,50 euro al kg.

Se si trattasse dello stesso prodotto offerto a prezzi inferiori per motivi legittimi (produttività delle api, lunghe stagioni di fioritura, minor costo del lavoro) non ci si potrebbe lamentare più di tanto, ma in questo caso si tratta di un prodotto completamente diverso, che deve il suo prezzo inferiore proprio alla sua significativa differenza con quello che l’Unione europea e il Codex considerano vero miele.

Per tutelare il consumatore (che paga e vuole miele, non uno sciroppino di nettare immaturo, enzimi e zucchero), ma anche per tenere in vita l’apicoltura europea, che è messa in ginocchio, oltre che dal cambiamento climatico e dall’impatto dei pesticidi da quella che si traduce in concorrenza sleale è necessario che le autorità nazionali pressino quelle comunitarie affinché prendano in carico la questione.

Chi è che froda?

Occorre chiarire che non si tratta di frode da parte degli esportatori cinesi: producono in conformità alla legge cinese un prodotto che per loro è “miele”, formalmente come tale lo esportano, sotto il controllo della loro autorità che attestano la sua formale regolarità rispetto alla normativa nazionale.

Il miele che entra nell’UE, in quanto prodotto di origine animale (POAO) segue specifiche procedure; a differenza che per gli stabilimenti di trasformazione di prodotti ittici o di carne, la UE non gestisce un elenco di siti autorizzati, ma la spedizione può avvenire solo da Paesi terzi autorizzati e deve essere accompagnata da un certificato sanitario ufficiale emesso dall’autorità del Paese d’origine, con particolari formalità doganali nei diversi posti di controllo frontalieri.

Più che focalizzarsi sugli operatori cinesi, che rispettano la loro normativa (è qui che spacciare per miele il “miele” cinese configura spesso una frode), l’attenzione va spostata su chi importa il prodotto, lo confeziona (tal quale o in miscela con vero miele di diversa origine, rendendo così tutta la miscela non conforme)  e lo commercializza, sulle autorità comunitarie e su quelle nazionali: per essere state tempestate da sollecitazioni dei nostri apicoltori non possono non conoscere perfettamente la situazione del tutto opaca che si protrae da anni.

Barattoli di miele
I nostri apicoltori conoscono perfettamente la situazione del tutto opaca del miele cinese

Il metodo analitico

Fino all’anno scorso veniva di tanto in tanto addotta la giustificazione dell’assenza di un metodo analitico attendibile per confermare la genuinità del miele secondo gli standard europei (e quindi nazionali).

Dall’anno scorso, però, il Comitato europeo di normazione (CEN) ha emesso il documento, EN 17958: 2024 dal titolo un po’ ostico “Autenticità alimentare – Determinazione del valore δ13C dei mono-, di- e trisaccaridi (fruttosio e glucosio) nel miele mediante cromatografia liquida-spettrometria di massa isotopica (LC-IRMS)”, uno strumento tecnico per confermare se si tratta di miele vero e proprio secondo gli standard obbligatori per gli apicoltori europei o di un prodotto di imitazione derivato solo in parte dall’alveare e adulterato (sempre per la normativa europea) con altre sostanze.

Il metodo utilizza la cromatografia liquida accoppiata a uno spettrometro di massa isotopico e consente di confrontare gli isotopi del carbonio degli zuccheri contenuti nel miele con quello degli zuccheri contenuti negli adulteranti (sciroppi ottenuti da piante ricche di amido o da canna da zucchero o barbabietola da zucchero).

La UE può quindi ora impegnarsi per l’adozione del metodo da parte di un laboratorio di riferimento, risolvendo ogni dubbio.

Frode alimentare, non rischio per la salute

Va precisato che la criticità non riguarda la sicurezza alimentare dei prodotti importati, ma la loro corrispondenza al contenuto nutrizionale e alla definizione legale di miele, la salute pubblica non c’entra.

Anticipiamo possibili domande: in base alla direttiva 110/2001 il Paese o i Paesi d’origine da cui il miele proviene devono essere indicati sull’etichetta.

Se il miele è originario di più Stati membri o di più Paesi terzi l’indicazione può essere sostituita da una delle seguenti, a seconda del caso:

  • “miscela di mieli originari della CE”,
  • “miscela di mieli non originari della CE”,
  • “miscela di mieli originari e non originari della CE”.

La recente direttiva n. 1438/2024 (chiamata “direttiva breakfast”), della quale il Consiglio dei ministri lo scorso 8 ottobre ha approvato il decreto legislativo di recepimento (non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale) conferma l’obbligo di indicare il Paese d’origine, ma modifica l’attuale sistema di indicazione.

L’origine del miele

Se il miele è originario di più Paesi, si deve indicare nel campo visivo principale dell’etichetta, in ordine decrescente per peso, assieme alla loro percentuale (con tolleranza del 5 %).

Nel caso i Paesi siano più di quattro e i quattro in quantità maggiore rappresentino più di metà del peso, gli Stati membri possono prevedere che sia indicata la percentuale solo di questi quattro, mentre è sufficiente elencare gli altri in ordine decrescente, senza percentuale.

Per le mini-confezioni di peso inferiore a 30 grammi, i nomi dei paesi d’origine possono essere sostituiti dalla loro sigla a due lettere.

Per non costringere gli operatori all’insensata distruzione di  etichette e imballaggi, i prodotti immessi sul mercato o già etichettati prima del 14 giugno 2026 potranno continuare a essere commercializzati fino all’esaurimento delle scorte: le nuove etichette si troveranno gradualmente sul mercato e per un po’ assieme a quelle vecchio stile.

© Riproduzione riservata. Foto: AdobeStock

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Prof. Franco Brindani
Prof. Franco Brindani
18 Novembre 2025 10:30

Meno si spende…..

giova
giova
Reply to  Prof. Franco Brindani
18 Novembre 2025 22:02

Non è automatico che a un prezzo elevato corrisponda un prodotto di qualità. E non sempre chi spende poco lo fa per scelta.

Giuseppe
Giuseppe
18 Novembre 2025 11:10

se le persone fossero un po’ più attente alle etichette e non al prezzo forse i mieli cinesi resterebbero sugli scaffali e dopo tanti invenduti smetterebbero di importarli. Ma si sa la maggioranza guarda il prezzo e compra quello che costa meno quindi porte spalancate allo pseudo miele….sono i consumatori che dirigono l’orchestra.

giova
giova
Reply to  Giuseppe
18 Novembre 2025 22:00

I consumatori non sono responsabili delle distorsioni del mercato e dell’incapacità o ritardo di chi lo deve governare. Sulla base delle disponibilità economiche e delle scarse conoscenze che dispongono – a causa anche di un’educazione alimentare assente e di notizie contraddittorie o addirittura false o eccessivamente tecniche – scelgono.

xfredix
xfredix
18 Novembre 2025 18:49

senza giustificare gli acquirenti, il miele ha quasi raddoppiato il costo al chilo in meno di due anni.

luca ferri
luca ferri
18 Novembre 2025 21:34

l’articolo è ottimo , riesce a far capire cosa nasconde il miele di origine cinese. diventa sempre più importante fornire al consumatore finale gli strumenti per valutare gli alimenti. Fornire istruzioni su come leggere un’etichetta alimentare: questo dovrebbe costituire anche il vostro compito. Gli articoli che proponete sono sempre documentati e pertinenti, non solo opinioni. Bene.

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