La lotta allo spreco alimentare e alle emissioni di biossido di carbonio passa anche dalle date di scadenza, soprattutto quella di prodotti deperibili come il latte fresco e i latticini. Per questo, Granarolo ha dato vita a un piano anti-spreco per allungare la shelf-life dei suoi prodotti, puntando a una riduzione del 10% dei resi. Ma c’è un problema: la scadenza del latte fresco è rigidamente stabilita per legge.
Il latte e i suoi derivati contribuiscono in misura considerevole allo spreco di cibo, e il latte fresco è uno dei principali colpevoli. Basti pensare che ogni giorno in Italia migliaia di litri di latte fresco 2-3 gironi prima della scadenza sono tolti dai banchi frigo dei supermercati e destinati alla distruzione o, nella migliore delle ipotesi, all’alimentazione animale.
Secondo la normativa (legge 204/2004) il latte fresco ha una scadenza fissata entro e non oltre il sesto giorno successivo alla data di confezionamento. Eppure sparisce dai banchi frigo già due o tre giorni prima della data indicata sulle bottiglie, perché, secondo i responsabili acquisti dei supermercati, i consumatori non lo comprano più.
Si tratta di una (cattiva) consuetudine frutto di accordi tra aziende e grande distribuzione. Eppure i produttori sanno che, se il latte è conservato bene, mantenendolo a una temperatura costante di 4°C, si può consumare senza rischi anche uno-due giorni dopo la scadenza. Secondo alcuni esperti di microbiologia il latte fresco conservato alla giusta temperatura può durare fino a nove giorni.
Insomma, la data di scadenza di questo prodotto è rigidamente definita da una legge di 15 anni fa, rimasta rimasta indietro rispetto ai miglioramenti tecnologici che permettono di estendere la shelf-life . Il problema è riconosciuto anche dal ministro delle Politiche agricole alimentari forestali e del turismo, Gianmarco Centinaio, che si è impegnato a convocare a Roma un tavolo di esperti e portatori di interesse per dibattere il problema.
Già nel 2018 la scadenza del latte fresco doveva essere liberalizzata, in accordo con la normativa europea. Tuttavia il decreto legislativo 231/17 che doveva abrogare i limiti ha cancellato solo quelli fissati con la precedente legge 169/1989, che stabiliva la scadenza non oltre il quarto giorno dal confezionamento. Che questa sia la volta buona?
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Traduzione: dal latte fresco “all’italiana”, pastorizzato a bassa temperatura e quindi molto deperibile, si passa al latte fresco “all’europea”, pastorizzato a temperatura più alta, microfiltrato, e che dura di più.
In altre parole, si riduce il valore del prodotto (il latte fresco “all’italiana” è più deperibile, ma meno processato, e soprattutto molto più buono) ma possiamo scommettere che il prezzo pagato dal consumatore non scenderà, e certamente non aumenterà quello pagato ai produttori.
In conclusione: che ci perde e chi ci guadagna?
E lo spreco? Ora stai a vedere che tutta la colpa degli sprechi sul latte è di noi consumatori che lo vogliamo buono, fresco, sano e sicuro: abbiamo delle pretese veramente irragionevoli!
Non è proprio così. La scadenza per tutti i prodotti alimentari viene stabilita dal produttore tranne che per il latte fresco. Tenga conto che qualche anno fa è stata anche allungato l’intervallo da 5 a 7 giorni. Si chiede di estendere questa possibilità che vale per tutti i prodotti alimentari anche al latte. Non cambiano i riferimenti di temperatura per la pastorizzazione. E comunque non esiste un “latte fresco all’italiana!”
Per Roberto La Pira:
Lei ha ragione: non esiste un latte fresco “all’italiana”, ma le posso garantire per esperienza diretta che all’estero il latte “fresco” (ovvero quello che si trova nei banchi frigo e che non è “a lunga conservazione”) dura di più di quello italiano: non le so dire con precisione, ma per esempio quello che ho comprato il 9 luglio (che è pure biologico) scade il 21 luglio, e sul cartone c’è pure scritto “durata più lunga”. Io una cosa simile in Italia non l’avevo mai vista, ma è anche vero che manco da un pezzo…
Anche in Italia c’è il latte che scade dopo 10-15 giorni
La pastorizzazione per più tempo a bassa temperatura oltre a rischiare danni organolettici sicramente danneggia le vitamine termolabili. Tecnologicamente le alte temperature per poco tempo sono scientificamente la miglior soluzione.
Poi si può essere terrapiattisti, pastafariani, …
Non mi sembra una buona idea, perché la premessa “conservato alla giusta temperatura” è spesso disattesa, gli armadi frigo dei super vengono tenuti aperti a lungo dal cliente che cerca di districarsi tra con-senza lattosio, scremato, intero, parzialmente scremato, microfiltrato… spesso con diciture poco chiare e messi senza criterio per marca e non per tipo.
Per non parlare degli scaffali frigo aperti, sui quali spesso le bottiglie delle prime file al tatto sono a temperatura ambiente.
Bisogna imporre ai venditori oltre a una migliore conservazione (ove possibile) l’obbligo di lasciare i prodotti esposti SINO AL GIORNO DI SCADENZA, vietando l’uso di levarli 3 giorni prima.
Ovviamente vanno anche informati i consumatori, con cartelli “SI RICORDA CHE LA DATA DI SCADENZA DEL LATTE FRESCO E’ PRUDENZIALE ED E’ POSSIBILE E SICURO CONSUMARLO ANCHE 2-3 GIORNI OLTRE TALE DATA”
In realtà la criticità della catena del freddo è spesso il frigorifero di casa che ha temperature troppo elevate