
San Benedetto ha perso per la quarta volta in tribunale. Anche stavolta, come nelle precedenti tre decisioni, il bersaglio erano articoli in rete e post/storie di Instagram, che criticavano gli spot pubblicitari dell’azienda che avevano come protagonista Elisabetta Canalis. Il caso risale all’autunno del 2022, quando Aestetica Sovietica e Il Fatto Alimentare pubblicano articoli e post critici sullo spot “My Secret” con Canalis. La pubblicità, secondo alcuni osservatori, trasmetteva messaggi ambigui sul rapporto tra alimentazione e benessere, perché lasciava intendere la possibilità di sostituire la colazione del mattino con una bottiglietta di acqua minerale. Lo spot in seguito a numerose segnalazioni allo IAP (Istituto di autodisciplina pubblicitaria), è stato modificato dall’azienda che raccoglieva l’invito a modificare il testo.
Alla fine dopo qualche settimana San Benedetto rilancia la campagna rimuovendo le scene più contestate e dimezzandone la durata. Ciò che colpisce maggiormente nella vicenda appena conclusa dal Tribunale di Venezia, non è il rigetto del ricorso basato su motivazioni infondate e preceduto da tre giudizi negativi già decisi dal tribunale sul medesimo tema, ma le richieste spropositate presentate nei vari procedimenti da San Benedetto nel tentativo di zittire le critiche.

Richieste esagerate
Nell’ultimo procedimento cautelare contro la pagina Instagram Aestetica Sovietica, difesa dagli avvocati Paolo Martinello e Marco Stucchi, l’azienda chiedeva non solo la rimozione immediata degli articoli , ma pretendeva che – in caso di vittoria – la sentenza fosse pubblicata per almeno un mese sulle prime pagine di una trentina tra quotidiani e testate online: Il Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano, L’Espresso, Panorama, Distribuzione Moderna, GreenMe, Informazione.it, Il Corriere del Veneto Ecoo.it, Open.Online, ZaZoom, Il sussidiario.net, Informazione.it, Meteoweek.com, Today.it TriesteMondo, Leggo, Il Fatto Alimentare, Il Fatto Politica &Palazzo, IlMattino.it, Il Messaggero, Affari Italiani, Il Gazzettino, Libero 24×7, ThewordNews, WordMagazine, Yahoo MsnNotizie, LiberoQuOtidiano, NotizieVirgilio, TAG24, Agrodolce. In caso di ritardo, chiedeva una penale giornaliera di 10 mila euro.
Quattro cause, quattro sconfitte e le spese da pagare
È la quarta causa persa da San Benedetto per vicende legate allo stesso spot e agli stessi articoli. Finora i giudici hanno sempre riconosciuto la legittimità del diritto di critica e respinto le richieste dell’azienda. Ma c’è di più: San Benedetto è stata condannata, come conseguenza dell’infondatezza delle proprie pretese, a rimborsare le spese legali della controparte.
Nonostante l’esisto catastrofico dei vari procedimenti giudiziari l’azienda nel 2023 prosegue la sua “crociata”, instaurando una causa civile contro Il Fatto Alimentare con richieste risarcitorie di 1,5 milioni di euro per una presunta diffamazione.

I tribunali come strumento di pressione
Il ricorso sistematico alle aule giudiziarie, unito a richieste abnormi per presunti danni di immagine fino alla pubblicazione su decine di testate, rivela una strategia che va oltre la difesa della reputazione e dell’immagine aziendale. San Benedetto, forte di un fatturato da un miliardo di euro, usa i processi come leva per scoraggiare chi fa informazione, specie se si tratta di piccole realtà editoriali.
Le cifre in gioco sono eloquenti: 1,5 milioni di danni richiesti a Il Fatto Alimentare (*) per un articolo di cronaca comportano in ogni caso spese legali che un sito di giornalisti non può sostenere. L’intento appare chiaro: intimidire, dissuadere, mettere pressione economica a chi osa criticare.
Norma contro le liti temerarie
In Italia manca una normativa seria contro le liti temerarie, per cui le aziende con risorse possono permettersi di portare avanti cause pretestuose mettendo in difficolta le redazioni e lanciando un messaggio minaccioso. Non così è negli Stati Uniti dove i giudici puniscono le aziende che abusano del sistema giudiziario con sanzioni milionarie, chiamate appunto “punitive damages”. Ogni causa, ogni appello, ogni cifra spropositata contribuisce a rendere più difficile e costosa la libertà d’informazione. Ed è questo il vero rischio.
La libertà di critica non si imbavaglia
Il Tribunale di Venezia, nell’ultima ordinanza, è stato chiarissimo: i post di Aestetica Sovietica rientrano nel diritto di critica garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Nessuna diffamazione, nessuna falsità, nessuna aggressione gratuita. Solo l’espressione, anche ironica e pungente, di una opinione legittima su un tema di interesse pubblico.
(*) Nel 2023 San Benedetto ha avviato una causa civile per diffamazione contro Il Fatto Alimentare, chiedendo un risarcimento di 1,5 milioni di euro. Secondo l’azienda, due articoli pubblicati nel 2022 avrebbero causato danni d’immagine e spese per oltre 860 mila euro, sostenute – a loro dire – per rifare otto spot pubblicitari che in realtà sono stati semplicemente dimezzati. Il Tribunale di Venezia ha già respinto due precedenti ricorsi cautelari presentati dalla stessa azienda, ordinando anche in quei casi il rimborso delle spese legali. Ora si attende la sentenza sulla nuova causa. La redazione, fiduciosa nella giustizia, ha chiesto il rigetto della domanda, il rimborso integrale delle spese e, in caso di riconoscimento di lite temeraria, un risarcimento pari al 10% sul danno ipotizzato.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
la prima reazione spontanea, alla lettura del quarto flop dell’azienda, è stata una sonora risata, ma poi, riflettendo, mi sono convinto che costoro si possono permettere di spendere somme colossali per continuare ad intimidire chi (giustamente) li critica.
Visto che hanno perso 4 cause su 4 vien da chiedersi se non ci sono gli estremi per denunciare loro per diffamazione
“In Italia manca una normativa seria contro le liti temerarie, per cui le aziende con risorse possono permettersi di portare avanti cause pretestuose mettendo in difficolta le redazioni e lanciando un messaggio minaccioso”.
No, gli estremi non ci sono se prima “qualcuno” non mette mano al codice istituendo le opportune specie di reato.
Nessuno vieta le liti temerarie, tuttavia se mi accusi di diffamazione in pratica mi dai del bugiardo e se perdi 4 volte su 4, a parer mio è diffamazione.
A suo tempo, dopo aver vinto 2 volte su 2 contro Agenzia delle Entrate, hanno rinunciato per evitare di essere sanzionati per accanimento.
Il problema di fondo resta la lentezza della giustizia, se ci fossero tempi rapidi ovvero meno spese, qualche sassolino dalla scarpa forse ce lo potremmo togliere.
Lenta ma di qualità, considerando le risorse umane e strumentali disponibili, e le mancate promesse di riforma, assunzioni comprese.
Ma si sa, il “pubblico” è solo da smantellare
e…..chi potrebbe essere questo “qualcuno”? Se lo si trovasse andrebbe spronato!
Se quel qualcuno significa politica stiamo freschi!!!!
Le leggi le fa il Parlamento
Bene così. Anche queste prove della vs tenacia e non arrendersi a queste minacce e pressioni è un gran segno di forza sociale e civile di fronte ad una pubblicità non regolare.
Noi cittadini consapevoli valorizziamo il vs lavoro giornalistico. Sicuri che il tribunale possa dare ancora ragione ad una legittima causa di critica sul mondo della pubblicità ingannevole. Avanti!
ben fatto. anch’io sostengo che queste pubblicità dovrebbero sparire! idem per la pubblicità di Del Piero& C. ci manca solo l’acqua benedetta da Papa Leone….
Ma cosa sta dicendo? La lite temeraria è disciplinata dal cpc italiano! E grazie al cielo che non abbiamo i punitive damages (per storia giuridica e perché in Italia si pratica “la giustizia” e non “la vendetta”).
Nell’articolo si dice che manca una normativa seria sulle liti temerarie per cui anche quando viene riconosciuta dal giudice nella maggior parte dei casi si risolve con importi ridicoli rispetto ai danni richiesti. Diversa è la norma approvata in sede UE ma non vale per le cause a livello nazionale . La lite temeraria è ormai uno strumento che le aziende utilizzano per disincentivare i giornali
Una controquerela con pari richieste di danni, per ogni querela ed appello infondate non contribuisce a fermare le intimidazioni?
Bene. Complimenti. Queste lobby sono forti del loro potere contro la politica pavida che non impedisce in alcun modo liti palesemente temerarie come queste.
Perché condividono il metodo, basato sul potere e, in certi casi, la cattiva informazione.
Solidarietà al Fatto alimentare, contro chi tenta di fregarci
Dimostrazione pratica dell’arroganza delle mega società e attuazione della battuta molto appropriata di Sordi….io so’io e voi…A questi colossi le multe fanno un baffo e la politica non tutela certo i cittadini
Questa saebbe l’ottima risposta a queste cose, toccarli nel portafoglio, spero accolgano:
“e, in caso di riconoscimento di lite temeraria, un risarcimento pari al 10% sul danno ipotizzato”
Buon lavoro
Aldilà degli aspetti giuridici della questione rimane il fattore alimentare nutrizionale: la variabile composizione delle acque minerali non rende nessuna di esse “un’acqua santa”, in quanto le esigenze nutrizionali individuali sono estremamente variabili, per cui molte persone potrebbero assumere, sotto la spinta pubblicitaria, acque a loro non adatte e persino pericolose. Ad es., la prevenzione dell’osteoporosi richiede acque ricche di calcio senza per questo ostacolare la diuresi e/o favorire i calcoli renali, mentre, al contrario, acque oligo- o minimamente minerali possono causare aritmie cardiache, crampi muscolari e cali pressori specialmente con le sudate estive e la pratica dello sport. Purtroppo le vertenze giuridiche in materia trascurano questa fattispecie attenuando il profilo penale contenuto nell’evento pubblicitario: non c’è in gioco solo il diritto di critica o la temerarietà procedurale ma anche e soprattutto la disinformazione su questioni di salute con potenziali danni di importanza medica.
ottimo risultato contro spot pubblicitari veramente ingannevoli .
ho avuto modo di conoscere dall’interno l’azienda e non mi meraviglio di quanto leggo.
Noi consumatori, “portatori d’acqua con le orecchie” ( per rimanere in tema ) non possiamo fare altro che non acquistare il loro prodotto, poi, come sempre, tutto avrà un senso e una logica nei tempi che verranno!!!
Complimenti per la vostra lotta a difesa della libertà di informazione corretta
Hanno preso l’idea dai politici che fanno le cause civili con richieste esagerate ed intimidatorie consentite da un sistema che assolve i potenti e punisce i deboli, fortunatamente, come in questo caso, non sempre.
Tutti i recenti sconvolgimenti economici globali stanno svelando i danni prodotti dallo spropositato e crescente ruolo svolto nel mondo, dalle multinazionali.
La pubblicità è il loro “arnese da scasso” della mente del consumatore.
In questa grave situazione sarebbe necessario riflettere sulla necessità di coinvolgere e corresponsabilizzare giuridicamente, sopratutto in ambito alimentare e farmaceutico I c.d.”testimonial” dei prodotti (pronti ad “indignarsi” e “denunciare” misfatti in ogni rubrica televisiva) e poi disponibilissimi a spacciare per ottime le peggio cose e truffare I propri stessi fan.
Grazie al Fatto alimentare.
È da anni che vediamo pubblicità ingannevoli e nessuno è mai stato capace di risolvere il problema, se una volta tanto si ottiene un risultato positivo scatta anche la denuncia per diffamazione,hanno tanta arroganza quanta denuncie pagano senza problemi, da qui si capisce gli enormi ricavi della lobby della acque minerali.
Ricordo quando sul sito di una APS di tutela dei diritti dei motociclisti pubblicammo una traduzione di un articolo di una associazione francese analoga alla nostra relativo alle pressioni fatte da una multinazionale che gestisce officine per la verifica periodica dei veicoli, riportando le pressioni fatte da questa multinazionale per spingere la UE a richiedere revisioni annuali ai motoveicoli (in Italia le revisioni per le moto seguono le regole delle auto, in Francia le moto non sono soggette a revisioni).
Era solo una traduzione, non un articolo scritto ex novo, ma ci minacciarono di fare una richiesta danni (100.000 €) per l’articolo pubblicato, per chiudere la cosa dovemmo togliere l’articolo dal sito.