Il salmone è senza ombra dubbio uno dei pesci più amati dei consumatori. La maggior parte del pesce in commercio proviene dall’acquacoltura convenzionale, mentre solo un numero ridotto di allevamenti è biologico. Per valutare la presenza di contaminanti nel pesce, i giornalisti della trasmissione Patti Chiari in onda sull’emittente ticinese RSI, nella puntata del 15 dicembre 2017 hanno fatto analizzare in laboratorio 25 confezioni di salmone (fresco e affumicato) provenienti da allevamenti biologici e convenzionali, situati in Novergia, Scozia e Irlanda.
Il test ha valutato la presenza di pesticidi, residui di farmaci veterinari, inquinanti come diossine e PCB, e metalli pesanti. I risultati meritano qualche riflessione. La buona notizia è che tutti i contaminanti rientrano nei limiti, anche se nei salmoni allevati in modo bio i livelli di sostanze indesiderate sono fino a quattro volte più elevati rispetto ai pesci cresciuti in allevamenti convenzionali.
I livelli più alti sono una conseguenza dell’allevamento biologico che, oltre a una minor numero di esemplari per gabbia (circa la metà del convenzionale) e un limite ai trattamenti farmacologici (due in tutta la vita), impone un certo tipo di mangime. I salmoni bio vengono alimentati con una dieta il più possibile simile a quella dei loro cugini selvatici: la razione di cibo è composta per circa il 60% da farine e oli di pesce ricavati da pesca sostenibile, ma non biologica, che porta con sé i contaminanti presenti nel pesce catturato in mare.
Negli allevamenti convenzionali gli animali sono nutriti con un mangime composto per il 75% da vegetali e solo dal 25% da farine e oli di pesce. Questa dieta è certamente meno “naturale”, ma ha il grosso vantaggio di limitare l’apporto di contaminanti. Negli allevamenti convenzionali, tuttavia, non esistono limiti ai trattamenti chimici necessari per evitare la diffusione di malattie e parassiti nelle vasche sovraffollate, capaci di contenere 100/200 mila esemplari.
Negli stessi giorni, un’altra trasmissione svizzera, À Bon Entendeur, si è concentrata sull’etossichina, un antiossidante sospetto cancerogeno aggiunto a gran parte delle farine di pesce (l’impiego di questo antiossidante sarà vietato in UE dal 2020). Delle 18 referenze di salmone fresco, affumicato e congelato portate in laboratorio, solo tre non contenevano residui misurabili di etossichina e di derivati. Si tratta dei prodotti più economici del test: il filetto congelato Ocean Sea di Lidl, il salmone affumicato biologico Nature Active del discount Aldi e quello a fette bio di Migros. Tutti gli altri pesci (convenzionali e biologici), contenevano etossichina anche in quantità tali da superare i limiti raccomandati per l’assunzione quotidiana.
Come scegliere il salmone? Secondo gli esperti la decisione di non mangiare pesce per il timore dei contaminanti può essere controproducente per la salute. Il consiglio è di limitare il consumo di pesce grasso, come il salmone, a una sola porzione alla settimana e di privilegiare quello da allevamento convenzionale. Il salmone da allevamento biologico risulta più contaminato e costa anche di più. Il salmone selvaggio, che sarebbe l’ideale per evitare l’etossichina, non è la scelta ottimale, perché presenta gli stessi inconvenienti di contaminazione del biologico ed è anche meno sostenibile da un punto di vista ambientale.
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non capisco perchè il salmone selvaggio sia alla stregua di quello biologico, mica mangia le farine e gli olii di pesce.
Gentile Federico,
il salmone è un pesce predatore che nel suo habitat naturale si nutre di altri pesci, crostacei e cefalopodi, attraverso i quali assume anche i contaminanti ambientali (pesticidi, metalli pesanti e altre sostanze indesiderate).
È proprio perché l’alimentazione del salmone da acquacoltura biologica è il più vicino possibile a quella dei salmoni selvatici (utilizzando una maggiore percentuale di farine e oli di pesce di piccola taglia) che i livelli di contaminazione sono più elevati che nel pesce allevato con metodi convenzionali.
Il problema non sono dunque le farine e gli oli di pesce, ma la presenza di contaminanti nei mari, che vengono poi assunti con l’alimentazione dai pesci. Pesci che poi finiscono nella catena alimentare del salmone selvaggio, ma anche di quello allevato (sotto forma di farine e oli).
secondo questo principo Giulia non possiamo più mangiare pesci che mangiano altri pesci, i mari sono inquinati e i pesci che ci vivono pure, che facciamo? per me ok mangiare solo pasta al sugo ma non vale per tutti.
Sarebbe opportuno, pro trasparenza di informazione ed etica giornalistica, non generalizzare scatenando falsi timori sul biologico, ma scrivere anche i nomi e i marchi delle aziende (una semplice infografica come spesso proponete sarebbe stata sufficiente…e non ditemi che c’è il link perché scommetto che in pochi si prenderanno la briga di andare oltre il vostro articolo) , perché c’è chi lavora davvero bio e non è giusto dare la percezione al consumatore che il salmone bio è peggio del convenzionale, anche perché il test è stato fatto su 8 referenze bio, principalmente a marchio della catena e su alcune non è neanche riportato il produttore (che peraltro potrebbe essere anche il medesimo)
Inoltre passa in sordina che tutti i risultati sono entro i limiti di legge.
Mi immagino gia la “casalinga di Voghera”: ‘ecco vedi il bio è una bufala, non esiste!, etc etc’
Ogni tanto mi stupite davvero!!!!
Un’atteggiamento del genere l’avevate già manifestato nell’articolo sulle bevande vegetali (nello specifico quelle di mandorla)
Gentile Andrea,
sfortunatamente la trasmissione Patti Chiari che ha mandato in onda l’inchiesta non ha fatto i nomi dei prodotti su cui è stato fatto il test, altrimenti li avremmo menzionati, come abbiamo fatto per quelli privi di etossichina dell’inchiesta di À Bon Entendeur.
Non abbiamo nessuna intenzione di attaccare in qualche modo il settore dell’acquacoltura biologica, ma non si può ignorare che in generale il livello di contaminazione dei salmoni bio riscontrato in questo test è più alto dei pesci allevati per via convenzionale, pur rimanendo – e questa è una cosa molto positiva – al di sotto dei limiti di sicurezza.
Personalmente non concordo con questo tipo d’inchiesta grave ma solo parziale, perché senza riportare i nomi dei produttori non permette di comprendere come è stata composta la campionatura (non basta il nome del distributore), che per semplificare al massimo potrebbe essere tutta riportata ad un unico fornitore di farina di pesce molto contaminata perché trattata (stile fipronil dei polli).
Poi vorrei sapere quale ente certificatore marziano ha certificato il pesce bio analizzato, perché solo un marziano può certificare un prodotto bio da commercializzare, senza controlli preventivi ed analisi continue sulle materie prime impiegate negli allevamenti senza farsi impallinare.
Un solo certificatore marziano in conflitto d’interessi con un unico produttore di mangimi?
A nessuno dei giornalisti che hanno realizzato l’inchiesta di confronto tra bio e convenzionale è venuto in mente che se vere le risultanze analitiche, ci sarebbe prima di tutto da interpellare gli enti certificatori bio e riportare anche i loro giudizi?
Non ho pregiudizi, ma attendiamo non ulteriori sviluppi, ma primarie ed indispensabili notizie mancanti, che se non disponibili meglio ricercarle, perché non sono disposto a credere che la fuori nel mare, ogni banco di pesce è più contaminato del miglior allevamento di pesce bio o convenzionale quasi vegano che sia.
Commento molto sensato!
Quello che mi ha colpito è che il mare è talmente contaminato che mangiare pesce ‘selvaggio’ anche locale comporta assunzione di contaminanti. Dunque il suggerimento è mangiare allevato? Ma così oltre a mangiare anche gli antibiotici e gli antiparassitari questi non contamino l’acqua della zona in cui sono allevati?i
Io credo che il consiglio sarebbe cercare di far passare leggi per tenere pulito il mare.
sono d’accordo con Andrea………. i limiti di legge si menzionano solo quando si parla di pasta e glifosato …….e li vanno più che bene
stavolta invece per questo prodotto specifico …….non contano?
sarebbe inoltre interessante venire a conoscenza dei livelli effettivi (calcolati su numerosi campioni) de livello di contaminamento dei salmoni selvaggi che aldilà di questo aspetto sono più salubri in termini di grassi
a questo punto mi chiedo ……..ma gli allevamenti convenzionali sono tutti fatti in vasche protette non comunicanti con il mare e viene utilizzata acqua di mare “purificata” ?
Condivido la Domanda di Barbara, quindi mangiare qualsiasi tipo di pesce fresco selvaggio (branzino, orata etc etc..) e meno salutare di quello allevato? Passiamo ore davanti agli scaffali dei supermercati, leggendo le etichette dei prodotti, sperando di scegliere il prodotto migliore e non ci azzecchiamo mai o quasi..
Saluti
Luca
Dipende dal livello di inquinamento delle acque dove è vissuto il pesce .