Quando dal salumiere compriamo un salame intero, come facciamo a conservarlo nel modo giusto una volta tagliato? La risposta è “dipende”, come spiega Antonello Paparella, microbiologo alimentare dell’Università di Teramo, che fa il punto sulle diverse tipologie di salami presenti sul mercato, per i quali esistono centinaia di ricette e metodologie di produzione: è proprio a causa di questa enorme varietà, infatti, che salami differenti richiedono un’attenzione diversa durante la conservazione.
La classificazione dei salami
Un primo criterio di classificazione dei salami da considerare riguarda il contenuto finale di umidità, in base al quale si distinguono in dry e semi-dry. “Nei salami dry, la stagionatura rimuove dal 20 al 50% dell’umidità e il rapporto finale umidità/proteine è tra 2,3 e 1,0. – spiega Paparella – Nei semi-dry, la perdita di umidità è minore, tra 15 e 20% e il rapporto finale umidità/proteine è più elevato, pertanto il prodotto si presenta più morbido e umido e naturalmente è più deperibile, al punto che in alcuni Paesi questi prodotti possono essere consumati soltanto previa cottura.”
“Un altro criterio di classificazione può essere ottenuto combinando i seguenti parametri: durata di stagionatura, umidità finale e attività dell’acqua (una variabile che misura la quantità di acqua disponibile per lo sviluppo microbico).” In questo modo i salami sono divisi in: spalmabili come il ciauscolo, affettabili a breve stagionatura come il cacciatore e affettabili a lunga stagionatura come il salame Milano.
Le modalità di conservazione
Infine, il più importante criterio di classificazione dal punto di vista commerciale, invece, combina modalità di produzione e conservabilità: in base ad essi i salami sono divisi in prodotti a peso variabile e fisso. “I primi sono naturalmente soggetti a calo del peso, – spiega Paparella – per effetto della naturale perdita di umidità durante la stagionatura, mentre nei secondi la stagionatura è bloccata al raggiungimento di un peso predeterminato, attraverso una combinazione di operazioni unitarie, in primis una più intensa disidratazione. La microbiologia di questi ultimi salami è totalmente diversa rispetto ai salami a peso variabile e anche per questo i salami a peso fisso si conservano a temperatura ambiente fino a 21°C.”
È per questo motivoche la conservabilità dipende dalla classificazione del salame. “Se si taglia a metà un salame a peso fisso (riconoscibile per il confezionamento sottovuoto o in atmosfera protettiva e il peso già stampato sulla pellicola della confezione) o un salame a lunga stagionatura (come il Napoli, il Milano o l’ungherese), si può conservare in frigorifero a 4°C, nei ripiani centrali, e consumare entro una settimana, fino a due settimane nel caso dei salami di grande calibro a lunga stagionatura.” L’unico accorgimento da prendere è quello di coprire con un foglio di alluminio la superficie di taglio, che può essere comunque tagliata via se si presenta di colore scuro/bruno.
Se invece il salame in questione è meno stagionato e quindi più deperibile (come un cacciatore o una salamella fresca) si consiglia di conservare la metà in frigo a 4°C, sempre con la superficie di taglio protetta dall’alluminio, e consumarlo al massimo entro 3-4 giorni, scartando la prima fetta.
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Se la consistenza lo consente, sarebbe molto pratico e più igienico privare il salame del budello in cui è maturato, e avvolgerlo in un giro di pellicola da cucina. Non si disidrata nel frigo, e quest’ultimo sarebbe esente dal pericolo di inquinamento da muffe e batteri. Non occorrerebbe nemmeno eliminare la “prima fetta” ad ogni impiego.
Questa è l’operazione peggiore che una persona possa fare, per quanto possa credere di avere le mani pulite, i contaminanti sulla superficie delle dita o sulla pellicola (che ricordo comunque è sconsigliata su prodotti che contengono grassi) vengono immediatamente trasferiti sul prodotto.
Direi che sono meglio le muffe (che appartengono comunque in genere ad una biosfera tendenzialmente equilibrata, soprattutto per i prodotti tipici) che la manipolazione.
vi comprate una bella macchinetta per il sottovuoto e il gioco è fatto. Sarebbe utile che questo sito consigliasse questo metodo di confezionamento che in casa salva tantissime situazioni.
Fra l’altro alcuni salami hanno la muffa sulla pelle esterna: questi non si possono mettere in frigo senza coprire tali muffe.
Qualche giorno fa abbiamo pubblicato questo articolo in cui evidenziamo pregi e difetti delle macchine domestiche per il sottovuoto. https://ilfattoalimentare.it/macchine-per-il-sottovuoto-test.html
Ad inizio articolo c’è un refuso:
Antonella
Ridategli il giusto sesso 🙂
Buon lavoro
Grazie, corretto.
C’è un diffuso terrore di contaminanti esterni quando invece il pericolo maggiore è quasi sempre e solo la contaminazione interna durante la lavorazione.
L’articolo dal punto di vista accademico è corretto, ma dal punto di vista pratico è probabilmente molto cautelativo (forse troppo): un conto è la perdita di qualità dovuta ad un invecchiamento e ossidazione del prodotto e un conto è l’aspetto microbiologico che in genere, se si ha l’accortezza di usare coltelli puliti, non asciugati con un canovaccio (un possibile contaminante), il taglio, anche se può trasferire spore delle muffe del budello (se si tratta di stagionature artigianali) – queste sono esattamente il mezzo di conservazione che impedisce la proliferazione dei batteri durante la stagionatura – non crea condizioni tali per cui, se conservato in frigo, il rischio sia reale, direi solo teorico!
Suggerirei di prestare molta attenzione a non contaminare la superficie da proteggere. Paradossalmente il velo che vogliamo appoggiare, se per qualche ragione è stato toccato dalle nostre mani, si è appoggiato su una superficie di lavoro o sulla stessa scatola in cui è conservato, rischia di essere un rischio maggiore di quanto non funga da prevenzione.
E poi come già detto all’inizio, il rischio maggiore è nelle condizioni di igiene della lavorazione, quindi fuori dalla portata della nostra personale prevenzione.
Domanda: ma è corretto usare l’alluminio a contatto con gli alimenti. Da sempre mia nonna mi diceva che i cibi non vanno lasciati nell’alluminio. Questo rilascia sostanze in particolare agli alimenti grassi.
Il problema della pellicola di alluminio riguarda la conservazione di cibi acidi e salati come dice questo articolo
https://ilfattoalimentare.it/alluminio-rischi-esposizione.html