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Red bull rimborsa i clienti insoddisfatti con 13 milioni di dollari per la frase ingannevole degli spot

Red Bull ha accettato di pagare 13 milioni di dollari (circa 10 milioni di euro) per evitare una class action contro lo spot della bibita resa famosa dallo slogan «Red Bull ti mette le ali». Secondo i consumatori la pubblicità «induce in errore con uno slogan che implicitamente promette un aumento delle prestazioni», quando in realtà una lattina della  bevanda ha un contenuto di caffeina pari a quella di una tazzina di caffè e non può certo fare i miracoli che lascia immaginare. A dispetto di questa semplice verità negli spot i vari atleti testimonial dell’azienda sostengono di aver migliorato le prestazioni grazie alla bevanda. In seguito alla decisione del giudice Red Bull si è impegnata a rimborsare ai cittadini che possono  dimostrare di avere acquistato la bibita 10 dollari in contanti  o altri  prodotti dell’azienda fino a una cifra massima di spesa di 13 milioni di dollari.

 

Non è la prima volta che Red Bull perde le ali. Anche in Italia diversi slogan e iniziative promozionali sono stati oggetti di provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), per cui da un anno almeno sono stati vietati gli spot che vantano virtù improbabili e incoraggiano comportamenti pericolosi. Il testo del provvedimento siglato da Red Bull nella primavera del 2013 dice che gli slogan degli spot non potranno usare parole forti, non dovranno proporre modelli impossibili e immagini studiate ad hoc per vantare la capacità della bevanda di “mettere le ali”.

 

redbull-sito-guidaLa decisione rispondeva agli allarmi lanciati dalla comunità scientifica italiana e internazionale sui rischi legati all’abitudine molto diffusa tra i giovani di miscelare energy drink e alcol, considerata una concausa di alcuni incidenti mortali registrati negli USA. In Italia il dossier è firmato dal Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare del Ministero della Salute che evidenzia i rischi del consumo di Red Bull abbinato alle bevande alcoliche (un argomento  trattato più volte da Il Fatto Alimentare). Piuttosto che subire una probabile condanna per pubblicità ingannevole, Red Bull ha accettato di rivoluzionare il modello pubblicitario e di cambiare sia testi sia le  immagini. Negli Stati Uniti  la società ha fatto una scelta simile che però costerà qualche dollaro in più

 

Non è la prima volta che Red Bull viene sanzionata dall’Autority. Nel marzo 2009 l’azienda ha pagato una multa di 80.000 euro perché invitava a consumare la bevanda per vincere la stanchezza, e in particolare la sonnolenza durante la guida.

 

red bull asiniL’ultima decisione dell’autorità prevede che siano eliminate dalla pubblicità e dal sito (a partire dal 31 marzo 2013) le frasi riferite alla capacità del Red Bull di neutralizzare gli effetti dell’alcol. Si potrà fare riferimento solo al consumo della bibita pura, che comunque nel sito continua ad essere presentata come un prodotto che aiuta “a migliorare la concentrazione”, “a incrementare l’attenzione” e “a ridurre stanchezza e fatica”. Il sito inoltre dovrà  riportare un avviso che evidenzia l’elevato tenore di caffeina, sconsigliando il consumo alle donne in gravidanza e durante l’allattamento.

 

Ma l’elemento di novità riguarda l’eliminazione di tutti i messaggi e le immagini rivolti più o meno direttamente a bambini e giovanissimi,  che possano suggerire comportamenti pericolosi, come l’uso di termini quali “schianto”, “incidente”, “kamikaze” e simili.

 

redbull-pubblicitaAnche i filmati e le frasi riferite ai giovanissimi sono state tolte dal sito e quando si parla dell’utilizzo “durante lo studio”, si deve fare riferimento a studenti universitari. L’azienda non potrà inoltre utilizzare spot con cartoni animati, e diffondere messaggi in programmi televisivi o film destinati ai più piccoli. Inoltre è stata vietata la distribuzione gratuita di Red Bull ai minorenni o in prossimità di scuole.

 

Il Fatto Alimentare  per  anni ha segnalato le scorrettezze dei messaggi e questi risultati sono anche frutto del nostro lavoro.

 

Roberto La Pira

© Riproduzione riservata

Foto: iStockphoto.com

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