Gli impegni dell’industria alimentare per proteggere i bambini dalla pubblicità dei cibi poco sani non bastano. Lo rivela un’indagine dell’organizzazione europea dei consumatori Beuc, realizzata in collaborazione con 10 membri di varie nazioni, tra cui Altroconsumo, per chiedere alla Commissione europea regole severe. L’inchiesta, che ha raccolto pubblicità di junk food presenti sui media europei, soprattutto in televisione e internet, ha individuato 81 violazioni dell’EU Pledge, l’impegno volontario per la restrizione del marketing alimentare ai minori di 13 anni, di cui fanno parte colossi come McDonald’s, Coca-Cola, Ferrero e Nestlé.
Nel corso dell’indagine le associazioni hanno individuato cinque grosse falle nelle regole che si sono date le aziende, così grandi da privare di efficacia gli impegni a tutela dei bambini. Il primo, e forse il più rilevante problema è che i criteri usati per distinguere un prodotto salutare dal junk food sono troppo vaghi. In questo modo viene considerato accettabile il marketing di alimenti che sarebbero vietati utilizzando invece i profili nutrizionali proposti da agenzie nazionali e internazionali, come quelli dell’Oms. In Spagna e in Francia, per esempio, le organizzazioni locali Ocu e UFC-Que Choisir hanno scoperto che, rispettivamente, l’89% e l’88% dei prodotti pubblicizzati direttamente ai bambini ha un Nutri-Score pari a D o E.
Il secondo problema messo in luce dall’indagine riguarda il fatto che restano esclusi dalle restrizioni troppi programmi televisivi guardati regolarmente dai bambini. In particolare si parla delle trasmissioni in onda in prima serata. L’EU Pledge infatti si applica soltanto ai programmi in cui i bambini fino a 12 anni rappresentano almeno il 35% del pubblico. Una soglia difficilissima da raggiungere, secondo il Beuc, considerando che i bambini fino a 14 anni rappresentano soltanto il 15% della popolazione europea.
La terza problematica sollevata è relativa a internet: gli impegni presi dalle aziende sono decisamente troppo deboli per mettere un freno al marketing negli ambienti digitali. Cibo e bevande rappresentano ormai il 25% delle pubblicità che compaiono su TikTok, il social media più popolare tra i giovanissimi, ma anche su altre piattaforme il marketing alimentare è estremamente diffuso, dai post sponsorizzati degli influencer alla presenza di contenuti promozionali all’interno di videogame. Molte aziende hanno anche realizzato applicazioni legate ai propri marchi e quelli che in gergo tecnico sono chiamati advergames: si tratta di giochi online o per smartphone che hanno come protagonisti prodotti o personaggi legati a un brand, che evidentemente attirano l’attenzione di bambini e ragazzi. A questo proposito, secondo l’indagine del Beuc gli adolescenti avrebbero bisogno di una maggiore protezione dal marketing. Infatti, le regole che le aziende si sono date ignorano totalmente i ragazzi dai 13 anni in su, come se non fossero vulnerabili alla pubblicità del junk food.
Internet e la televisione non sono gli unici mezzi problematici. Le industrie non hanno preso nessun impegno su packaging e sull’uso di gadget: personaggi di film e cartoni animati, o creati ad hoc per il marchio in questione, rappresentati sugli imballaggi, e gadget in regalo nelle confezioni o abbinati ai menu bambini dei fast food, sono infatti potenti strumenti di marketing su cui l’EU Pledge non interviene. Sono esclusi anche i cartelloni pubblicitari che tappezzano città e mezzi pubblici, e a cui quindi i bambini possono essere esposti anche solo nel tragitto tra casa e scuola.
L’ultima falla rilevata riguarda il meccanismo di segnalazione delle violazioni, che è lento, complesso da usare per i consumatori e in generale tende a favorire le aziende. Il Beuc e le associazioni affiliate, per testare il sistema, hanno inviato 53 segnalazioni: soltanto in due casi la decisione finale del panel che si occupa di esaminare le violazioni è arrivata nell’arco di tempo stabilito dall’EU Pledge. Nella maggior parte di casi, invece, il processo richiede diversi mesi. Di conseguenza la sanzione (nei rari casi in cui viene comminata) può arrivare quando la campagna pubblicitaria o la promozione oggetto della segnalazione è già terminata, senza avere alcun impatto su pubblico e azienda.
Per queste ragioni il Beuc chiede alla Commissione europea di smettere di fare affidamento sugli impegni volontari delle aziende, che già diversi studi hanno dimostrato essere ben poco efficaci, e decidersi a regolare la pubblicità dei cibi poco sani diretta ai bambini. In particolare le richieste – molto dure – delle associazioni dei consumatori sono cinque: introdurre un divieto totale per il marketing del junk food su internet; vietare la pubblicità dei prodotti poco sani in televisione tra le 6.00 e le 23.00; vietare i cartoni animati e i personaggi dei film sulle confezioni dei prodotti; tutelare tutti i minori fino ai 18 anni; utilizzare i profili nutrizionali elaborati dall’Organizzazione mondiale della sanità.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.