Nel suo insieme, la produzione di cibo è responsabile del 35% delle emissioni di gas serra. Tuttavia gli allevamenti, ai quali si deve la maggior parte di esse, forniscono solo il 20% delle calorie globali. Questi due numeri, da soli, spiegano perché l’attuale sistema di produzione alimentare sia ormai insostenibile. Ma che cosa può fare il singolo consumatore per contribuire a mitigare la crisi climatica? Molti, in tutto il mondo, rinunciano alla carne, e cercano proteine, vitamine e altri nutrienti indispensabili altrove, convinti di contribuire in misura non trascurabile alla riduzione delle emissioni. Ma quanto di ciò che si mangia è davvero sostenibile? E quali differenze ci sono, per esempio, tra una dieta vegana e una latto-vegetariana, oppure tra un’alimentazione che comprende anche i sostituti della carne e una con il pesce?
Su questo aspetto, e cioè sulla sostenibilità dei diversi alimenti, si concentrano anche le polemiche, perché le stime sulle emissioni o sul consumo di acqua, suolo, energia elettrica e sulla produzione di rifiuti variano molto, anche perché, finora, raramente sono state affrontate in modo sistematico e condiviso. Per cercare di mettere un po’ di ordine, la BBC pubblica un lungo articolo che aiuta a distinguere tra le diverse fonti di proteine, per quanto riguarda le emissioni, e sfata molte credenze errate, analizzando le principali classi di alimenti.
Carne
Secondo due tra i ricercatori più impegnati sul fronte, e cioè Joseph Poore dell’Università di Oxford e Thomas Nemecek dell’organizzazione svizzera Agroscope, autori di uno studio pubblicato su Science nel 2018, 100 grammi di proteine di bovino, contenute mediamente in quattro bistecche, ‘emettono’ 49,9 kg di CO2 equivalenti (gli equivalenti sono le unità di misura utilizzate per misurare la quantità di gas in grado di generare un riscaldamento dell’atmosfera). Seguono, quanto a maglie nere, 100 grammi di agnello e montone, che ne emettono 19,9 kg. Il pollo, però, è ben al di sotto del manzo, con i suoi 5,7 kg di CO2e: un valore che arriva a essere quasi un nono di quello del manzo e simile a quello delle uova (4,2).
La differenza sostanziale tra la carne di manzo e quella di pollo, che andrebbe sempre tenuta a mente, è nel sistema digestivo di questi animali: tutti i ruminanti sono grandi emettitori di gas serra (soprattutto metano), mentre gli altri lo sono in misura immensamente minore. E questo spiega perché anche il maiale, che è un animale grande ma non è un ruminante, emetta solo 7,6 kg di CO2e: un valore inferiore a quello dei gamberi o del formaggio. In più, le emissioni legate alla logistica (per esempio al trasporto dei capi) tra animali grandi e piccoli non sono paragonabili. Anche tra i bovini, poi, ci sono differenze: una mucca da latte ha un impatto inferiore rispetto a una da carne, perché dalla prima vengono ottenuti diversi prodotti a partire dal latte per almeno tre anni e poi la carne: il ‘sistema’ è molto più efficiente.
Latticini
La vera sorpresa sono i formaggi, cui ricorrono in molti per sopperire alle proteine che non ottengono dalla carne. Il loro impatto, infatti, non è affatto basso. Anzi, è appena inferiore a quello del manzo, con 10,8 kg di CO2e per 100 grammi di proteine, un valore circa doppio rispetto al pollo e più alto anche della carne di maiale e delle uova, attorno ai 4,2 kg. Ciò dipende dal fatto che la lavorazione del formaggio è un processo poco efficiente, anche se ci sono significative differenze tra i formaggi duri come il parmigiano e quelli a pasta molle: i primi richiedono più latte e i secondi contengono più acqua (che in alcuni tipi raggiunge il 50%), e quindi sono molto più sostenibili. Inoltre, tra formaggio di latte vaccino e formaggio di latte di capra (entrambi animali ruminanti), vince il primo, perché le rese sono migliori: una mucca da latte produce in media più di 8.200 litri di latte in un anno.
Il vero prodotto a basse emissioni è però lo yogurt, cui sono associati solo 2,7 kg di CO2e, perché richiede molto meno latte del formaggio, e la sua produzione è associata a quella di altri alimenti come il burro e la panna.
Proteine vegetali
Se alla produzione di carne è riconducibile il 57% delle emissioni collegate al cibo, gli alimenti vegetali sono responsabili del 29% di esse: 100 grammi di proteine dei piselli sono associate a 0,4 kg di CO2e, un valore che è 90 volte più basso rispetto alle stesse proteine di derivazione bovina. E lo stesso vale per tutti i legumi come le lenticchie (0,8 kg). Il tofu, a causa delle lavorazioni e dell’elevato impatto delle coltivazioni di soia, è invece associato a 2 kg di CO2e.
Pesce, crostacei e molluschi
In questo ambito le variazioni sono veramente enormi. Tra i peggiori emettitori ci sono infatti i gamberi da acquacoltura, con ben 18,2 kg di CO2e, perché il loro allevamento è spesso associato alla distruzione delle foreste di mangrovie, che sono tra i più efficienti sequestratori di CO2 del pianeta. Al contrario cozze, ostriche, vongole, capesante e in generale i bivalvi emettono pochissimo, anche perché non hanno bisogno di mangimi, non richiedono grandi quantità di energia e carburante per essere raccolte e favoriscono lo sviluppo di alghe che catturano la CO2: le loro emissioni sono un sesto di quelle dei gamberi e 3,5 volte inferiori rispetto a quelle del pesce allevato (6 kg di CO2e). I molluschi selvatici, tuttavia, secondo uno studio del 2021 pubblicato su Nature , sarebbero associati a emissioni fino a dieci volte quelle delle loro controparti allevate, perché la raccolta in mare aperto, che avviene tramite dragaggio, consuma grandi quantità di carburanti e comporta sovente la distruzione degli ecosistemi dei fondali e dei sedimenti. Fatto che, a sua volta, libera la CO2 in essi immagazzinata e acidifica le acque. Secondo un altro studio del 2021, uscito anch’esso su Nature, il dragaggio dei fondali sarebbe la causa diretta dell’emissione di un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno: quanto le emissioni di tutta l’aviazione nello stesso periodo di tempo.
Proteine coltivate
L’ambito nel quale le discussioni sono più accese è tuttavia quello delle fonti di proteine che provengono da processi tecnologici, siano esse vegetali, animali o ibride, anche perché gli studi approfonditi e completi, finora, sono stati pochi. Secondo uno dei più completi, pubblicato nel 2020 su Frontiers in Sustainable Food Systems, 100 grammi di proteine vegetali emettono 1,9 kg di CO2e, la carne coltivata 5,6 e quella bovina allevato 25,6. La carne coltivata è dunque vantaggiosa, e non di poco, rispetto a quella di allevamento, ma meno delle proteine vegetali. Il motivo è chiaro: per la sua crescita, che avviene in bioreattori, è necessario l’impiego di energia. Più vicini alle proteine vegetali sono poi gli insetti (0,9 kg di CO2e), il tonno selvatico (1,2) e i legumi poco lavorati (0,3-0,4).
Tra le proteine animali ci sono anche quelle ottenute con la fermentazione di precisione, cioè inserendo i geni per la loro produzione in cellule non animali, come lieviti, altri funghi o batteri, che in genere presentano un profilo di emissioni ottimo. Per la loro crescita, che è molto rapida, non è infatti richiesto calore, perché l’energia necessaria è autoprodotta. Così, per esempio, le proteine del siero di latte dell’azienda statunitense Perfect Day, tra le prime a puntare su queste sintesi, emettono 0,3 kg di CO2e per 100 grammi, un valore che è 35 volte più basso di quello del latte (9,5 kg) e richiede il 29-60% in meno di energia.
Ci sono infine le proteine ‘prodotte con l’aria’, cioè con batteri che si servono di idrogeno e altri gas per crescere. È il caso dell’azienda finlandese Solar Foods, che produce polveri proteiche che risultano essere le più basse in assoluto, quanto a emissioni (fintanto che utilizzano energia da fonti rinnovabili).
In definitiva, quindi, la dieta a minori emissioni è quella che prevede piccoli animali non ruminanti come polli e anatre, uova, yogurt e molluschi, in grado di ridurre le emissioni personali del 50%, mentre una che escluda la carne e si basi sui formaggi al massimo raggiunge una riduzione del 20%.
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Giornalista scientifica
Articolo molto interessante, però bisognerebbe distinguere tra proteine nobili e facilmente assimilabili da quelle di origine vegetale.
Solo così,a mio parere,si può fare un vero bilancio..ci sono molte persone che pensano erroneamente che le proteine dei legumi abbiano le stasera valenza di quelle del fegato bovino..sic..
La divisione in proteine nobili e non, è ormai ritenuta superata dalle nuove evidenze scientifiche. Ad esempio non è più ritenuto necessario pianificare l’assunzione combinata di varie proteine per ottenere tutti gli aminoacidi essenziali, per soddisfare il fabbisogno proteico è importante invece che si segua una dieta varia, che contenga differenti cereali, legumi e verdure. Un metodo più attuale (anche se non completo) per valutare la qualità delle proteine è il Punteggio della digeribilità delle proteine corretto dall’amminoacido limitante (Protein digestibility-corrected amino acid score PDCAAS), basato sia sul fabbisogno umano di amminoacidi, che sulla capacità umana di digerire le proteine mangiate.
E’ proprio il PDCAAS che evidenzia un minor valore nutrizionale delle proteine vegetali. Minor valore proteico derivante da 2 aspetti:
a) le proteine vegetali hanno un Protein Score (PS) inferiore a quello delle fonti animali (solo la soia ha PS quasi uguale a quello delle carni);
b) le proteine vegetali hanno digeribilità inferiorea quella degli alimenti animali.
Poichè il PDCAAS è uguale a PS x Digeribilità, è evidente che le proteine vegetali siano qualitativamente inferiori rispetto a quelle animali.
Esprimere l’impatto ambientale in funzione del PDCAAS è improponibile, però lo si potrebbe calcolare in kg di CO2 per grammo di proteina digeribile.
Articolo interessante è un po’ esagerato, visto che parte dal presupposto che le attività umane siano alla base del “cambiamento climatico”, ascoltando le opinioni di Zichichi e Rubbia (non le mie) tale cambiamento non è imputabile ad attività antropiche.
Riprendiamo da Greenreport (ma è ormai una notizia diffusa ovunque): “Lo studio “Consensus on consensus: a synthesis of consensus estimates on human-caused global warming”. pubblicato su Environmental Research Letters da un team internazionale di ricercatori guidato dalla Michigan Technological University, conferma che il 97% degli scienziati climatici concordano sul fatto che il cambiamento climatico è causato dagli esseri umani. Sarah Green, che insegna chimica alla Michigan Technological University, dice che «La cosa importante è che questo non è solo uno studio, è il consenso di molteplici studi».”
Nelle conclusioni di questo articolo sulle emissioni di Co2 , da parte delle proteine di diversa origine, non sono riportate le ridotte emissioni delle proteine di origine vegetale, mentre si confrontano le diverse proteine animali. Come mai?
Sarebbe interessante invece riportarle per avere un quadro complessivo degli effetti sul clima delle diverse proteine.
In attesa di una risposta, colgo l’occasione per ringraziare tutti gli autori degli articoli che trovo molto interessanti ed in primis il direttore.
cordiali saluti
Angelo
L’articolo si focalizza sulle proteine, ma andrebbe considerato anche il fatto che ridurre l’apporto di carne e/o latticini significa anche ridurre l’assunzione di minerali come ferro, zinco e calcio oltre che di vitamina B12
Chi segue una dieta vegana o vegetariana deve necessariamente ricorrere ad integratori minerali e vitaminici, il cui impatto ambientale non mi risulta sia mai stato calcolato. Per poter dare un giudizio sulle ricadute ambientali delle nostre scelte alimentari, è però necessario considerarle a 360°.
La supplementazione di B12 è necessaria esclusivamente per chi segue una dieta vegana. I vegetariani e gli onnivori, se seguono una dieta varia e bilanciata, non devono ricorrervi necessariamente. Si è inoltre registrato che nella popolazione in generale c’è un numero significativo (di non vegani) che è carente di vitamina B12. Inoltre, secondo alcuni report la maggior parte degli integratori di vitamina B12 – il 90% secondo The Guardian – viene somministrata al bestiame, non alle persone.
La vitamina B12 è presente solo negli alimenti di origine animale, prevalentemente nella carne, anche se pur i latticini ne contengono. Per cui un vegetariano , non mangiando carne è a maggior rischio di carenza di B12 rispetto a un onnivoro e di lavori su riviste scientifiche (non The Guardian) che mostrano livelli bassi di B12 nei vegetariani ce ne sono diversi. Il
Report INRAN SCAI su cosa mangiano gli italiani non riporta carenze di B12 nella popolazione italiana nel suo complesso, mentre le evidenia per ferro, calcio e vit D. In compensa evidenzia come siano le carni la maggior fonte di B12 inItalia.
I ruminanti la vitamina B12 la sintetizzano e quindi l’integrazione di B12 per questi animali è pari a zero, potrebbe esserci nei polli che hanno un intestino corto, ma suini adulti e cavalli la sanno sintetizzare anch’essi, basta che abbiano il cobalto che però si trova nei foraggi.
Articolo ricco di spunti, da cui ognuno può trarre le proprie conclusioni e fare le proprie scelte. Sarebbe interessante incrociare i dati di CO2 emessa con l’impronta idrica per le stesse tipologie di fonti proteiche oltre che per ulteriori alimenti.
I bovini inoltre non solo sono “responsabili” (mi perdonino) delle emissioni di metano climalteranti, ma anche delle emissioni di ammoniaca (fonte di PM10 e ossidi di azoto per cui l’Italia è sanzionata da UE) nonché dei nitrati (cancerogeni) nel suolo, falde acquifere e fiumi.
Non è necessario diventare vegetariani ma fare scelte che siano ambientalmente sostenibili.