Il prosciutto cotto confezionato in vaschetta non ha più un termine minimo di conservazione prestabilito dalla legge. Lo stabilisce l’articolo 5 del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 26 maggio 2016, che modifica il decreto del Ministero delle attività produttive del 21 settembre 2005 sulla produzione e la vendita di alcuni salumi. L’articolo 7 disciplina in modo particolare le condizioni di vendita del prosciutto cotto.
Cosa cambia per il prosciutto cotto
Il nuovo decreto cancella i riferimenti al termine minimo di conservazione, che non poteva essere superiore a 30 giorni dalla data di confezionamento per il prosciutto cotto affettato e di 60 giorni per quello venduto in tranci. Prima il limite era uguale per tutti ed era fissato senza considerare il tipo di materia prima, il sistema di lavorazione e soprattutto il metodo di confezionamento. Adesso le regole cambiano e il periodo di conservazione del prosciutto cotto affettato in vaschetta oppure venduto in tranci o a cubetti sarà stabilita dal produttore sulla base delle caratteristiche, della tecnologia di confezionamento e di prove condotte in laboratorio, come avviene per quasi tutti i prodotti alimentari.
Il produttore che vende di prosciutto cotto affettato conservato in vaschette confezionate in atmosfera modificata, magari sottoponendo i contenitori ad un preventivo passaggio sotto lampade UV per ridurre la carica microbica, potrebbe stabilire anche una durata superiore ai 30 giorni prefissati dal vecchio regolamento. Il vantaggio è duplice: dare più servizio al consumatore e ridurre le possibilità di gettare nella spazzatura affettati ancora buoni e sicuri.
Il nuovo decreto corregge anche una disparità normativa nella vendita dei salumi confezionati, visto che i limiti alla scadenza riguardavano solo il prosciutto cotto confezionato. Per gli altri salumi come salame e prosciutto crudo presenti nei banchi frigo dei supermercati italiani, il termine minimo di conservazione era già stabilito dal produttore.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Non è un ottima notizia questa favorira’ l’uso di sostanze chimiche e processi vari di mantenimento per allungare la vita del prodotto stesso che gia’ è in stato di ibernazione,preferisco prodotti di facile decomposizione che svavoriscono produttori e distributiri ma allungano la vita al consumatore.
La situazione non sarà proprio così. La tecnologia nell’ambito alimentare e soprattutto i sistemi di confezionamento e conservazione ha sviluppato nuovi sistemi e metodi che permettono di allungare la vita commerciale dei prodotti senza aggiungere additivi . Inoltre è giusto che ogni produttore stabilisca la vita commerciale del suo prodotto. Difficile pensare che si prolunghi artificialmente questo intervallo soprattutto per un alimento fresco e deperibile, correndo il rischio che il consumatore acquisti un prosciutto dal sapore non proprio eccelso.
Azoto anidride carbonica, argon elio protossido di azoto,si potrebbe fare a meno di questa tecnologia comunemente utilizzata per il confezionamento.
Gli affettati hanno gia’ abbastanza chimica necessaria per la conservazione,il sottovuoto potrebbe essere una soluzione.
Certo è una soluzione come le altre
Scusate ma avete verificato la scientificità di certe affermazioni? Dalla vostra descrizione “Il produttore che vende di prosciutto cotto affettato conservato in vaschette confezionate in atmosfera modificata, magari sottoponendo i contenitori a un preventivo passaggio sotto lampade UV per ridurre la carica microbica” sembrerebbe che è il prosciutto a subire un passaggio sotto lampade UV, il che non può avvenire in una camera bianca in presenza di persone perché i raggi UV sono dannosi per la pelle e gli occhi e occorrerebbe – forse – una attrezzatura speciale E’ corretta l’affermazione che i raggi UV possono sanificare aria e materiali (generalmente le bobine di laminato plastico che verranno formate in vaschetta), ma ciò viene svolto in maniera preventiva, generalmente la sera quando l’attività umana è sospesa. Dopo di che il prosciutto cotto non è sterile e la carica microbica pur piccola in esso presente inizierà a moltiplicarsi nella vaschetta. La sicurezza che l’azienda potrà dare sarà l’assenza di microrganismi patogeni se ha effettuato una corretta cottura e pastorizzazione e una accurata igiene delle linee di affettatura, secondo il proprio piano HACCP, prima e durante le operazioni di taglio.
Perciò anche se il TMC potrà essere aumentato non c’è da immaginare di chissà quanto o che “non scada mai”. Anzi sarebbe più opportuno specificare la data di confezionamento, perché dopo 20 giorni un cotto comincia a perdere le sue proprietà organolettiche.
Tra l’altro bisogna anche considerare che ci sono trattamenti di ulteriore sanificazione che potrebbero essere utilizzati a vantaggio del consumatore e anche dell’industria, ma non sono completamente praticabili, almeno in Italia Il trattamento con alte pressioni che non si concilia però con l’atmosfera modificata (è consigliato per confezioni sottovuoto o microaerate) e il trattamento con bioprotettori, cioè l’aggiunta di microorganismi buoni (lattici) inibitori dei deterioranti in quantità iniziale di 10+E5. Il trattamento con bioprotettori porterebbe presto la carica microbica a valori come se ne trovano negli yogurt, ma in assenza di una specifica regolamentazione o legge la GD che considera elevata una carica mesofila di 10+E6 (un milione ufc/g) potrebbe rifiutare il prodotto
Sarei proprio curioso di testare l’Hpp con una confezione microaerata…
L’Hpp si può usare su qualsiasi contenitore che sia ermetico e contemporaneamente deformabile (se no esplode). Poi va fatto uno studio di shelf life, perchè non tutti i prodotti beneficiano effettivamente di questo trattamento, che in taluni casi può influire poco sulla sanificazione (prodotti con Aw troppo bassa), o dare problemi accelerando reazioni enzimatiche indesiderate o alterare la texture.
Ma Giuseppe sa quello che scrive? basta soltanto l’affermazione che le aziende ” tratterebbero le vaschette con raggi UV la sera prima del confezionamento in assenza di personale” per dare un’idea di quante bufale possano passare attraverso il web e la mente di tanti “bempensanti” che ritengono di detenere la verità senza documentarsi adeguatamente
Per Rino:
il sottovuoto può andar bene per prodotti a bassissima Aw, ( tipo speck) pur non consentendo di mantenere ben separate le fette. Per prodotti diversi, esempio il prosciutto cotto, dove si vogliono presentare le fette comparabili al taglio fresco, e con Aw vicino al limite, molto meglio l’atmosfera modificata, che garantisce l’assenza di ossigeno ed abbassa il pH agendo da ulteriore barriera conservante (utilissima a fronte di una seria analisi HACCP. Non è il caso di parlare di atmosfera modificata come conservante chimico dannoso alla salute del consumatore. Peraltro ben venga l’utilizzo di conservanti ammessi che creano barriere indispensabili di sicurezza sanitaria. Lo slogan “SENZA CONSERVANTI” al pari di altri “SENZA…”, oltre ad essere spesso fuorviante e in qualche caso addirittura illegale, induce il consumatore a pensare che i conservanti servano soltanto a frodare: niente di più falso e fuorviante.
@Simone: parlo a ragione di causa, sono un Tecnologo Alimentare e ho sperimentato. Il problema dell’inapplicabilità delle HPP alle confezioni MAP non è tanto nei materiali, che potrebbero essere pure flessibili, ma nello spazio di testa che contiene gas il quale per il principio della fisica aumenta di volume all’aumentare della pressione. Poi convengo con lei che il sistema è molto più adatto a confezionamento sottovuoto e deformabile, proprio per questo non applicabile ai prodotti in vendita in Italia in vaschette ATM. Ma chi esporta in USA con le HPP non ha alcun problema.
@Costante: ugualmente so quello che scrivo e non mi bevo le “bufale” del web. L’articolista non ha dato un’informazione sbagliata ma sembrerebbe in quel contesto che il prosciutto risulterebbe meno contaminato perché le vaschette sono trattate agli UV. In realtà è noto che gli UV sono sanificatori ambientali (acqua, aria) e come tali l’esposizione di qualunque oggetto alla sua luce è in grado di inattivare le cellule batteriche residue (al pari di provocare danni, per esposizione diretta, alla pelle umana e agli organi sensibili come gli occhi). Per questo vengono utilizzati per sanificare i coltelli dopo averli lavati e si possono quindi sanificare le bobine che poi verranno termoformate in vaschetta, ovviamente in un ambiente chiuso e schermato. Tutto qui.
PS: prima dell’atm c’era il sottovuoto… Quanto ai conservanti e additivi, si possono fare prodotti “senza”: basta sostituire gli additivi -che possono essere sia naturali che chmici – con sostanze per lo più vegetali che li contengono naturalmente. Nessuna frode solo è necessaria una corretta informazione
Giuseppe, la tecnologia, da quando a fine anni 70 confezionavo prosciutto in vaschetta per una azienda di distribuzione alimentare leader inglese con le prime prove di atmosfera modificata (adattata al tipo di prodotto) in collaborazione con la Staz. Sper. Conserve di Parma, è evoluta, e i trattamenti UV sulle vaschette termoformate si fanno in linea in condizioni di massima sicurezza per gli operatori. Per gli arnesi di taglio e di preparazione si usaavano procedure appropriate, al pari dell’igiene degli addetti e della gestione di reparto. A bocce ferme si accendevano lampade UV con appropriati sistemi di spegnimento automatico all’apertura del reparto.Anche le bobine di copertura e quelle da termoformare sono ormai con carica microbica superficiale estremamente ridotta (la loro produzione viene da tempo fatta in condizioni igieniche molto migliori in ambienti con aria filtrata e separati da sorgenti polverose ( sin dagli anni ’80 stabilimmo capitolati appositi con i produttori aderenti al GIFLEX).
Hai detto bene, “a bocce ferme”… quello che ho detto io!