Il pomodoro cinese che invade il mercato italiano è una delle bufale meglio riuscite degli ultimi anni. La favola è stata così ben raccontata che milioni di consumatori sono convinti di trovare sugli scaffali bottiglie di passata o di polpa ricavate da concentrato di pomodoro cinese. Questa storia è stata per anni supportata dai comunicati stampa di Coldiretti che denunciavano l’incremento costante e continuo delle importazioni.
Per essere più convincente, la lobby degli agricoltori faceva il calcolo delle quantità di pomodoro in arrivo, moltiplicando per due o per tre le tonnellate di doppio e triplo concentrato “made in Cina”. Il bombardamento mediatico ha determinato un flusso di notizie e di servizi televisivi che hanno, di fatto, trasformato la bufala in notizia.
Le Iene e il pomodoro cinese
L’inchiesta più seguita dagli italiani è stata probabilmente quella del programma Le iene firmata da Nadia Toffa, che si è recata in Cina per intervistare imprenditori locali pronti a giurare che in Italia viene spedito un concentrato di pomodoro di pessima qualità con una quantità di pesticidi e antiparassitari ben al di sopra dei limiti imposti dalla normativa europea. Secondo Nadia Toffa queste partite passano la frontiera italiana attraverso strane manovre magheggi. La cosa risulta alquanto curiosa visto che negli ultimi 5 anni il Sistema di allerta rapido europeo (Rasff) che segnala i prodotti ritirati e richiamati dal mercato, ha rilevato solo due casi a carico del pomodoro cinese a fronte di 18 mila irregolarità registrate per altri prodotti.
Il libro Rosso marcio
La conferma della bufala sull’invasione del pomodoro cinese, è confermata dal recentissimo libro “Rosso marcio” di Jean Baptiste Malet, edito da Piemme. L’inchiesta giornalistica realizzata dall’autore recandosi nei principali centri di produzione e lavorazione del concentrato di pomodoro in Asia e in Italia, spiega molto bene come ha fatto la Cina a diventare in 15 anni il principale produttore mondiale di concentrato di pomodoro. Il testo descrive con dovizia di particolari le regioni dove il pomodoro viene coltivato e il funzionamento della filiera compresa la visita agli stabilimenti dove si lavora la materia prima con macchinari italiani.
Nella seconda parte del libro si parla del porto di Salerno e di Napoli dove approdano navi cariche di doppio e triplo concentrato destinato ad alcune imprese della Campania. In queste aziende il prodotto viene diluito e trasformato prima di essere confezionato in scatolette e spedito in Libia, Ghana, Nigeria e decine di altri cento Paesi. I prodotti riportano sulle etichette marchi a noi sconosciuti come ad esempio “Gino”, la dicitura “Made in Italy” e i colori della nostra bandiera.
Il pomodoro cinese importato e poi riesportato
Probabilmente è vero che nella maggior parte dei Paesi africani la dicitura “Made in Italy” sulla lattina può lasciare intendere agli acquirenti che le scatolette contengono pomodoro coltivato nella penisola. Purtroppo la legge europea ritiene legittimo riportare questa scritta quando la trasformazione del pomodoro viene fatta in Italia. La stessa cosa succede per la maggior parte della pasta venduta nei nostri supermercati che, pur essendo ottenuta con miscele di grano italiano e importato, riporta la dicitura “Made in Italy”. La differenza sostanziale è che le scatolette di pomodoro confezionate con materia prima cinese sono tutte vendute all’estero.
Il libro denuncia le forme di sfruttamento della mano d’opera e del caporalato, ma non dà molto spazio all’ipotesi che una parte di concentrato di pomodoro cinese finisca in prodotti italiani, come dichiara Coldiretti in un’intervista senza però avanzare uno straccio di prova. Grazie a un sistema di informazione capillare, molti giornalisti in cerca di facili ascolti e di click propongono periodicamente fake news dove si lascia intendere la presenza di pomodoro “cinese” nel prodotto italiano. Negli articoli si dimentica di precisare che il concentrato importato in Italia è solo in “transito”.
La propaganda di Coldiretti funziona anche grazie a numeri, statistiche, immagini e illazioni abbinate a narrazioni ricche di particolari suggestivi. A poco sono valse le dichiarazioni dell’associazione dei produttori che da anni respinge le accuse, spiegando come funziona il flusso del concentrato di pomodoro cinese. Troppi preferiscono raccontare la storia in un altro modo trasformando le favole in vere fake news.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Dalla testimonianza del resoconto ne ricavo questa sintesi:
– L’importazione di importanti quantità di concentrato di pomodoro dalla Cina non è una bufala, ma una verità ormai assodata e verificata.
– La trasformazione in prodotto ricostituito e venduto avviene in Italia da parte produttori italiani.
– Le vendite sono destinate prevalentemente a paesi africani, spacciando il prodotto cinese ricostituito per un falso Made in Italy.
– Nessuno al di fuori dei trasformatori stessi, sa con certezza quanto prodotto trasformato finisca all’estero e quanto prenda una strada più breve, verso il mercato italiano ed in quale forma di prodotto finito.
Se ho sbagliato qualche punto della sintesi accetto correzioni nel merito.
– Auspico che l’indicazione dell’origine della materia prima in etichetta, faccia vera luce non solo per il prodotto venduto in Italia ma anche per quello esportato, per non confondere la qualità di un’eccellenza italiana con un ricostituito da concentrato di qualsivoglia provenienza.
E non per dar ragione a Coldiretti, ma per una sacrosanta trasparenza verso tutti consumatori di prodotto vero italiano e non “italian auto-sounding”.
Il controllo sul concentrato di pomodoro in transito viene fatto da sempre per cui questa ipotesi dell’impiego per il prodotto nazionale è una favola. In queste aziende si produce solo per l’estero.
Il Made in italy è anche sulla pasta Barilla prodotta in parte con grano importato e in tanti altri prodotti come nelle mozzarelle preparate con cagliate importate ecc.
La qualità del concentrato di pomodoro cinese non è per definizione “mediocre” e il vero Made in Italy non è per forza “un’eccellenza”
Sull’opportunità di indicare l’origine delle materie prime siamo d’accordo, ma questa non è una richiesta di Coldiretti ma un semplice diritto dei consumatori
a dire il vero l’indicazione c’è ed è scritto “pomodoro italiano 100%”
Perché sia chiaro il concetto di qualità, vorrei puntualizzare che pomodoro lavorato e confezionato da raccolto stagionale è sicuramente migliore di un ricostituito da concentrato di qualsivoglia provenienza, anche italiana.
Stessa cosa vale per i vari succhi di frutta, qualitativamente migliori da fresco stagionale, piuttosto che ricostituiti da concentrato.
Per la pasta la quota d’importazione è motivata da un parametro tecnico, che è la forza del glutine (non la percentuale di proteine del grano duro), per ottenere pasta più resiliente in produzione e resistente in cottura.
Per il latte e le cagliate spesso gioca solo il prezzo, ma qualche volta anche il contenuto tecnico nutrizionale funzionale al prodotto finito.
Per il pomodoro non sono a conoscenza di migliori caratteristiche tecnologiche o qualitative di prodotto straniero, ma propendo per la sola e legittima scelta economica dei trasformatori.
Qualità diverse non paragonabili per processi ed esigenze diverse, ma che in comune hanno la necessità d’essere esplicite e ben indicate in etichetta, per rispetto e trasparenza verso i consumatori, che vedendo la bandiera oppure un marchio italiano pensano di mangiare nostrano, o vero italiano se clienti stranieri.
Complimenti a Roberto La Pira! Noto che pur non essendo uno specialista del settore è riuscito a raccogliere informazioni dettagliate che le hanno permesso di esporre i fatti con intelligenza.
Articolo molto interessante. Coldiretti, ancora una volta, non perde occasione di dare il peggio di se stessa… Per quanto riguarda il pomodoro cinese, come per tutti gli altri prodotti importati da Paesi non-UE, so dalla mia esperienza presso il Ministero della Salute che i controlli all’importazione sono affidati agli USMAF. In ogni caso, il livello qualitativo può essere diverso, come per ogni altra merce: dipende dal prezzo e dai controlli di qualità effettuati dal destinatario della partita.
In realtà so per certo che alcune grandi aziende italiane hanno smesso di comprare pomodoro italiano, lasciandolo marcire nei campi della pianura padana per acquistare prodotti cinesi. E questo anche dopo aver stipulato accordi con agricoltori italiani, quindi dopo aver pagato un anticipo sul raccolto che non è mai avvenuto.
Si tratta di affermazioni generiche che andrebbero convalidate da elementi certi