“Il pomodoro cinese è utilizzato per preparare tubetti di concentrato, di salse e altri prodotti italiani”. Questa accusa che viene periodicamente proposta sui media non ha mai trovato riscontri concreti, anche se l’Italia continua ad incrementare le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina da altri Paesi. Sui numeri non si discute ma va però precisato che il concentrato viene importato da un gruppo di aziende che lo impiega per confezionare prodotti destinati ai mercati esteri soprattutto africani. Per questo motivo una parte consistente del prodotto importato è sottoposto al regime di temporanea importazione. In altre parole il concentrato viene rilavorato, confezionato e nuovamente esportato verso Paesi terzi, senza essere sottoposto a dazi doganali.
L’altra cosa da fare è confrontare le produzioni italiane di derivati del pomodoro rispetto agli altri Paesi. Il nostro Paese nel 2020 è risultato essere il terzo produttore di pomodoro fresco destinato alle conserve (circa 5,3 milioni di tonnellate) pari a quasi il 13% della produzione mondiale e il 53% di quella europea. L’altro dato interessante è che il fatturato industriale ammonta a 3,5 miliardi di euro, di cui 1,8 provengono dalle esportazioni. Secondo i dati Ismea (*) l’Italia si conferma inoltre il primo paese produttore ed esportatore di derivati del pomodoro destinati al consumatore finale e il 60% circa delle conserve rosse lavorate viene esportato (quelle biologiche certificate rappresentano il 5% circa delle vendite al dettaglio).
In altre parole possiamo dire che le nostre industrie utilizzano per produrre conserve di pomodoro destinate al mercato interno o all’estero il 75% di materia prima italiana e il 25% di concentrato di pomodoro importato (quest’ultima percentuale è calcolata considerando la potenziale trasformazione del pomodoro concentrato in pomodoro fresco). Questo 25% che equivale a 1,35 milioni di tonnellate è costituito da materia prima in arrivo dalla Cina (10%), da altri Paesi Ue (8%) e per il 7 % dagli U.S.A.
L’Anicav – l’associazione di categoria dei produttori di conserve – da anni spiega che il concentrato importato viene lavorato e confezionato in aziende italiane per essere spedito principalmente in paesi extra Ue, soprattutto in Africa e Medio Oriente. Tant’è che le scatolette e i tubetti hanno marchi a noi del tutto sconosciuti come ad esempio Gino. Nonostante questo lavoro venga svolto alla luce del sole, il dubbio che una parte del concentrato finisca nelle conserve esposte sugli scaffali è sempre stato insinuato da alcune lobby del settore. Questi sospetti vengono supportati in modo pretestuoso, a dispetto di una legge italiana secondo cui le confezioni di pelati, passate, polpe e pomodorini venduti nei nostri supermercati devono essere ottenuti da materia prima 100% italiana.
Un altro aspetto mai evidenziato è la qualità del concentrato di pomodoro cinese che non è stato protagonista di scandali alimentari, e nemmeno di allerta causate da contaminazioni fungina o dalla presenza di sostanze chimiche. L’unica accusa riguarderebbe l’eventuale miscelazione e la trasformazione del prodotto cinese, americano e di altri Paesi Ue in scatolette “made in Italy”. Il problema è che mancando analisi chimiche in grado di classificare l’origine della materia prima, il sospetto della miscelazione ha sempre alimentato il fronte di chi lancia le accuse.
La questione è tornata di attualità quest’anno, quando un’azienda toscana, che ha linee di produzione dedicate al confezionamento di pomodoro per i mercati stranieri, utilizzando concentrato di pomodoro cinese, è stata indagata. Il sospetto è di avere miscelato il prodotto italiano con quello estero senza indicarlo in etichetta. Motivare questa ipotesi non è facile, perché fino a poco tempo fa non esistevano analisi di laboratorio in grado di accertare la provenienza della materia prima.
Adesso c’è una novità. La Stazione sperimentale per l’Industria delle conserve alimentari con sede a Parma (SSICA), sta procedendo con la messa a punto di un test che permette di rintracciare l’origine della materia prima con un buon grado di sicurezza. Il metodo è già stato pubblicato su riviste scientifiche ed è stato oggetto di successive integrazioni e revisioni (l’ultima risale al 25 settembre 2021). La prova si basa sulla mappatura degli elementi minerali presenti nel tubetto di concentrato o nella bottiglia di passata. Sembrerebbe che la presenza di minerali come rame, litio, cobalto, rubidio e stronzio, possa permettere di differenziare il pomodoro italiano da quello coltivato al di fuori dei nostri confini. Il tema è però delicato perché si tratta di cercare quantitativi davvero minimi (parti per milione o per miliardo) e avere un data base di riferimento realizzato con tanti campioni. Occorre quindi avere la certezza del test e la sicurezza che il dato ottenuto sia riproducibile; da qui la prudenza della SSICA nel formulare giudizi.
Secondo Irpimedia l’avvio ufficiale di questi test risale al mese di maggio 2021 e sino ad oggi sono stati effettuati 40 campioni circa. A richiederli sono controllori come ‘Ispettorato centrale repressioni frodi del Mipaaf. Le richieste provengono anche da operatori della grande distribuzione, interessati a certificare l’origine dei prodotti a base di pomodoro, confezionati con il loro marchio dalle aziende conserviere. A questo punto possiamo solo auspicare che le prove di laboratorio (confermate da ulteriori indagini e confronti statistici) vengano riconosciute come ufficiali in modo da stabilire con certezza l’origine del pomodoro senza lasciare spazio a illazioni o supposizioni come si è fatto negli ultimi anni.”
(*) Fonte Ismea – Conserve di pomodoro: principali dinamiche della campagna 2020) Alcune cifre del report sono ottenute da una rielaborazione che comporta un certo grado di approssimazione
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
L han fatto tutti il nome dell azienda toscana ed a 6 mesi, parlare ancora di sospetto, è a dir poco protezionistico verso la parte lesa.
Se oggi non c è più quel marchio sugli scaffali, un motivo più veritiero ci sarà, anche il loro odc della filiera certificata ha negato la vendita della p.l. di un importante gdo italiana (sicuramente più di quella che sicuramente so) che proprio l aspetto filiera certificata sponsorizzava in etichetta, centinaia di pedane già etichettate bloccate…
Come lo è l affermazione: la qualità del concentrato di pomodoro cinese che non è stato protagonista di scandali alimentari.
Dall operazione scarlatto 1 passiamo alla scarlatto 2, non si parla di pesticidi non consentiti nel concentrato egiziano ritrovato? Vogliamo negare che in quelli cinesi non ci siano pesticidi mplto più convenienti vietati in Europa e non lì?
Si può non essere accusatori ma neutrali anche di fronte a certezze, va bene, ma addirittura avere una linea ancora in difesa dell indifendibile ancora oggi, la vedo insensata.
Nel mio settore come in tutti ci sono gli onesti e non, io che avrei più interesse a difenderlo ad oltranza e resto trasparente e sincero per mia formazione, certa stampa che deve esserlo per forza, non lo fa.
Di solito publichiamo i nomi delle aziende quando ci sono prove certe o comunicati ufficiali delle autorità .In questo caso c’è un sospetto da dimostrare perché a quanto ci risulta l’azienda ha una doppia linea di produzione una l’estero e una per l’Italia.Da 10 anni sia parla di pomodoro cinese ma fino ad ora nessuno è stato accusato di miscelare i due prodotti
Per non cadere nella salsa cinese io tutti gli anni mi faccio la salsa in casa per tutto l’inverno, forse con la transizione ecologica bisognerebbe fare un passettino indietro e evitare tutti quei prodotti confezionati, ti senti soddisfatta, scarichi un po’ di nervosismo e puoi farla coinvolgendo tutta la famiglia……per non parlare del gusto e del profumo
Complimenti a Francesca..Dovremmo fare un po’ tutti come lei.
Rimane che, al di là della eventuale frode che si avrebbe nel vendere un prodotto cinese per italiano, le differenze organolettiche sono inesistenti, se ci si deve basare sulla differente presenza di minerali in quantità riferite a ppb… Questo per dire che se facciamo un panel test e facciamo assaggiare una pasta al pomodoro cinese, non se ne accorgerebbe nemmeno Cracco… Alla faccia del “i nostri prodotti sono i migliori del mondo”
Il sig. Antonio dice una cavolata bella e buona. Il marchio Toscano e’ sugli scaffali della Grande distribuzione senza problemi e non e’ mai stato sequestrato sugli scaffali. Gran parte della merce sequestrata nei magazzini dell’azienda toscana e’ stata dissequestrata perche’ prodotta con pomodoro 100% toscano. Il problema dell’azienda toscana e’ legata alla produzione di marchi esteri con concentrato estero ( l’ignoranza non ha limiti se pensate che sia solo cinese il concentrato ) di provenienza prevalentemente spagnola portoghese . Naturalmente si tratta indiscutibilmente di peccati e per questo l’azienda paghera’ e sta gia’ pagando con la perdita di fatturato (e naturalmente con perdite di unita’ lavorative). Si tratta di peccati veniali non originali ma sempre di peccati si tratta . Trovo strano che non si indaghi su una azienda di sughi di pomodoro datterino e ciliegino che produce per una buona parte dei prodotti a marchio della grande distribuzione che non ha una ettaro di pomodoro . Ma di questa naturalmente non si parla perche’ non e’ famosa come l’azienda toscana.