All’apparenza le pods sono molto pratiche, perché permettono di non dosare ogni volta il detersivo, e anche accattivanti, grazie ai vivacissimi colori. Ma le capsule monodose per lavastoviglie (e lavatrice) sono anche sicure per chi le usa e per l’ambiente? Non del tutto, anche se non ogni possibile criticità è stata studiata, e su quelle note non c’è sempre accordo.
Per questo Time ha pubblicato un articolo in cui focalizza l’attenzione sulla plastica usata nelle “pods”, su qual è il suo destino una volta entrata a contatto con l’acqua e su che cosa si sa in merito all’accumulo tanto negli organismi viventi quanto nelle acque.
Una plastica particolare
Le pods sono costituite da un polimero con caratteristiche specifiche, che assicurano una grande idrorepellenza. Questa, a sua volta, garantisce che esse si sciolgano solo con acqua al di sopra di una certa temperatura, evitando che lo facciano per il semplice contatto con le mani. Il polimero in questione è l’alcol polivinilico o PVA opportunamente lavorato che, in teoria, è meno pericoloso e tossico riaspetto ad altri polimeri plastici derivati dal petrolio, soprattutto per la sua capacità di dissolversi in acqua senza lasciare frammenti. Da questo punto di vista, il PVA non genera micro- o nanoplastiche, ma una soluzione che nel tempo si scompone del tutto. E ciò assicura, in teoria, che non vi siano residui plastici sulle stoviglie lavate.
Tuttavia, la situazione è più complicata di così, e forse il PVA non è così eco-friendly come lo si descrive di solito. L’acqua con il polimero sciolto arriva infatti agli impianti di depurazione, andando incontro a un destino che non è sempre lo stesso. Secondo alcuni esperti interpellati da Time, oggi gli impianti di trattamento hanno le procedure e i reagenti giusti per eliminare anche il PVA sciolto in acqua, ma secondo altri no: nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, i sistemi di depurazione non sono stati pensati per questo scopo, e non sono del tutto adattabili a esso.

I rischi delle pods
Non ci sarebbero comunque rischi evidenti, come ha mostrato uno studio del 2021. Al massimo entro uno-due mesi tutto il PVA dovrebbe sciogliersi, anche perché i microrganismi presenti riescono a degradarlo più in fretta di quanto non accada con altre plastiche più compatte e resistenti. Per questo motivo l’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense ha incluso le pods nella piattaforma chiamata Safer Choice e l’Environmental Working Group ha promosso quelle contenenti polveri (quelle con liquido no, perché possono essere più facilmente ingerite dai bambini).
Tuttavia, secondo altri come Charles Rolsky dello Shaw Institute (un’organizzazione no profit che si occupa dei legami tra ambiente e salute) il PVA può non essere del tutto decomposto, proprio perché gli impianti non sono stati studiati per questo scopo: molto dipenderebbe dalla temperatura, dai ceppi di batteri utilizzati e da altre caratteristiche e condizioni del singolo stabilimento. Una controprova sarebbe la presenza di grandi quantità di PVA in mare, attestata da uno studio del 2021 condotto dallo stesso Rolsky. Un materiale di cui si sa poco, così come non si sa quasi nulla delle interazioni con ciò che lo circonda. Come ha commentato Rolsky “è come se la plastica si trasformasse in qualcosa che non sappiamo neppure definire”. Quantomeno, sarebbe il caso di avere le idee un po’ più chiare, cioè di studiare meglio il materiale di transizione tra il PVA e la sua dissoluzione completa.
Che cosa accade al PVA nell’organismo?
Ma se davvero il PVA non si degrada del tutto a raggiunge i mari e, da lì, gli esseri umani e gli organismi viventi, che cosa succede? Ci sono rischi? Sempre in teoria accade poco o nulla, perché la sua natura idrosolubile lo rende molto meno incline ad accumularsi nei tessuti adiposi rispetto ad altri polimeri. Una conferma è arrivata dallo studio italiano sui contaminanti nel latte materno, del 2022. In quel caso era stato analizzato il latte di 34 donne, e in 26 campioni erano state trovate plastiche di vario tipo. Il PVA, però, rappresentava solo circa il 2% del totale.
Per restare alle fonti alimentari, tra i diversi alimenti i pesci sembrano poco contaminati, secondo dati ottenuti in Giappone. Anche se altre ricerche avevano messo in evidenza un effetto sulla riproduzione delle rane e dei pesci, nel 2023 l’EPA ha rigettato una richiesta fatta da alcune ONG tra le quali lo stesso Shaw Institute di introdurre regolamento più stretto delle pods, considerate non pericolose.
Un altro aspetto da considerare è la possibilità che il PVA funzioni da trasportatore per altri contaminanti come i pesticidi, anche se non si lega ai metalli pesanti ed è quindi difficile che formi aggregati stabili. Anche in questo caso, occorrerebbero studi che, al momento, non sono ancora disponibili.
Infine, resta da approfondire l’effetto di accumulo dato dall’assorbimento di PVA anche in quantità minime, ma protratto per anni.
In attesa delle molte risposte che mancano, per ridurre al minimo i rischi e contribuire a tenere sotto controllo la richiesta di plastiche – la cui produzione sta aumentando, in compensazione del minor consumo di carburanti fossili – la scelta da mettere in pratica è semplice e facile: preferire sempre i detersivi in polvere o liquidi.
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Giornalista scientifica



Mai usato i ‘pods ‘.Per fare la lavatrice utilizzo un “sapone vegetale ” certificato Vegan.E’ un sapone dalla consistenza molto morbida ( il sapone vegetale sembra quasi una cera pongo e si scioglie a contatto con l’ acqua.Non utilizzo mai saponi vegetali duri perché potrebbero rovinare la lavatrice o accumularsi dietro il cassetto della lavatrice creando accumulo e danno …Solo se c e reale necessità di utilizzare un disinfettante ne aggiungo un pochino.In questo modo ho capi sempre puliti e morbidi. .
Interessante! Posso saperne di più? Dove si compra?
Si fa una grande pubblicità su internet circa i foglietti detersivi sia per lavastoviglie che per lavastoviglie. Esistono informazioni su questa tipologia di prodotti. Grazie per il vostro prezioso lavoro.
Buon giorno.
Come sempre i dati vanno interpretati.
Lo studio italiano sul latte materno ha trovato solo nel 2% di PVA . Credo però che se il PVA ha una percentuale d’uso più bassa, rispetto alla totalità delle plastiche vuol solo dire che la sua presenza nel latte incide di più che le altre plastiche.
Per semplificare: si usano quantità infinitesimalli di PVA rispetto al totale delle plastiche. Una percentuale del 2% è quindi, presumo, altissima!!