In Italia e nel mondo un ruolo importante nell’insorgenza delle malattie croniche è ricoperto dall’eccessivo consumo di sodio e dall’insufficiente assunzione di iodio. Assumere quantità elevate di sale (composto da molecole di sodio e cloro) attraverso la dieta aumenta i rischi cardiovascolari correlati all’ipertensione arteriosa, ma anche ad altre malattie cronico-degenerative, come i tumori dell’apparato digerente (in particolare quelli dello stomaco), l’osteoporosi e le malattie renali. Per questa ragione, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda un consumo giornaliero moderato, non superiore ai 5 g di sale, corrispondenti a circa 2 g di sodio.
Per compensare la carenza di iodio invece è sempre più diffusa l’abitudine di usare in cucina sale arricchito di iodio. La carenza ha un impatto sullo sviluppo e sul funzionamento della ghiandola tiroidea, che a sua volta regola funzioni vitali, tra cui l’acutezza mentale e la parola, o le condizioni fisiche. La presenza di iodio svolge un ruolo importante nel regolare la produzione di energia dell’organismo, ne favorisce la crescita e lo sviluppo stimolando il metabolismo basale e assume particolare interesse durante la gravidanza e l’allattamento. Un apporto molto insufficiente di iodio nella vita fetale e neonatale può provocare l’arresto della maturazione dell’encefalo con deficit intellettivi, sordomutismo e paralisi spastica, ma anche la carenza lieve o moderata compromette le funzioni cognitive e motorie.
Lo iodio è introdotto nell’organismo esclusivamente con gli alimenti e viene eliminato soprattutto con le urine. Una dieta seppure equilibrata garantisce solo il 50-60 % del fabbisogno giornaliero di iodio (90 μg nei bambini fino a 6 anni, 120 μg in età scolare, 150 μg negli adulti). Durante la gravidanza e l’allattamento il fabbisogno aumenta a 250 μg per garantire una corretta funzione tiroidea materna e fetale. È necessario quindi integrare l’assunzione quotidiana.
La misura più efficace ed economica, raccomandata dall’Oms e dall’Unicef per prevenire le malattie da carenza di iodio consiste nell’arricchimento con iodio del sale da tavola, usato sia in cucina che dall’industria alimentare e del sale destinato all’alimentazione degli animali da allevamento. C’è generale consenso infatti nel raccomandare l’uso di sale iodato a tutta la popolazione, indistintamente per condizioni individuali in quanto, a fronte di un consumo moderato di sale, nei limiti indicati dall’Oms, le quantità di iodio raggiunte rientrano ampiamente nei livelli di assunzione, restando comunque molto al di sotto dei livelli massimi accettabili.
In Italia, con la Legge n. 55 del 21 marzo 2005, si è scelto di raccomandare “meno sale ma iodato”, obbligando i rivenditori a offrire preferibilmente il sale iodato, promuovendone il consumo in alternativa a quello comune, rendendolo disponibile in tutti i punti vendita di generi alimentari.
Per quanto riguarda il sale iodato, attualmente, in Italia la maggior parte dei consumatori acquista il sale in esercizi in cui ci si serve da soli e dove il sale comune e quello iodato sono esposti assieme, cosicché il consumatore può scegliere. Nonostante la raccomandazione e la legge sulla iodoprofilassi, nel 2012 il sale iodato rappresentava solo il 54% del totale del sale venduto in Italia dalla grande distribuzione, il 25% di quello usato nella ristorazione collettiva e dal 2% al 7% di quello impiegato nell’industria alimentare. Sembra che, da sole, le misure adottate non siano ancora riuscite a generalizzare l’acquisto e il consumo di sale iodato.
I risultati di questa indagine evidenziano che gli atteggiamenti dei medici di famiglia e la pratica di raccomandare a tutti gli assistiti di consumare “meno sale ma iodato” sono associati alle loro conoscenze. Tuttavia, la frequenza di medici con una conoscenza piena dell’eccesso di sodio nell’alimentazione e la frequenza di quelli che conoscono la raccomandazione sul sale iodato e la Legge 55/2005 sono risultate insufficienti. Solo la metà dei medici ha un “approccio preventivo” relativamente alla riduzione di sale e solo il 22,9% ha un “approccio preventivo” in relazione al sale iodato. Se tali frequenze fossero confermate, sarebbe necessario ripensare alcuni aspetti della strategia adottata. Infatti, una strategia completa, oltre alla riformulazione e alla regolamentazione dei prodotti alimentari, che rendano disponibili cibi con minor contenuto di sodio e che siano preparati con sale iodato, include un’altra essenziale componente: la consapevolezza della popolazione che può essere migliorata solo con l’appoggio dei medici di famiglia. In conclusione, per portare al successo la strategia sintetizzata nello slogan “meno sale ma iodato” è cruciale che si sviluppi un buon livello di consapevolezza e partecipazione della popolazione che può essere motivata solo se i medici sono convinti della serietà di questi problemi di salute e favorevoli a queste misure.E’ perciò necessario che, nella formazione pre e post-laurea dei sanitari, venga dato maggiore spazio ai temi della riduzione generalizzata dell’introito di sale e della iodoprofilassi.
Testo elaborato dal sito di Epicentro
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giornalista redazione Il Fatto Alimentare