Quando si effettuano le stime sul quantitativo totale di plastica presente nell’ambiente e, in particolare, nei mari, ci si imbatte inesorabilmente in un paradosso: all’appello mancano milioni di tonnellate di polimeri vari, che sono stati prodotti, ma che apparentemente non sono in mare come detriti e particelle varie. Dove sono finiti? A questa domanda, importante per capire il ciclo vitale della plastica, risponde ora uno studio pubblicato su Nature dai ricercatori dell’Università di Utrecht, nei Paesi Bassi, che hanno effettuato una spedizione nel Nord dell’Oceano Atlantico, raccolto centinaia di campioni e trovato una risposta sconvolgente: quella plastica fantasma è tutta lì, in mare, e non si vede solo perché è in dimensioni nanometriche, cioè di milionesimo di millimetro, che sfuggono a molti metodi di misurazione.
La spedizione della Pelagia
I ricercatori olandesi sono partiti dalle isole Azzorre diretti verso il Nord Europa, e hanno prelevato campioni in 12 punti tra il Nord dell’Atlantico, la Francia, e poi il canale della Manica e infine i Paesi Bassi. Quindi li hanno analizzati nel loro laboratorio di Utrecht, dopo aver filtrato ed eliminato tutto ciò che aveva un diametro superiore a un micron (millesimo di millimetro). Hanno così scoperto che l’acqua dell’Oceano contiene quantità di nanoplastiche che variano da 1,5 a 32 milligrammi per metro cubo di acqua, di polietilene tereftalato (PET), polistirene (PS) e polivinilcloruro (PVC), con le concentrazioni massime nelle zone intermedie (cioè non troppo superficiali né troppo profonde).

Plastica fantasma
Applicando i risultati a tutto il Nord Atlantico, e tenendo conto di una serie di fattori climatici e geografici, sono giunti alla conclusione che, nella sola zona considerata, e cioè la parte di oceano che va dalle zone subtropicali fino a quelle più temperate, a nord, l’acqua conterrebbe la strabiliante quantità di 27 milioni di tonnellate di nanoplastiche invisibili. E probabilmente si tratta di una stima affidabile, dal momento che questo corrisponde, almeno come ordine di grandezza, alla plastica che manca all’appello nel paradosso. Anzi, a quella che, secondo i calcoli, dovrebbe essere dispersa in tutto l’Atlantico del Nord o, secondo altre stime, in tutti gli oceani. In altre parole, sarebbe presente in concentrazioni più elevate rispetto alle valutazioni relative alla plastica che manca all’appello e, quindi, nel mondo ve ne sarebbe molta di più.
Uno dei motivi per i quali il mare contiene così tante nanoplastiche è la facilità con la quale le particelle, diventate così piccole per azione degli agenti atmosferici, si disperdono attraverso ogni possibile via: l’acqua dei fiumi e degli scarichi, ma anche l’aria e la pioggia.
Le conseguenze sono note: tutti gli esseri viventi hanno ormai nel proprio organismo quantitativi più o meno elevati di micro e nanoplastiche. Stando solo a uno degli ultimi studi, si trovano anche nel liquido follicolare e in quello seminale di una, fatto che potrebbe spiegare in parte il calo della fertilità visibile in tutto il mondo.
Purtroppo, se la situazione è questa, è impossibile pensare di eliminare le nanoplastiche dal mare: non si può che cercare di limitare l’arrivo di nuove particelle.
Vermi mangia-plastica
Sulla terraferma, invece, un aiuto alla decontaminazione potrebbe arrivare dai bruchi delle tarme della cera (Galleria mellonella), che nel 2017 alcuni ricercatori hanno indicato come possibili divoratori di polietilene, di cui si producono ogni anno cento milioni di tonnellate. Ora uno studio reso noto al congresso della Society for Experimental Biology Annual Conference svoltosi ad Antwerp, in Belgio, dai ricercatori della Brandon University, in Canada, al torna sul tema, definendo meglio le capacità di questi bruchi e le conseguenze di una dieta interamente basata sul polietilene.
Per dare un’idea: circa duemila tarme mangiano interamente un sacchetto di polietilene in 24 ore, ed è probabile che, integrando con qualche nutriente come lo zucchero, il numero di tarme necessario sia molto inferiore. Inoltre, i test effettuati hanno permesso di capire che cosa accade al polietilene: viene trasformato in lipidi e questi vengono accumulati. Tuttavia, qualcosa intossica i bruchi: non sopravvivono più di qualche giorno, con una dieta di solo polietilene, e perdono comunque peso, anche se accumulano grasso. È però possibile, secondo gli autori, che integrando la dieta si riescano a contrastare questi effetti. Qualora si trovassero condizioni ottimali di crescita di bruchi alimentati a polietilene, oltre ad affrontare in modo del tutto naturale alcune decontaminazioni, si avrebbe una produzione di proteine da destinare, per esempio, alle acquacolture, con ulteriori benefici. Lo studio delle potenzialità dei bruchi mangiaplastica continua.
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Giornalista scientifica



Purtroppo le larve della galleria mellonella sono un ben noto nemico degli alveari, già che le api in questo momento non se la passano molto bene………….
E purtroppo la plastica ormai inquina i terreni e i boschi anche a discreta profondità, ogni volta che si va a scavare salta fuori di tutto ormai inglobato.
Ma l’aspetto peggiore, leggendo lo studio originale, è rappresentato dalla prudenza eccessiva nel dichiarare la realtà e l’intenzione scientifica di impostare lunghissimi studi ulteriori prima di dire una sola parola chiara………………….
Nemmeno con i risultati in mano,come i 27 milioni di tonnellate di microplastiche nell’oceano e si parla per difetto, dunque potrebbero essere molte di più, si sono visti nonostante gli sforzi di chi sta facendo di tutto per eliminare la plastica che sta contaminando i nostri oceani, gli sforzi incredibili della scienza per fermare il propagarsi della microplastiche nelle vite dei di chi abita nei nostri oceani, un fallimento come il Summit di Ginevra voluto da chi ha in mano le lobby mondiali petrolifere o meglio i petrostati,più follia di così non possono fare.
Complimenti per il Summit di Ginevra e il trattato che doveva limitare finalmente l’uso della plastica, a livello mondiale, finito con un ennesima nulla di fatto, voluto da chi ha in mano il mondo, con la produzione della stessa, i petrostati e negazionisti climatici,era una delle ultime speranze per limitare l’abuso della produzione mondiale, finito con un totale strapotere di usa il petrolio per la devastare ancora ciò che bello ci è rimasto.