Sala del laboratorio idroponico su navicella spaziale con podio circolare vuoto.Rendering 3D spazio space universo gravità

Nonostante gli annunci sempre più roboanti su ipotetiche missioni spaziali prolungate e viaggi verso Marte ormai vicini, il momento in cui gli esseri umani potranno affrontare lunghe missioni e permanenze in condizioni di microgravità o di assenza di gravità su pianeti, satelliti e veicoli non è ancora così prossimo. Per un motivo di cui non si parla abbastanza: la necessità, ineludibile, di produrre vegetali freschi per alimentare gli astronauti (o i coloni).

L’organismo umano non può infatti contrastare i già pesanti effetti dello spazio alimentandosi solo con cibi pronti e supplementi e, oltretutto, anche se fosse così, i veicoli non potrebbero trasportare tonnellate di cibo. Per questo, da almeno mezzo secolo, cioè fino dall’inizio dei voli, c’è chi studia il comportamento delle piante in condizioni di gravità diverse da quelle della Terra e di esposizione ai raggi cosmici, e come riuscire a farle crescere in modo continuo, nello spazio come in eventuali basi (per esempio lunari).

L’Italia è da tempo tra i protagonisti di questo tipo di indagini, e ora una delle ricercatrici che più ha contribuito agli studi degli ultimi anni (e continua a farlo), Stefania De Pascale, ordinaria di orticultura e floricultura del Dipartimento di agraria dell’Università Federico II di Napoli e fondatrice, nel 2019, del Laboratory of Crop Research for Space, racconta in un libro uscito per Aboca, Piantare patate su Marte – il lungo viaggio dell’agricoltura, a che punto siamo.

Il racconto del cibo spaziale

Per comprendere che tipo di sfide si trovino ad affrontare i ricercatori, De Pascale ricorda alcune delle difficoltà principali con cui devono fare i conti le piante. Prima tra tutte, la diversa forza di gravità, che tende a modificare profondamente gli equilibri interni e a compromettere la struttura. Per esempio, le radici non riescono ad aggrapparsi a nulla, se non trattenute dalla gravità, e i liquidi non scorrono nelle giuste direzioni. Bisogna sapere che cosa succede nei minimi particolari, ma anche solo riprodurre queste condizioni è tutt’altro che semplice, e non basta intrappolare le piante in modo che non se ne vadano in giro per l’ambiente.

Problemi e collaborazione

Oltre alla gravità ci sono poi le radiazioni che, se non adeguatamente schermate, possono modificare il genoma delle piante. E ci sono il tipo di illuminazione e la composizione dell’aria, perché i vegetali prosperano solo quando riescono a utilizzare il corretto assortimento di gas per fare la fotosintesi. Per ognuno dei possibili aspetti critici ci sono ormai soluzioni, frutto – spesso – della collaborazione tra agenzie spaziali come quella europea (l’ESA), quella statunitense (la NASA) e quella italiana (l’ASI), al punto che si può dire, secondo De Pascale, che oggi coltivare ortaggi e verdure nello spazio è possibile, grazie alle tecniche idroponiche, e a tutte le loro declinazioni.

Restano tuttavia numerosi problemi, come quello dei quantitativi, o quello della fornitura di acqua, o quello vita media delle piante o, ancora, quello di scegliere i semi giusti nel caso si voglia cercare di dare vita a una coltivazione su un pianeta o un satellite come la Luna. Per quest’ultimo aspetto, da anni sulla Terra si fanno esperimenti in sistemi chiusi che riproducano veri e propri ecosistemi, con alterne fortune.

Stefania De Pascale Piantare patate su Marte Il lungo viaggio dell’agricoltura aboca edizioni
La copertina del libro di Stefania De Pascale: Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell’agricoltura

Non mancano poi pagine dedicate a ulteriori aspetti cui non si pensa spesso come quello, in realtà fondamentale, organolettico. Nello spazio gusto e olfatto sono attutiti e falsati, e per questo bisogna creare piante edule che aiutino gli astronauti a non perdere l’appetito. Grazie al racconto di De Pascale, si può sapere che cosa mangiano coloro che rimangono per settimane sulla Stazione Spaziale Internazionale e come riescono a farlo, e come è migliorata la loro dieta negli anni, passando dai dentifrici di Yuri Gagarin ai primi liofilizzati e beveroni, per arrivare a pasti à la carte come quelli scelti da Samantha Cristoforetti.

Gli effetti collaterali (positivi)

La ricerca di possibili soluzioni innovative, come sempre accade, e come De Pascale chiarisce, ricostruendo anche la storia dei principali passaggi che hanno portato alle risposte attuali, ha sempre ricadute anche in altri ambiti. In questo caso, poi, si tratta di innovazioni e scoperte che potrebbero risultare particolarmente utili anche per le coltivazioni sulla Terra, che sono e saranno esposte a condizioni sempre più difficili, a cominciare dalla siccità e dalle elevate temperature. Inoltre, far crescere piante verdi significa anche captare CO2 e fissare il carbonio: qualcosa di cui, di sicuro, hanno bisogno non solo i membri degli equipaggi spaziali. Infine, cercare di esaltare i sapori e gli aromi sarebbe assai positivo anche sulla Terra, in un’epoca in cui la tendenza è all’appiattimento, all’omogeneità di alimenti sempre più globali.

Piantare patate su Marte: la lettura

Il libro, impreziosito da una copertina assai azzeccata, offre quindi un’interessante panoramica dei diversi aspetti di una disciplina attualissima e poco conosciuta da parte del grande pubblico ma che, al contrario, indirettamente riguarda tutti. Pur essendo in qualche punto un po’ ripetitivo e scritto con uno stile talvolta ingessato, o inutilmente amicale o aneddotico (De Pascale è un’accademica e non una divulgatrice, e talvolta si sente), merita senz’altro la lettura.

Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell’agricoltura, Stefania De Pascale, Aboca Edizioni, 2024, 160 p., 19,50 €.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

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