Una persona con guanto blu sulla mano tiene una provetta di acqua prelevata da un fiume o un laghetto; concept: inquinamento delle acque, PFAS, analisi

La degradazione dei perfluoroalchili o PFAS, le sostanze plastificanti chiamate anche contaminanti perenni, molto difficili da eliminare dalle acque e dai terreni, potrebbe arrivare da una delle zone più contaminate d’Europa: il Veneto. Un’équipe di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ha effettuato un’indagine approfondita sul microbiota di alcuni terreni, e identificato almeno una ventina di batteri che utilizzano le molecole con un legame tra carbonio e fluoro come gli PFAS per il proprio sostentamento. E che, alimentandosi, spezzano gli PFAS, degradandoli in una percentuale considerata molto elevata, nell’ambito degli approcci biologici alla loro eliminazione.

I batteri mangia PFAS

Lo studio, coordinato da Edoardo Puglisi, docente di microbiologia agraria presso la Cattolica, e svolto in collaborazione con Giancarlo Renella, docente del Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente – DAFNAE) dell’università di Padova, e presentato al trentacinquesimo congresso della SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry) svoltosi nei giorni scorsi a Vienna, in Austria, è stato condotto attorno a Vicenza e Padova. È infatti quella l’area dove, a partire dal 2013, si è individuata una massiccia ed estesa contaminazione, avvenuta per responsabilità dell’azienda Mitemi, le cui conseguenze si ripercuotono ancora oggi sulla salute di circa 350.000 persone.

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Una delle soluzioni più efficaci potrebbe arrivare da una delle zone dove gli PFAS hanno fatto più danni

Il biorisanamento

Analizzando i campioni, e combinando analisi di microbiologia classica con altre che sfruttano la genetica per identificare le specie presenti nel suolo (chiamate di metabarcoding), gli autori hanno individuato numerose specie che avrebbero potuto presentare le caratteristiche cercate. Molte di esse, peraltro, appartengono a specie già note e talvolta già sfruttate per il biorisanamento (bioremediation), cioè l’insieme di tecnologie che sfruttano i processi biologici per degradare o trasformare sostanze inquinanti presenti nell’ambiente (nel suolo o nelle acque) in materiali meno tossici o non tossici, utilizzando organismi, principalmente batteri, funghi e piante. In questo caso i ricercatori hanno trovato esponenti delle famiglie dei Micrococcus, dei Rhodanobacter, degli Pseudoxanthomonas e degli Achromobacter, efficaci e che di solito sono del tutto innocui per l’uomo.

Volendo approfondire, hanno coltivato i diversi batteri in mezzi che contenevano PFAS come unica fonte di sostentamento, e hanno così isolato le venti specie mangia-PFAS migliori, e ne hanno descritto la sequenza del DNA completa. Di ogni specie hanno poi quantificato l’efficienza nel degradare gli PFAS, e hanno scoperto che alcune di esse arrivavano al 30%, una quantità molto elevata, per un approccio biologico.

Degradare gli Pfas

Al momento i ricercatori stanno procedendo con la misurazione dell’efficienza delle diverse specie in relazione a singoli tipi di PFAS, per mettere a punto i metodi più efficienti per degradare ciascuna delle molecole più critiche. Parallelamente, stanno lavorando sulle sequenze genetiche, per identificare gli enzimi-chiave che realizzano la scissione del legame tra carbonio e fluoro, perché questi, una volta identificati, potrebbero probabilmente essere utilizzati da soli, senza necessità di crescere il batterio, facilitando gli interventi di bonifica

Una delle soluzioni più efficaci di tutte quelle proposte finora potrebbe quindi arrivare da una delle zone dove gli PFAS hanno fatto più danni, arrivando, in certi casi, a concentrazioni di un microgrammo per litro, doppie rispetto a quelle indicata come massime dall’Unione Europa per gli PFAS totali (0,5 microgrammi per litro).

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Gaia
Gaia
2 Luglio 2025 18:00

Le PFAS non sono plastificanti, sono sostanze usate rendere i materiali idrorepellenti e/o oleorepellenti…

Erika
Erika
4 Luglio 2025 14:38

…i microrganismi possono essere alleati essenziali o minacce invisibili, a seconda del contesto e del controllo esercitato. La loro gestione consapevole è una delle sfide più grandi dell’agroalimentare e dell’ambiente…

Azul98
26 Luglio 2025 16:21

Tentare non nuoce,ma ci fossero solo i PFAS,PFOA e TFA che poi ormai sono talmente entrati nel sottosuolo, nelle falde acquifere,acque che prima erano potabili ora sono contaminate da decenni di sversamenti anche di sostanze chimiche ignote,come le cromature che buttavano tutto dentro nei fusti,fino che si sono corrosi,rilasciando cromo,soda caustica,nickel,cianuro,decappanti chimici,non c’è solo la Miteni ma anche l’Icmesa,coinvolta e non sarà la prima ad aggiungersi ad una lista di delinquenti climatici e di squallidi imprenditori che se sono approfittati di un territorio sano, fertile che ora dovrebbe con la direttiva Seveso dovrebbe essere bonificato per anni, per ritornare ciò che era.

Azul98
26 Luglio 2025 17:07

Il biorisanamento è una pratica molto interessante e naturale,lo si è fatto per malattie sulle piante, anche per il bostrico,però o troppo tardi,o poco ,dato l’enorme danno causato dalla perdita di un milione e mezzo di aceri e pini è quasi impossibile salvarli,con le microplastiche si sta tentando con con risultati più o meno importanti,essendo i PFAS sostanze prodotte da sostanze chimiche se si riesce a degradarli sarebbe un ottimo risultato,finora mai raggiunto,nella speranza di una soluzione a un problema così grave, bisogna provare con ogni mezzo che salvi un ambiente che è stato inquinato e che ora bisogna bonificare per farlo tornare un terreno fertile come lo era prima,valutando che non c’è dentro solo il Veneto, ma tutto il nord Italia, e un mondo che soffre per i PFAS che sono in cosa che usiamo inconsapevolmente, inquinamo con ciò che compriamo e usiamo.