Nei primi 8 mesi del 2020, in Italia il mercato di prodotti per l’alimentazione di cani e gatti ha registrato vendite pari a più di 2 miliardi di euro, un dato quest’ultimo che conferma il trend positivo del settore con un incremento del fatturato del 2,8% rispetto al 2018. Tali numeri rendono quella del pet food una fetta di mercato che fa gola a molti, tanto che Amazon a inizio 2019 ha lanciato Lifelong, la sua linea dedicata agli animali domestici. Investire in quello che è considerato un ramo che non conosce crisi appare una mossa azzeccata anche a fronte dello sviluppo rilevato da tale comparto durante il lockdown.
Come descritto dall’ultimo rapporto Assalco (Associazione Nazionale Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia), l’emergenza Covid della scorsa primavera ha portato con sé un incremento della spesa della categoria del pet food: il cosiddetto “effetto scorta” ha indotto i proprietari di animali da compagnia ad acquistare una quantità massiccia di alimenti generando una curva di crescita delle vendite con un andamento simile a quello del largo consumo confezionato.
Oltre all’approvvigionamento, il boom del mercato del pet care durante la pandemia presenta altre due motivazioni: se da una parte cani e gatti vengono considerati ottimi antidoti alla solitudine, dall’altra le nuove esigenze e il cambio di ritmi dettati dall’home office hanno fatto sì che si avesse più tempo e voglia da dedicare agli animali. Attualmente, in Italia il rapporto tra popolazione residente e animali da compagnia è di 1 a 1 con una stima di 60,3 milioni di animali. I risultati di un sondaggio dell’Eurispes raccontano che la maggior parte degli italiani possessori di animali spende per loro fino a € 50 al mese e uno su dieci arriva a toccare la quota di € 100-200.
L’indagine evidenzia come tra le nuove tendenze in fatto di benessere dei pet ci sia l’acquisto di integratori alimentari, di alimenti biologici e di farmaci omeopatici. Che quello degli animali sia un mercato che può tendere al lusso è testimoniato anche dai trend in fatto di moda e cibo fresco. A Milano, per esempio, c’è Dog’s Bistrot, un servizio di food delivery per cani. In base a razza, peso, età del quadrupede, lo chef prepara un “menu gourmet” ideato dalla veterinaria nutrizionista che viene poi spedito direttamente a casa. Se in questo caso è l’attenzione verso l’alimentazione a non passare inosservata, per quanto riguarda la sezione “moda” a risultare eccessive sono la varietà dell’offerta e il costo: alcune delle principali case di moda hanno creato cappottini, vestititi, piumini per cagnetti il cui prezzo supera con facilità le centinaia di euro.
Quando la cuccia diventa il sacco nanna, il passeggino viene utilizzato per trasportare cani e alla fashion week si affianca la Milano Pet Week – la prima edizione si è svolta nel 2019 –, è impossibile non parlare di umanizzazione degli animali. In Italia l’antropomorfismo che vuole ciotole prelibate cucinate al momento e consegnate fresche a domicilio si confronta però con una situazione a tratti emergenziali che coinvolge la popolazione “umana”. Nel nostro Paese, infatti, il 30% dei bambini è obeso o sovrappeso, un dato quest’ultimo che sottolinea il grave problema della cattiva alimentazione.
La qualità del cibo e la possibilità di esercitare attività fisica in modo costante sono delle condizioni strettamente connesse alla disponibilità economica e per questo motivo il tasso di obesità rappresenta in parte la situazione socio-economica in cui versa una Nazione. La percentuale di giovani malnutriti appare dunque in contrasto con il successo del pet care, che sembra invece portare alla luce l’ennesima proposta commerciale inizialmente studiata per soddisfare la richiesta di pochi e poi fissata come un nuovo bisogno. Sebbene incentivare l’abitudine a occuparsi in modo coscienzioso dei propri animali non abbia alcun nesso diretto con la salute delle persone, togliere l’attenzione verso i problemi alimentari e sociali per porla sui vestiti o sulle ciotole dei pet è paradossale.
Tra il cibo confezionato per cani e gatti contenente farine animali e la ciotola gourmet o la felpa firmata da far indossare agli “amici a quattro zampe” c’è sicuramente un equilibrio, ma forse il business che coinvolge anche veri e propri giganti economici non è intenzionato a raggiungerlo. Come ha scritto Jonathan Safran Foer “Non abbiamo bisogno di umanizzare gli animali per trattarli con rispetto”, eppure potrebbe apparire necessario riflettere sull’assurdità per cui si rischia di essere “troppo umani” con i “non umani”. Aspettarsi un cambio di rotta del mercato è alquanto ingenuo, ma ricordarsi che l’offerta di mercato risponde a una domanda potrebbe essere doveroso.
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Ritengo che non ci sia abbastanza approfondimento da parte dei proprietari sulla gestione dei nostri cani e gatti. Ci sono libri, articoli su riviste specializzate e siti web attendibili ma se i futuri proprietari non si informano le cose sono destinate a peggiorare, non certo per i produttori di alimenti ed accessori ma proprio per i diretti interessati, cani e gatti. Da aprile quest’anno ho assistito ad un’esplosione della richiesta di cuccioli, e purtroppo mi sono resa conto che la maggior parte delle persone aveva scarsissime informazioni su come un cane deve essere inserito in famiglia, alimentato ed educato. Non serve mettergli il cappottino rosso simil-babbo natale, serve dargli il cibo adeguato alle sue esigenze, serve comprendere come si educa e evitare errori pericolosi per cani e proprietari.
L’alimentazione degli animali da compagnia è un business che ha ampiamente superato le frontiere della razionalità e dell’etica, sullo scaffale di un super ho contato di recente 37 (trentasette!) tipi diversi di scatolame per gatti, almeno una dozzina di cibi secchi e un’altra dozzina di bocconcini umidi, poi ho perso il conto…
A occhio almeno altrettanti se ne vedevano nel reparto cani, e di recente una pubblicità televisiva vantava i nuovi cibi “monoproteici” di sola trota (e altri che non rammento), in aggiunta ai cibi specifici per cuccioli, giovani adulti, adulti, femmine in gravidanza, esemplari sterilizzati, gatti sedentari eccetera.
Il tutto mentre gli stessi media ci invitano ossessivamente a salvare un bambino dalla morte per fame donando un paio di euro a un ente benefico, a non sprecare l’acqua (che comunque finisce in fogna, poi nel depuratore, e infine torna nel fiume), persino quella in cui abbiamo lessato la pasta, a ossevare le diete più assurde per perdere peso…
Forse sarebbe ora di fare un esame di coscienza e di tornare ad alimentare i nostri animaletti con gli avanzi di cucina, come si è fatto per secoli, e dare loro cibi specifici solo su indicazione del veterinario e non dando retta a influencer e bloggher per i quali fino al giorno prima il cane era solo un fastidio che li svegliava abbaiando e il gatto una noia che rovinava le tende.