Le migliaia di vasetti di pesto ritirati dal mercato in questi giorni per fortuna non contenevano la pericolosissima tossina del Clostridium botulinum. È una fortuna perché la macchina dell’allerta dei supermercati si è mossa solo a metà e ha mostrato gravissime lacune inaccettabili. Adesso si pensa ai danni d’immagine per le aziende coinvolte e si minimizzano i toni, ma se non fosse andata così? Un’allerta per rischio botulino non è equiparabile al ritiro di un lotto di arachidi contaminate da aflatossine o a un lotto di frutta con troppi antiparassitari. Il richiamo va fatto in entrambi i casi, ma il botulino si posiziona in cima alla scala delle emergenze perché la tossina è una sostanza neurotossica pericolosissima che causa anche alla morte.
Adesso vi narriamo quello che non è successo, uno scenario verosimile se nei vasetti di pesto fosse stata veramente presente la tossina come si è ipotizzato all’inizio di questa storia venerdì scorso.
Pesto al botulino: cosa sarebbe potuto succedere
Ansa.it giovedì 25 luglio ore 18,30
“Le persone in Liguria ricoverate per avere mangiato il pesto contaminato da tossine di botulino sono 10, 20 in Piemonte e 5 in Lombardia di cui due in gravi condizioni. In Emilia Romagna i casi sono 8 fra cui due bambini in condizioni critiche e si teme per la loro vita. Tutti i pazienti affermano di avere mangiato pesto confezionato comprato al supermercato. Nessuno era venuto a conoscenza del ritiro nè aveva ricevuto messaggi e nemmeno visto i cartelli esposti nei punti vendita”.
Ecco cosa scrive sulla prima pagina il principale quotidiano nazionale a proposito delle decine di persone ricoverate in ospedale vittime del botulino.
Per avvisare tutti i consumatori il personale dei sette supermercati coinvolti ha lavorato ininterrottamente durante il week end. La vicenda ha inizio venerdì pomeriggio, quando l’azienda produttrice, Bruzzone e Ferrari, ha inviato una mail sollecitando la grande distribuzione a ritirare immediatamente il vasetto di pesto dagli scaffali per sospetta contaminazione da botulino.
Una catena di supermercati italiana che aveva sugli scaffali un pesto con il proprio marchio confezionato dalla Bruzzone e Ferrari, ha ritirato subito i vasetti oltre a inviare migliaia di email e sms a tutti i clienti. Ha anche pubblicato sul sito la notizia ma solo due giorni dopo. Sono stati posizionati anche dei cartelli nei punti vendita che in pochi hanno visto. Le altre catene di rilievo nazionale hanno fatto la stessa cosa, ma hanno dimenticato di pubblicare la notizia online. Altre catene minori hanno messo la notizia sui siti. Tutto ciò non è bastato perché molti consumatori hanno ricevuto le informazioni tardi o per niente.”
Si poteva fare di più?
Adesso è lecito chiedersi se si poteva fare di più. Di fronte ad un’allerta botulino rilanciato on line dal Ministero della salute, dove c’è il serio rischio di morte per i consumatori, le catene di supermercati si sono limitate a inviare mail e sms e appendere cartelli nei punti vendita dimostrano assoluta inadeguatezza nell’affrontare la situazione.
Una catena di supermercati deve:
- Comprare una pagina intera sui principali quotidiani nazionali ed uscire il giorno dopo informando i lettori e pubblicando le fotografie dei prodotti. Questa azione avrebbe portato alla realizzazione su tutti i giornali nazionali e locali di altrettanti articoli sulla vicenda.
- Inviare un comunicato stampa alle agenzie con le fotografie dei prodotti che, vista la gravità della situazione sarebbe stato rilanciato dopo pochi minuti.
- Pubblicare sulla home page del loro sito la notizia con grande rilievo.
Serve una comunicazione migliore
L’effetto sinergico di queste tre azioni sarebbe stato il rimbalzo della notizia su tutti i siti e i social network, e anche le radio e le tv avrebbero ripreso la notizia con grande rilievo. In questo modo milioni di telespettatori e di persone avrebbero potuto verificare se il pesto nel frigorifero di casa era quello sospetto, limitando così il rischio. Questo si fa in caso di allerta botulino.
Le catene di supermercati però fanno finta di non conoscere le regole. Fanno finta di non sapere che hanno l’obbligo di informare i consumatori nel miglior modo possibile, come ha scritto anche il Ministero della Salute in una circolare. Gli esperti di crisi alimentari sanno che questo è l’unico modo per cercare di ridurre le vittime nel malaugurato caso di intossicazione da botulino. Le catene di supermercati sostengono di fare gli interessi dei consumatori nei loro spot, ma poi quando è il momento di agire per proteggere i propri clienti non si espongono in prima persona o fanno finta di non conoscere le regole.
In Italia c’è una catena che segue un modello simile nel caso di ritiro di prodotti difettosi: Ikea, forse perchè ha una mentalità diversa. Per rendersi conto di quanto sia inadeguata la struttura di comunicazione italiana, basta dire che fino a pochi giorni il 90% dei supermercati rifiutava di pubblicare sui loro siti le notizie di allerta dei prodotti che potevano nuocere alla salute dei consumatori! Inedia o opportunismo?
Chiediamo a Coop, Conad, Esselunga, Carrefour, Iper, Billa… e a tutte le altre catene coinvolte nella vicenda cosa avrebbero raccontato ai clienti vittime del botulino se la tossina fosse stata veramente nei vasetti acquistati nei loro negozi. Sono convinte di avere agito correttamente? Aspettiamo qualche riscontro e vi terremo aggiornati.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Perfetto La Pira!
Ho usato lo stesso aggettivo su un mio primo commento: inaccettabile.
E’ una crociata che portate avanti, condivisibilissima.
Ma perchè non ponete mai l’accento sulle lacune di chi dovrebbe supervisionare tutto questo? Non trovate inconcepibile il lassismo dell’ASL? Per quanto io abbia un diverso modo di intendere un’efficace modalità di comunicazione rispetto al dott. La Pira, l’ente pubblico, preposto al controllo, pagato da noi ha il dovere in ogni caso di supervisionare l’attività di allerta e assicurarsi che venga fatta nel modo più efficace possibile. A mio parere, le responsabilità dell’inefficacia delle attività di ritiro e richiamo va divisa equamente tra chi deve farle e chi deve controllare che vangano fatte.
Sono pienamente d’accordo con Alessandro sul fatto che sono le istituzioni preposte che si devono attrezzare per lanciare l’allerta pubblica.
Tutti i giornali stampati, on line e dei media italiani, dovrebbero mettere a disposizione uno spazio gratuito a dedicato alle istituzioni per queste comunicazioni urgenti.
Non sono sostenuti, sovvenzionati ed autorizzati dalla stato (da noi tutti), per svolgere il loro servizio pubblico?
Questo senza sollevare dalle responsabilità i produttori e la distribuzione, che però non hanno alcun potere sull’infarmazione se non a pagamento e non lo fanno volentieri per risparmiare.
Quindi basta elemosinare da costoro un’attivismo poco efficace, ma dobbiamo concentrarci sui mezzi del diritto e della fiscalità pubblica per autoproteggerci.
Per chiarire il mio pensiero: non intendevo dire che l’ASL deve lanciare l’allerta pubblica, ma che, essendo l’ente che supervisiona le attività che seguono l’allerta fino alla sua chiusura, deve verificare che queste attività vengano svolte in modo efficace lungo tutta la filiera. Il non farlo e permettere che alcuni punti vendita non avvisino è una responsabilità grande tanto quella delle aziende direttamente coinvolte. Ma un intervento di La Pira in un altro articolo mi fa sorgere un dubbio a questo punto: ci sono stati o non ci sono stati punti vendita che non hanno avvisato in nessun modo la clientela? Io leggendo i vari articoli avevo capito che era così e questo è il motivo della mia indignazione verso l’autorità competente, ma se così non fosse è chiaro che ritiro le mie parole…
Difficile rispondere se una catena pubblica on line il ritiro allora si può pensare che metta anche cartelli . Nessuno controlla se e come viene avvisata la clientela dei supermercati
Le procedure per le allerte sono molto chiare, e Roberto La Pira lo sa perché ne abbiamo discusso alla convention “SICURA” (Produttori, Consumatori e Controllori a confronto) dove sull’argomento delle allerte e delle crisi alimentari ho presentato dettagliatissime relazioni, come sui compiti degli Operatori del Settore Alimentare (OSA,)e i supermercati sono a tutti gli effetti degli OSA, obbligati, come i produttori, all’AUTOCONTROLLO secondo i Reg. CE, e a redigere il proprio “manuale di autocontrollo”. Nel manuale(effettivo, non un pezzo di carta inutile), a disposizione degli enti di controllo ufficiale, ad esempio le ASL, devono figurare oltre alle procedure di sicurezza operative, e all’addestramento del personale, anche le effettive procedure di ritiro dei prodotti e di come si affrontano gli stati di crisi, come le allerte (con prove di simulazione per vedere se quanto scritto funziona), come si informa la catena alimentare, l’autorità, etc. “in relazione alla gravità del caso”. In questo caso le carenze si sono riscontrate soprattutto nella catena distributiva . Non basta informare via e-mail i clienti abituali con tessera a punti, ma bisogna raggiungere CON MEZZI ADEGUATI tutti i possibili acquirenti!!. Se la tracciabilità è adeguata il danno sarà limitato, si distinguerà l’operatore responsabile e serio, e basterà che il consumatore tempestivamente informato con i mezzi più adeguati per immediatezza, controlli l’etichetta di quanto c’è nella propria dispensa.
RITIRARE UN PRODOTTO NON DEVE ESSERE MOTIVO DI SCANDALO COME PARE SIA LA CONVINZIONE DEI MEDIA ALLA RICERCA DI FACILI SCOOP SENSAZIONALI E DANNOSI PER LA FIDUCIA DEL CONSUMATORE, BENSI’ INDICE DI RESPONSABILITA’ E DI SERIETA’: gli incidenti vanno minimizzati, ma possono anche succedere,e bisogna essere in grado di affrontarli(la sicurezza pari a zero difetti matematicamente non esiste anche se gli ignoranti lo pensano pontificano).
Ma chi deve verificare che gli OSA si dotino degli strumenti e procedure necessarie sono gli Enti di Controllo Ufficiale, che sono deputati agli audit sugli OSA di tutta la catena alimentare. E ANCHE QUI CASCA L’ASINO !!!!!
Come non condividere queste parole?!
In un paese come il nostro dove tutto è normato ma poco è eseguito, basterebbe una bella circolare delle ASL o del Ministero della Salute per dare indicazioni precise e stringenti su come avvisare la clientela delle allerte e dei ritiri di prodotto.
Come realizzare i cartelli (dimensioni, colori e contenuti essenziali), dove esporli (in ogni cassa e sportello per il pubblico, all’ingresso ed all’uscita del punto vendita,…)
Poi la protezione civile della salute, coordinata da un’unità di vigilanza del Ministero che già esiste per le emergenze, si dovrebbe incaricare di pubblicare su tutti i media, in spazi dedicati, i messaggi di allerta e di ritiro dei prodotti a grave rischio per la salute pubblica, magari avendo eseguito con la massima urgenza i test più significativi, per non prendere cantonate.
Utopia? No solo buona volontà di fare e non solo di normare a vuoto.
Caro Ezio, aggiornati, le regole sull’autocontrollo preventivo responsabile degli OSA sono già tutte previste (regolamenti CE), non servono ulteriori complicazioni. Da anni si è passati per tutta la CE dal controllo ufficiale inefficace, all’Autocontrollo responsabile obbligatorio e preventivo degli attori (=SA) della catena alimentare, sotto l’audit (verifica) degli organi di controllo ufficiale (edotti ed addestrati), esistono anche sanzioni che possono portare a chiusura temporanea o totale delle attività, e sarebbe bene che fossero applicate seriamente come deterrente. Ma se non c’è la responsabilità in tutti gli anelli, né sufficiente addestramento, si possono verificare le discrepanze di cui parliamo
Registro e mi aggiorno con piacere che dove cade l’asino di Costante, qualcuno (molti) rischiano la salute o la pelle, quindi preveniamo efficacemente e non affidiamoci alla libera, responsabile, formata quanto latitante iniziativa dell’autocontrollo privato.
Con la normativa CE attuale si sono fatti enormi progressi: il privato, in quanto responsabile continuamente tutti gli effetti, e che ha il dovere legale di DIMOSTRARE la sua azione preventiva, prima subiva controlli puntuali sui prodotti estremamente rari, mentre ora deve dimostrare di essere capace di fare il suo lavoro: produrre con impiantistica adatta, addestrare il personale, applicare controlli e criteri di sicurezza etc. ed essere in grado di dimostrare tutto il piano di igiene (22000) in qualsiasi momento (un po’ , anzi molto diverso dalle “pulizie di pasqua” di una volta per rare visite ispettive o per prelievi dei vigili sanitari pochissimo addestrati, e per di più obbligato all’osservanza di norme analoghe stringenti richieste dai clienti (esempio la DGO = certificazioni BRC-IFS..) : proprio questo è il caso del produttore del pesto, che, pur avendo avuto un problema (tra l’altro non c’era botulino)si è comportato in modo esemplare fornendo immediatamente la rintracciabilità di propria competenza. Non altrettanto è avvenuto nella catena distributiva, dove ancora vi sono operatori bravissimi a proclamare la loro bravura a parole, ma che cascano alla prova dei fatti, l la stessa cosa per qualche settore del controllo ufficiale “pubblico”. Quindi attenzione a dire che “privato” è latitante: la mia lunghissima esperienza mi porta a dire che ormai le cose si sono invertite, e ripeto, senza critica negativa, prima di sparare a zero è il caso di informarsi adeguatamente. Tutto peraltro è perfettibile, e bisogna cominciare dalla scuola a inculcare a tutti il senso di “responsabilità personale” (parola chiave) a qualsiasi livello, che avrà sicuramente formidabili ricadute su tutti gli aspetti della vita. La legislazione CE sulla sicurezza alimentare è basata su questi principii, e, se hai voglia di leggere qualcosa di veramente interessante come i Regolamenti, frutto di esperienze reali dal secolo scorso ad oggi, ti auguro buona lettura