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Il magazine “Consortium”, edito dall’Istituto Poligrafico dello Stato e realizzato da Fondazione Qualivita, propone un editoriale firmato dalla veterinaria Valentina Tepedino sui “Pesci in cerca di un riconoscimento”. La nota ribadisce a necessità di una certificazione come quella DOP/IGP per i pesci che, se compresa correttamente dal produttore e comunicata altrettanto bene al consumatore, potrebbe creare un enorme valore aggiunto al prodotto dentro e fuori i confini italiani. Oltre a ciò va considerata la tutela rispetto ad eventuali forme di concorrenza sleale da parte di prodotti proposti come simili. Gli aspetti positivi per investire in questa direzione sono numerosi, e anche la pandemia determinata dal Covid-19, ha fatto da acceleratore ad una necessaria svolta del settore ittico per quanto riguarda l’importanza di una “qualità” più autorevole e oggettiva.

In Italia vengono quotidianamente commercializzate oltre milleduecento specie ittiche differenti per un numero di referenze che supera le diecimila. Eppure, a differenza di altri settori relativi agli alimenti di origine animale, i prodotti ittici continuano a non avere un riconoscimento per quanto riguarda marche o marchi particolari, neppure per le produzioni italiane. In effetti mancano per il prodotto ittico nazionale, e non solo, esempi come nel campo dei formaggi rappresentano il Pecorino Romano, il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano o, nel campo dei prodotti a base di carne, il Culatello di Zibello e la Coppa di Parma. Questo non vuole dire che nel pesce manchino Dop e Igp. Attualmente sono solo sei i prodotti ittici che hanno ottenuto questo riconoscimento (Acciughe sotto sale del Mar Ligure, Salmerino del Trentino, Trote del Trentino, Cozza di Scardovari, Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino, colatura di alici di Cetara). Questo significa  che non si sta ancora puntando ad un mercato di “qualità”, intendendo questo termine come un  un valore aggiunto rispetto al pescato convenzionale facilmente comunicabile al consumatore.

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Sarebbe auspicabile in futuro un modello simile a quello che si fa in linea di massima per i “Sistemi europei di Qualità”, istituiti per identificare con chiarezza, autorevolezza e trasparenza prodotti che contengono caratteristiche specifiche rispetto ad altri della medesima categoria. Se non si fornisce al prodotto ittico italiano un valore aggiunto di qualsiasi tipo, non si riesce a competere in modo importante sul mercato nazionale ed internazionale. Di sicuro l’Italia, sia per l’acquacoltura sia per la pesca, dovrà mirare a costruire dei capitolati utili a dare una nuova consistenza alla parola qualità, e provvedere a garantirla meglio e renderla nazionale per poter parlare di “Made in Italy” per quanto riguarda determinate produzioni ittiche.

Valentina Tepedino, Medico Veterinario, referente nazione della Società di Medicina Veterinaria Preventiva. Direttrice di Eurofishmarket e autrice del Blog “Informare per non abboccare”