pasta italiana Barilla penne
L’uso di materie prime italiane per la produzione della pasta non equivale a un attestato di qualità superiore

Gli Italiani vogliono sapere da dove viene il grano utilizzato per produrre la pasta, considerata un prodotto simbolo del “made in Italy”. Quando si risponde che viene preparata con grano duro di ottima qualità importato da paesi come Francia, Canada, Stati Uniti… molti consumatori strabuzzano gli occhi, perchè pensano erroneamente che non sia di buona qualità. Se poi si aggiunge che la nostra pasta è così buona proprio perchè  contiene grano importato lo stupore aumenta.

 

Il Fatto Alimentare ha invitato Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo e Divella a riportare sull’etichetta della pasta l’origine del grano duro anche se si tratta di un’indicazione non prevista.  Per capire meglio la nostra richiesta va ricordato che la legge permette ai produttori di riportare sulla confezione la frase “made in Italy”, perché la trasformazione del grano duro in semola e la fase di produzione della pasta avvengono in Italia.

Dopo le risposte di De Cecco e Divella pubblichiamo il contributo di Luca Virginio di Barilla.

 

pasta italiana barilla numero uno
Circa l’80% del grano usato per produrre pasta Barilla in Italia è grano italiano

Siamo lieti che abbia deciso di trattare un tema complesso e delicato come l’origine delle materie prime in modo obiettivo, senza le ideologie che spesso caratterizzano l’argomento. In particolare apprezziamo i seguenti punti che sono riconosciuti nell’articolo de “Il Fatto Alimentare”:

– l’uso di materie prime italiane per la produzione della pasta non equivale a un attestato superiore del prodotto. Sin dai tempi storici, i grani usati per fare la pasta in territorio italiano sono stati anche di provenienza straniera.

– come per molte altre materie prime, la produzione nazionale di grano duro non è in grado di coprire il fabbisogno per l’Italia;

– come per molte altre materie prime (si pensi alla cioccolata o al caffè), la dicitura “Made in Italy” dipende dall’arte tutta italiana della trasformazione. Perché non dovrebbe essere legittima sulle confezioni di pasta, anche quando una parte del grano viene dall’estero?

 

L’obiettivo primario di Barilla è di garantire al consumatore la pasta di qualità migliore dal punto di vista del sapore e della sicurezza alimentare a un prezzo che non gravi sui bilanci delle famiglie. Fermo restando i punti sopra, Barilla cerca di usare quanto più possibile grano di provenienza locale per motivi di convenienza economica e sostenibilità ambientale (circa l’80% del grano usato per produrre pasta Barilla in Italia è grano italiano). All’inizio di quest’anno, il Gruppo Barilla ha firmato due accordi per valorizzare il patrimonio agricolo e ambientale italiano, uno di filiera e uno tra le filiere. Il primo, insieme alla Regione Emilia Romagna e le organizzazioni dei produttori di grano duro per 90mila tonnellate, punta a ottenere una materia prima di alta qualità dando premi agli agricoltori che forniscono il frumento migliore. Questo tipo di accordo è ormai giunto all’ottava edizione. Il secondo, con il leader nazionale dello zucchero CO.PRO.B, è un’intesa apripista in Italia che riprende metodi agricoli tradizionali, come la rotazione delle colture, per ottenere una terra più fertile, consentendo una resa migliore, costi minori per i produttori e un impatto ambientale più contenuto.

 

pasta italiana barilla spaghetti 87526067
La pasta italiana è ottenuta con le miscele dei migliori grani del mondo, frutto di un’accurata selezione

In merito all’indicazione dell’origine del grano sulla confezione di pasta, Barilla desidera sottolineare che se effettuata in modo sistematico essa pone, soprattutto in presenza di produzioni ingenti come le nostre, problemi applicativi piuttosto complessi. Nonostante tali difficoltà, insieme agli altri pastai ci stiamo interrogando da qualche tempo su come potremmo evidenziare che la pasta italiana è ottenuta con le miscele dei migliori grani del mondo, frutto di un’accurata selezione.

L’eventuale precisazione sull’origine del grano dovrà in ogni caso essere formulata tenendo conto dell’armonizzazione a livello comunitario delle regole sull’etichettatura dei prodotti alimentari che, come noto, sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. In tal senso, siamo in attesa che si delineino le misure applicative al regolamento UE 1169/2011 sull’origine volontaria e obbligatoria dei prodotti alimentari, che chiariranno come effettuare tale indicazione nel rispetto della trasparenza verso il consumatore e stabilendo regole del gioco valide per tutti.

Ringraziandola per l’interessamento e il tentativo di fare chiarezza su una materia così attuale, l’occasione è gradita per porgere cordiali saluti.

Luca Virginio (Group Communication & External Relations Director Barilla)

 

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Fabio Carmonini
Fabio Carmonini
3 Febbraio 2014 13:06

Siamo sicuri che queste siano le uniche motivazioni per cui non viene indicata l’origine del grano?
Non è che le aziende temono la reazione dei consumatori?

Be’, farebbero bene; io sarei ben contento di acquistare pasta realizzata con grano italiano, anche se di costo leggermente superiore e qualità inferiore (e poi… di quanto inferiore??).

Le aziende devono informare in modo trasparente; i consumatori scelgono.

Valentino
Valentino
Reply to  Fabio Carmonini
4 Febbraio 2014 07:14

Io conosco piccoli produttori di pasta, usano grani locali e ti devo dire che un pochino piu’ costosa ( che e’ diverso da cara ) ma e’ veramente buona.
Poi preferisco che coltivano i nostri terreni ( molte volte abbandonati) lasciati al degrado; una delle cause di frane, alluvioni ecc.

Alessandro
Alessandro
3 Febbraio 2014 15:35

Trovo che se davvero la maggioranza dei consumatori fosse così interessata a conoscere l’origine del grano ce ne accorgeremmo con una pesante migrazione degli acquisti verso le marche che già oggi indicano spontaneamente l’origine in etichetta…
E poi è ovvio che le aziende temono le reazioni dei consumatori, che sono convinti, imbeccati da tutti i media che le materie prime italiane siano migliori a prescindere. Eppure il miglior prosciutto crudo del mondo non è italiano, il miglior pistacchio non è italiano…e potremmo andare avanti, ma dirlo non è popolare.
E poi, come sempre la solita domanda a cui nessuno risponde: il caffè è un prodotto italiano o no? la cioccolata è un prodotto italiano o no? La Bresaola della Valtellina IGP è un prodotto italiano o no?
Le levate di scudi sull’indicazione dell’origine di questi prodotti dove sono?
Cos’ha di diverso il caso della pasta rispetto a questi?
Quello che non si vuole capire è che il mercato è globale e le regole lo devono essere di conseguenza, altrimenti si finisce per penalizzare ciò che a parole si dice di voler difendere

marco
marco
Reply to  Alessandro
7 Febbraio 2014 13:23

Giusto, se la maggioranza fosse cosi interessata probabilmente accadrebbe ciò che dice lei. Bisognerebbe in ogni caso verificare :

1) quanto “la maggioranza” sia a conoscenza del fatto che quella pasta che credono sia fatta (tutta) in italia in termini di materie prime , lo sia nella realtà

2) la maggioranza non indica la totalità , il “restante” chiede maggiore trasparenza

Allora domanda sul caffè mi pare di aver già fatto altri interventi. Quello Arabica è buonissimo …..forse il nome già aiuta il consumatore incosapevole a capire che forse quel caffè non si produce in italia?
rispetto ad altri prodotti “prodotto in italia” che invece danno l’idea opposta?

l’origine l’abbiamo detto tante volte non indica la qualità ma è inutile ribattere sempre sugli stessi punti per provare a condizionare “quella maggioranza” su altre questioni

l’unica cosa giusta è che le regole devono essere UNICHE. Ma in italia, qui siamo in italia,il mercato globale non impone che si debba tacere sull’origine della merce. Magari in altri paesi meno attenti ci si può pure passare sopra. Paesi in cui magari oltre che al caffè non si coltiva il grano, non si è mai prodotta la pasta etc etc etc.
Qui siamo in Italia ed è “un po diverso”

Alessandro
Alessandro
Reply to  marco
7 Febbraio 2014 14:42

Mi scusi, ma il fatto di non essere a conoscenza non è una giustificazione che può stare alla base di una deduzione errata che si fa nel momento in cui si da per scontato che i grani utilizzati siano italiani.
Quanto al caffè: il discorso è proprio che il caffè italiano è buonissimo (o ritenuto tale) perchè evidentemente sappiamo scegliere e lavorare la materia prima, allo stesso modo di come sappiamo scegliere e lavorare la materia prima per fare la pasta.
Ma nessuno chiede da dove venga l’arabica utilizzata per realizzarlo…Non mi stupirei di scoprire che lo stesso consumatore che da per scontato che i grani utilizzati siano italiani dia pure per scontato che l’arabica venga…dall’Arabia!
Non c’è alcuna differenza tra il caso del caffè e il caso della pasta. Se non politica, perchè il grano si coltiva anche qui, il caffè no. Ma se possiamo parlare di “espresso italiano” non vedo come non si possa parlare di pasta “made in italy” a prescindere dall’origine dei grani utilizzati. Poi ognuno può sostenere le teorie che vuole e parlare di complotti e occultamenti…
In chiusura, non siamo in Italia, siamo in UE e c’è la libera circolazione delle merci. Più volte siamo stati oggetto di procedura di infrazione da parte dell’UE per questi motivi…

Marino
Marino
3 Febbraio 2014 18:04

Impariamo a guardare le cose come stanno: negli anni ’30 il grano duro proveniva dalla Russia (ieri CCCP), con le sanzioni in arrivo Mussolini, preoccupato di non avere grano a sufficienza promosse tramite Marinetti la campagna contro la pastasciutta promuovendo il riso e l’Ente Nazionale Risi. Non è detto che tutto ciò che è italiano sia per forza buono così come non è per forza buono un prodotto biologico. La qualità va ricercata usando le materie prime migliori, d’altronde anche i migliori vini sono spesso frutto di miscele delle migliori uve o dei migliori vini; spesso i migliori vini sono fatti con uve non di origine italiana. Ni sembra che la risposta della Barilla sia corretta, nulla vieta che un piccolo artigiano pastario riesca a fare un prodotto di eccellenza con grano duro italiano, il mercato è aperto al confronto, i consumatori imparino a confrontare prezzi e qualità dei prodotti. Sull’etichettatura invece occorre fare ancora molti progressi e i consumatori alzino la voce sulla ignobile situazione dell’olio d’oliva o di prodotti anche a marchio europeo con regole molto discutibili come appunto la Bresaola della Valtellina.

Lidia
Lidia
Reply to  Marino
4 Febbraio 2014 09:11

Mi scusi Sig. Marino ma gradirei sapere quali sarebbero queste “regole molto discutibili” che riguarderebbero la Bresaola della Valtellina. Rammento che c’è una differenza sostanziale tra prodotto DOP e prodotto IGP. La Bresaola della Valtellina è IGP, indicazione geografica protetta, alla stregua della Mortadella di Bologna. Tale preseupposto implica che la carne con cui vengono prodotti questi salumi non proviene dal territorio soggetto a tutela, altrimenti sarebbero DOP. Se poi si aggiunge il fatto che il territorio di produzione della bresaola non sarebbe in grado di fornire la materia prima necessaria per soddisfare il mercato locale, figuriamoci quello nazionale o estero, diventa lapalissiano che le cose non potrebbero andare diversamente.

Michele Polignieri
4 Febbraio 2014 18:18

Ancora l’errore di fondo.
La qualità tecnologiìca oramai non interesso piu’ nessuno.
IL fatto che il grano estero potrà essere compatibile con l’idea di pasta, non ci smuove di 1 centimetro.
Quello che sappiamo pero è che anche il miglior grano del mondo, una volta caricato in navi transoceaniche,nelle stive subisce l’inarrestabile processo di sviluppo di temibili tossine. Una su tutte : il DON (deossinivalenolo).
Le case produttrici come si giustificano in questo?
I bimbi non sopportano le quantità ammesse dal legislatore europeo per gli adulti. Mi potranno PERCIO’ indicare se tali “paste di qualità” hanno un carico di micotossine da renderle utilizzabili nella età pediatrica? In subordine alla indicazione relativa alla provenienza, da persone coscienziose, potremo chiedere di indicarlo in etichetta?

Alessandro
Alessandro
Reply to  Michele Polignieri
5 Febbraio 2014 08:41

Ma mi scusi Michele, ammesso che il problema reale sia quello che descrive lei, non sarebbe molto più intelligente allora pretendere che siano intensificati i controlli per assicurarsi che i grani che vanno a comporre i prodotti che si consumano siano conformi?
Invece no, mettiamo l’origine così le autorità competenti dovranno “perdere” tempo e risorse per verificare che le origini indicate corrispondano al vero invece di controllare che i limiti ammessi siano rispettati!
Se come dice lei sul mercato ci sono tutti questi prodotti non conformi, probabilmente significa che la nostra brillante ed efficiente rete di controlli ufficiali non è poi così brillante ed efficiente come ci vogliono far credere…

marco
marco
Reply to  Alessandro
7 Febbraio 2014 14:08

Probabilmente per l’interesse di chi acquista, sarebbero preferibili entrambe le strade..e non solo quella che è meno rischiosa per chi vende e che teme un limarsi dei propri profitti nel caso si indichi maggiore chiarezza.

I controlli ci vogliono in entrambi i casi. In entrambi i casi i controlli costano. Perchè dovremmo perseguire solo i controlli che state suggerendo?
perchè costano meno e limitano il rischio di perdite di chi vende ?

siamo noi consumatori ad acquistare , quindi siamo noi “a decidere” quanti e quali controlli preferiamo vengano fatti nel rispetto delle leggi , del buon senso e dei nostri interessi come acquirenti.
Il mercato è GLOBALE si vero, il MERCATO SI REGOLA anche con una contrattazione giusta tra le parti
dove C’E’ CHIAREZZA.

Acquistiamo ALTRI PRODOTTI che TUTELANO MAGGIORMENTE IL NOSTRO DIRITTO A SCEGLIERE come/cosa ACQUISTARE e non si tratta certo solo della pasta o della carne.

marco
marco
7 Febbraio 2014 15:00

I controllo sono necessari. In entrambi i casi.
Sia quando arrivano dall’estero sia quando sono già in italia e vengono prodotti da noi.

In entrambi i casi COSTA effettuare controlli cosi come l’indicazione dell’origine.
Non sta solo a chi vende stabilire quali siano le migliori e giuste strade da perseguire in tal senso poichè si preferirebbero solo i loro interessi.

Da consumatore , acquirente, “pretendo” entrambe le cose, tutelando anche i miei interessi.
Controlli e maggiore chiarezza dovuta da necessità più volte messe in evidenza anche su questo sito.

Diversamente, da acquirente, se non riesco ad ottenere queste cose (controlli e chiarezza) dal produttore X mi rivolgerò al produttore Y facendo attenzione ai “lupi” che vogliono solo sbandierare le indicazioni di “origine italiana”. Quindi acquisterò prodotto ALTROVE

Nel mercato globale o locale che sia, c’è chi vende, ma c’è anche chi acquista e per fortuna scegliendo tra diverse proposte.

Alessandro
Alessandro
7 Febbraio 2014 15:50

Marco mi spiace, dico che questo è il mio ultimo intervento sperando di mantenere il proposito perchè evidentemente non sono in grado di farmi capire.
La metto giù nel modo più semplicistico che conosco.
Caso A “senza origine”: Io Italia ho X euro di risorse dedicate ai controlli ufficiali che mi garantiscono la possibilità di effettuare 5 controlli sulla sicurezza alimentare (quindi anche sulle tossine nel caso di Michele).
Caso B “con origine”: Io Italia ho X euro di risorse dedicate ai controlli ufficiali (come prima). Devo scegliere però quanto sacrificare della sicurezza alimentare per controllare l’origine. Mettiamo che siano 3 controlli sulla sicurezza alimentare e 2 sulla veridicità delle indicazioni di origine. Ma anche fossero 4 a 1…in quale dei due casi secondo lei ho ottenuto più garanzie rispetto al pericolo tossine esposto da Michele? Quale delle due soluzioni è la più efficace per il problema esposto? La risposta è unica. Il caso A.
E’ troppo facile dire “voglio uno e l’altro”. Con quali risorse? Le risorse sono quelle, limitate. E dubito che l’attuale stato della nostra economia unito alla pessima gestione paese che ci contraddistingue possa migliorare le cose. Oltretutto dal 2016 mi risulta che dovranno essere fatti anche i controlli ufficiali sui valori nutrizionali, quindi ulteriori controlli senza aumento di risorse e personale.
Io, da acquirente tanto quanto lei, preferisco sapere di avere maggiori garanzie di sicurezza su ciò che mangio, piuttosto che sapere se ciò che mangio viene dall’Italia o dall’Ungheria.
E’ altrettanto legittimo che lei la pensi diversamente e si rivolga a chi le offre (a suo dire) controlli e chiarezza. E lo può già fare, privilegiando chi spontaneamente indica l’origine in etichetta. Vedrà che se questa sarà la scelta di una quantità considerevole di consumatori, il mercato di conseguenza di adeguerà…e alla lunga vedremo se davvero il consumatore ne avrà beneficiato…

marco
marco
Reply to  Alessandro
7 Febbraio 2014 19:32

Alessandro , lei è stato chiarissimo
quello che però manca al suo ragionamento è il voler ascoltare qualcuno che ha degli “INTERESSI” diversi dai suoi.

Come le ho detto tante volte , tutte queste questioni dovrebbe essere regolamentate tramite un GIUSTO ACCORDO TRA LE PARTI

il voler ribattere sempre sugli stessi punti, vedi costo maggiore, meno controlli, la comunità europea dice , a mio parere sono solo “tentativi di depistaggio”.
Nonostante questo le dico che anche io , nel suo esempio, preferisco avere controlli sulla sicurezza alimentare e non sulla veridicità della indicazione dell’origine. Ma chi ne ha mai parlato?
Io “nel mio piccolo” non ho chiesto alle istituzioni di focalizzarsi sulle indicazioni dell’origine. Sto chiedendo ai produttori di indicarlo.

L’esempio , lo fa benissimo ma dimentica che non c’è solo questo suo esempio.

Le faccio anche io un esempio semplicissmo per un DIVERSO ACCORDO TRA LE PARTI:
Paese ITALIA X ha 1000 lire di risorse per i controlli e con 1000 lire fa 10 controll all’anno
Azienda ITALIA Y già produre con materie di origine diversa ed effettua 10 controlli con proprie risorse all’anno. Gia spende 500 lire per etichettare , inserire scadenze etc sulle confezioni
Noi CONSUMATORI Z acquistiamo ciò che viene prodotto fidandoci dei 10 controlli dell’ITALIA X e del produttore Y. Dobbiamo per forza di cose farlo. Dobbiamo fidarci di entrambe le Entità

Se in una situazione del genere si lascia al paese ITALIA X la stessa 1000 lire per fare gli stessi 10 controlli ed il produttore Y fà i suoi propri 10 controlli con un “minimo di chiarezza in più” (e 510 lire di costo packaging) inserendo nell’elenco degli ingredienti l’origine,
dov’è il problema relativo al costo dei controlli ?
In alcuni post di giorn fà si discuteva del maggiore costo sul packaging. Oggi il problema del costo maggiore “è stato spostato sui controlli”.

NON ESISTE il problema del costo sui controlli poichè la situazione “nel mio esempio” non cambierebbe.
Aggiungo, così come ci dobbiamo fidare oggi di cio che compriamo con il totale dei 20 controlli, dovremmo farlo domani con 20 controlli + indicazione di origine A CURA del produttore che potrebbe si falsare tale informazione cosi come potrebbe falsare anche tante altre cose.
E allora? Lei come consumatore non rischerebbe nulla e avrebbe la stessa tutela.

Come vede , semplice non è, ma si può trovare sempre un accordo, una via di mezzo.

E ora sicuramente mi replicherà per l’ennesima volta sui costi maggiori del packaging , della comuintà europea “che dice” ,etc, etc, etc ,
non so fino a che punto lei “SIA DI PARTE” , ma chi ci legge e sopratutto chi produce , se ne facciano una ragione. Noi consumatori chiediamo maggiore chiarezza (e OVVIAMENTE gli stessi controlli , buoni o brutti che siano)

Aggiungo infine come già detto altre volte , almeno per quello che mi riguarda , che a beneficiarne , spero non sia soltanto la mia personale necessità di tutelare la mia salute ma anche altre correlate “sensibilità etiche” come ad esempio , rispetto alla tutela del ns territorio, delle ns tradizioni, etc,etc,etc,
Mi permetta, in questa posizione, io ritengo di essere meno egoista.

Se poi vogliamo farne semplicemente un discorso di prezzo basso , allora la maggioranza del mercato sicuramente protenderà verso quest’ultimo. Io però ritengo che tutto cio di cui si sta parlando “oggi” inevitabilmente condizionerà le scelte di chi produce e anche i loro profitti/margini.
Probabilmente anzichè “scappare” e tentare di blissare la questione farebbero meglio ad affrontarla e seriamente.

Alessandro
Alessandro
Reply to  marco
8 Febbraio 2014 14:48

Trovo che il suo vocabolario che spesso fa uso di termini come “occultare”, “depistare”, “nascondere”, il voler insinuare che chi scrive lo faccia per “interessi” sia indice di quanto sia lei piuttosto a non accettare posizioni diverse dalla sua. E non accettare che ci siano anche semplici consumatori che abbiano priorità diverse. Lei chiede che i produttori indichino l’origine e non le interessa che questa informazione venga controllata da qualcuno? Lei chiede qualcosa che già c’è. Già adesso lei può scegliere le aziende che ritiene “trasparenti” e boicottare quelle che non lo sono. E come le ho detto nel mio intervento precedente, è assolutamente legittimo che lei lo faccia (dato che non ascolto chi ha “interessi” diversi dai miei). Lei però non accetta che, come ci sono aziende che scelgono di fornire spontaneamente, l’indicazione dell’origine, ce ne siano altre che scelgano altrettanto legittimamente di non farlo, perchè secondo lei lo fanno perchè hanno qualcosa da nascondere. Lei invece pretende che tutti lo indichino, assurgendo al ruolo portavoce dei consumatori tutti (“noi consumatori” scrive). Quindi se qualcuno non reputa importante conoscere l’origine o non è un consumatore(?) o rientra nella categoria del consumatore “non edotto, non consapevole, non responsabile”? Ripeto, se davvero noi consumatori avessimo avuto a cuore l’origine dei prodotti, in tutti questi anni avremmo privilegiato prodotti Dop o di aziende che l’origine la indicavano. I numeri dimostrano che non è così. In futuro sicuramente le cose cambieranno: d’altra parte siamo circondati da “bisogni indotti”. Questo non farà certo eccezione.

marco
marco
12 Febbraio 2014 00:04

Mi dispiace ma non è come lei dice. Io le sue ragioni le ascolto e anzi , quando ho riscontrato dei suggerimenti
utili, l’ho anche sottolineato e apprezzato. Aldilà delle insinuazioni e del linguaggio utilizzato, io , ho espresso liberamente ciò che penso e ciò che mi è sembrato a seguito di alcuni interventi che più volte ho detto che sembrano di parte e che sembrano DEVIARE l’attenzione ALTROVE poiché se lei va a rileggere tutti i suoi commenti vedrà UNA CERTA EVOLUZIONE NELLE MOTIVAZIONI (e qui sempre a mio parere su alcune questioni che nel dettaglio si rilevavano infondate). A questo punto chi segue con attenzione i diversi commenti si sarà fatto di sicuro e autonomamente una idea.

Il fatto che riconosco ci siano “semplici consumatori diversi da me” l’ho anche evidenziato diverse volte. Se legge il mio commento sull’olio , li , ho mostrato l’apprezzamento di un produttore che aveva interesse/intenzione nella realizzazione di diverse linee di produzione in modo tale da accontentare chi più bada al prezzo senza necessariamente doversi dimenticare di chi invece fa più attenzione come me anche ad altro nonostante.

Personalmente ritengo che sia io che lei abbiamo lo stesso diritto di far valere i nostri interessi. E’ questo che cerco di evidenziare da tempo. Ho risposto ai suoi esempi semplicemente per rivendicare questo diritto e dimostrare che ai suoi esempi che palesemente mostrano certi interessi/sensibilità , ce ne siano altri diversi e/o opposti ai suoi. Nessuno dei 2 “deve avere ragione per forza”.
Qui non c’è ragione che tenga ma solo sensibilità/interessi diversi.

Forse ho “peccato” nel momento in cui ho utilizzato la parola “noi” e me ne scuso. Non intendo rappresentare tutti i consumatori ne potrei farlo. Era una semplice contrapposizione al “produttore in questione” e non a lei direttamente.
Quello che lei non ha voluto ascoltare è questo :

Da (non ricordo quanti) tot anni è stata regolamentata una legge che consente ai produttori di utilizzare determinate diciture (vedi prodotto in Italia) per alimenti la cui materia prima (nella maggior parte) NON è di origine italiana.
A mio parere questa indicazione regolamentata per legge non è chiara e non è neanche corretta (anche se avallata dalla comunità europea) ed è per questo motivo che personalmente chiedo che le ATTUALI REGOLE VENGANO RIVISTE e come detto tante volte CON UN MIGLIORE E PIU’ EQUO ACCORDO TRA LE PARTI.

Mi piacerebbe realizzare un statistica. Quante sono le persone che comprano la pasta prodotta in Italia e credono che la materia prima principale è italiana?!
Quante sono le persone che comprano la pasta e che, non badando alle indicazioni sull’origine, sanno che il grano per la maggior parte non è italiano.

Alla fine io singolo consumatore chiederò fin dove mi è possibile di poter ottenere maggiori informazioni/maggiore chiarezza in ogni sede opportuna. Cosi come lei invece chiederà altro.
Questo non significa che ciò che sta dicendo lei è sbagliato così come non è sbagliato quello che dico io.

Io credo che sia scorretto “indurre delle credenze” scegliendo certi termini che vengono indicati sulle confezioni dei prodotti alimentari (e non solo).

Appunto, in quanto ai bisogni indotti di cui lei parla potremmo, aprire un capitolo a parte. Lei faccia attenzione ai suoi che ai miei ci penso io.
Se poi crede cosi semplicisticamente di chiudere il discorso commette un altro errore nei confronti di chi ci legge con un minimo di attenzione. Chi ci legge immagino ricorderà ciò che ho detto tante volte a proposito di etica , di diverse sensibilità etc, ma queste sono tutte questioni che non la riguardano, altro che “bisogni indotti”

Alessandro
Alessandro
12 Febbraio 2014 10:08

Non vorrei che questa discussione venisse monopolizzata dagli scambi di opinione tra Marco e Alessandro perchè non credo interessi agli altri utenti del portale, quindi cercherò di essere il più sintetico possibile, per quanto la sintesi non sia il mio forte.
Se lei ha rilevato evoluzioni nelle motivazioni da me esposte ne sono felice. Arroccarsi sulle proprie convinzioni ignorando l’evolversi della discussione non è sinonimo di intelligenza. Tanti sono stati i commenti e tante le diverse sfumature attraverso le quali è stato trattato l’argomento che è naturale che le motivazioni a supporto del mio pensiero siano state integrate da altre rispetto all’inizio. In ogni caso, se lei ha notato incongruenze sarò ben lieto di chiarirle. Sono sicuro che se avessimo avuto modo di parlare, senza la barriera della scrittura avremmo raggiunto un punto di avvicinamento ben prima.
Condivido naturalmente con lei che non è una guerra su chi deve avere ragione o meno, dato che non c’è una ragione oggettiva in tutto questo. O meglio, io un punto che trovo oggettivo lo vedo: il fatto che “made in Italy”, “prodotto in Italia” e altre diciture simili nulla hanno a che fare con l’origine della materia prima. E quindi non possano “indurre delle credenze”
Ed è oggettivo non perchè voglia prepotentemente imporre la mia visione, ma perchè la lingua (italiana o inglese che sia) ha una sua logica e i significati delle parole sono ben chiari.
Mi rendo conto comunque che altri la vedano diversamente, ma per quanto possa rispettare questa convinzione non potrò mai condividerla.
Ultima cosa sui “bisogni indotti”: molto semplicemente, non è da ieri che nella pasta “made in Italy” si utilizzano grani non italiani. Eppure in tutti questi decenni, nessuno si è mai posto il problema.
Improvvisamente sembra che la questione dell’origine sia diventata di prioritaria importanza, tant’è che pare non se ne possa proprio fare a meno…
Mi spiace che lei continui a pensare che etica e diverse sensibilità non mi riguardino, ma onestamente è alla mia coscienza che guardo, non certo a come posso apparire a chi nemmeno mi conosce.

marco
marco
12 Febbraio 2014 13:17

I commenti al portale sono di carattere pubblico e scriverne di ulteriori sopratutto quando questo non comporta l’esclusione da parte di commenti ulteriori di altri utenti non credo siano un problema, sopratutto per Lei, che se ho capito bene, è un “semplice utente come me”. Anzi, servono proprio per consentire un confronto vero anzichè “lasciare solo dei messaggi che rischiano di indurre” ..

Chiarito questo, trovo finalmente un altro punto di accordo con Lei. Confrontarsi tramite mezzo scritto non è certo semplice e mi trovo costretto a replicare cosi come fa lei ogni volta che è necessario.

1) La lingua italiana è vero ha la sua logica e i significati sono ben chiari e può valere forse per Lei e per me. Andiamo a vedere invece nella pratica cosa accade, per questo avevo immaginato un bel questionario statistico magari da pubblicare su qualche grosso social network e poi ne riparliamo. E’ vero , già accade da anni nella realtà che la pasta venga fatta con grano estero , ma non da sempre, sorpatutto non certo quando il costo dei trasporti (molto più alto di quelli attuali) non lasciava convenienza alle aziende a poter andare ad acquistare le materie prime molto lontano e realizzando “piu o meno” la stessa pasta per lo stesso palato. Infatti , guarda caso, le necessità di aggiornare le norme sulle diciture da poter inserire sui prodotti sono state aggiornate quasi di pari passo nello stesso periodo. In tale momeeto nessuno certo si è preoccupato di rendere pubblica tale evoluzione, a chi avrebbe fatto comodo?.. a si, ai consumatori , e questa “pseudo normalità” che si è praticata da anni, solo perchè c’è stata negli ultimi 10/20 anni dovrebbe diventare una regola immodificabile? dov’è ora la sua intelligenza?

2) L’intelligenza. Quella a cui fa riferimento Lei non mi è sembrata una “semplice e spassionata” evoluzione della ricerca e della conoscenza. Sembra più un voler cercare a tutti i costi uno ad uno una serie di motivazioni che aggiungessero forza alla sua teoria della non necessità dell’indicazione dell’origine sulle confezioni. Questo mi fa pensare :
perchè questa pensona sta cercando uno ad uno delle motivazioni varie e che si allontanano da un bisogno personale di “semplice consumatore” ?! , forse non è un “semplice consumatore” , allora, sarebbe più onesto dirlo.
E’ partito dalla considerazione che le confezioni non progettate per stampare l’indicazione dell’origine dovessero essere buttate via , quando questo non è vero e possono tranquillamente essere smaltite. Poi è passato alle leggi comunitarie che ci governano, dimenticando che la comunità europea è fatta di tutti i cittadini quindi anche io e lei e ci devono rappresentare.
Poi si è passato all’aumento dei costi ,circa fino al 50% di aumenti ma questo importo riguardava solo uno specifico settore della trasformazione della carne , non tutti.
Quello che mi chiedo: questo modus operandi che Lei chiama intelligenza (e che io invece ho chiamato “depistaggio/creare false motivazioni”) a cosa è dovuto? qual’è “il suo interesse personale” che la spinge a trovare motivazioni diverse e non relazionate tra loro ma quasi a caso in cui. Ipotizzando che lei sia un “semplice consumatore come me”, visto che ha spesso parlato di “altri consumatori non interessati all’origine” deduco sia uno di questi, come mai si preoccupa della fine che faranno le confezioni vecchie, delle leggi comunitarie, e poi dei costi , e poi dei controlli?! Pare abbia l’intento di voler smantellare ad ogni costo le necessità di chi chiede ALTRO di diverso da Lei. Questa non mi sembra intelligenza ma scelte fatte di proposito verso un intento , il suo, che non mi sembra di un “semplice consumatore” che si preoccupa di 20centesimi in piu al kilo sul prodotto.

Sarà pur vero che non la conosco e infatti posso solo commentare tutto ciò che Lei sta scrivendo su questo sito.
Devo però riconfermalo , in nessun caso, nemmeno 1 sola volta ha mostrato in ciò che scrive “una coscienza etica ed altre sensibilità”, ma anzi….
e questo non significa certo “arroccarsi sulle proprie convinzioni” , poi alla fine, facciamo bene entrambi “a guardarci dentro” …

Alessandro
Alessandro
12 Febbraio 2014 16:29

Se lei non condivide le motivazioni che adduco ciò non le rende false o depistaggi.
Nè le rende tali il fatto di riportarle in modo “parziale” come in questo suo intervento. Che poi, proprio per i limiti della scrittura, alcune volte io possa averle riportate in modo non chiaro può essere, anzi sarà sicuramente così. Ma siccome è tutto scritto, basterebbe un minimo di buona volontà e unita all’assenza di preconcetti…Tanto per rispondere, al punto 1): da quel poco che mi sono informato è almeno dagli anni ’30 (come ha riportato un lettore poco sopra) che si utilizza grano estero per fare la pasta. Sono circa 85 anni. Mi immagino che si sia iniziato qualche anno in più, arrotondiamo a 100 per comodità. In questo secolo quindi evidentemente nessuno si è mai posto il problema. Oppure lei è a conoscenza che nel 1914 si siano mossi i primi passi per “aggiornare le norme sulle diciture da poter inserire sui prodotti”? Io onestamente no, ma non è nemmeno il mio lavoro, quindi potrei tranquillamente sbagliare. Poi, può essere che nel 1914 nessuno si sia preoccupato di avvisare i consumatori che si stava utilizzando grano russo. Mi perdonerà se faccio fatica a sentirmi ingannato a un secolo di distanza. sul punto 2) sugli imballaggi continua a non capire che non si tratta di un “una tantum” ma di modifiche continue. Questo l’ho scritto più volte. Lei tende a ignorarlo, ma questo non lo rende falso. Certo, il problema non si pone se l’origine non si mette in etichetta, ma non è questo l’orientamento dell’UE.
Quanto alla normativa Europea, questo è il quadro entro cui ci si muove. Non è perfetto naturalmente, ma è ciò che determina cosa sia lecito fare e cosa no. Che sia auspicabile che tenda al miglioramento continuo è altrettanto naturale. Le uniche armi che possiamo usare per fare in modo che ciò accada sono quelle della democrazia. La differenza tra me e lei è che lei pensa a una parte (i consumatori o parte di essi) io tendo a privilegiare una visione più generale (il sistema Paese lo chiamano). Nella mia visione i consumatori non sono i buoni e le imprese non sono i cattivi. Lei fa le pulci all’azienda che non mette l’origine perchè “allora vuol dire che ha qualcosa da nascondere”. Io dico che non mette l’origine perchè legittimamente sceglie di non farlo e il contesto in cui siamo lo consente. Un’azienda sana, che crea profitto, lavoro e lo fa in modo lecito è un bene non solo per l’imprenditore che gira in Ferrari, ma per tutto il sistema Paese. La ricchezza generata può essere ridistribuita in modo che porti beneficio a tutti. Questo non avviene da noi, perchè siamo un paese gestito male, ma non è colpa di chi la ricchezza la crea, ma di chi la spreca. In un contesto economico come il nostro, penalizzare quel tipo di realtà virtuose rischia di essere una zavorra letale per il Paese. Poi come ho detto più volte, la gestione di un Paese è fatta di scelte. E le scelte lasciano per forza sempre scontenta una parte. Io, con in mano il mappamondo, ho spiegato perchè secondo me l’impresa sia da privilegiare in un territorio come il nostro rispetto all’agricoltura. Ciò non toglie che anche la visione opposta alla mia abbia la sua legittimità.
Quanto all’aumento dei costi: ho sempre specificato che il documento linkato trattava il caso della carne utilizzata come ingrediente. Si tratta peraltro, al momento (e sarà così almeno per un altro anno) dell’unico lavoro organico sul quale basarsi per avere un’idea dell’impatto che può avere l’indicazione dell’origine sul mercato. La fonte mi sembra sufficientemente autorevole. Con tutto il rispetto, sicuramente più autorevole delle mie e delle sue parole che si basano su sensazioni e non su dati.
Il fatto che queste mie motivazioni siano arrivate in diversi momenti della discussione, lo ripeto, dipende dal fatto che su questo sito l’argomento è purtroppo spezzettato in diversi articoli e in diversi giorni (settimane e mesi). E così anche i commenti.
Il fatto che lei non sia in grado di mettere in relazione tra loro le mie motivazioni mi spiace, ma il filo comune è evidente e spero di averlo chiarito col mio intervento fin’ora.
Mi chiede come mai mi preoccupo dei costi di imballaggio? perchè l’aumento dei costi è penalizzante sia per l’azienda che per il cliente (tanto li paghiamo noi alla fine). A lei questo non interessa?
Come mai mi preoccupo delle leggi comunitarie? perchè penalizzare le nostre aziende rispetto al resto d’Europa è controproducente e perchè le procedure di infrazione aperte dall’UE hanno un costo pubblico (anche qui, li paghiamo noi). Perchè a lei questo non interessa?
Come mai mi preoccupo dei costi? devo rispondere? Magari per lei pagare di più non è un problema. Per quelli che “non arrivano alla fine del mese” forse lo è. E soprattutto in questo momento economico dove aziende e negozi chiudono ogni giorno, non prenderei alla leggera l’aumento dei costi…A lei questo non interessa?
Come mai mi preoccupo dei controlli? anche qui mi sembra evidente. Quando vado al supermercato vorrei delle garanzie che ciò che acquisto sia salubre. Sapere che i controlli sulla sicurezza alimentare possano venire meno in favore di controlli che IO reputo meno importanti mi infastidisce. So che lei non chiede che vengano fatti questi controlli. Ma nel momento in cui l’indicazione dell’origine sarà legge, questi controlli andranno comunque fatti, quindi…a lei non interessa che i controlli sulla sicurezza alimentare rischino di essere meno?
Riassumendo il tutto: lei sarebbe felice di pagare di più lo stesso prodotto di prima, rischiando di avere in cambio meno garanzie di sicurezza alimentare in un contesto che rischia di penalizzare le aziende stesse?
Il tutto per sapere che la semola utilizzata nella pasta che compra viene dal Canada?
Io rispetto il fatto che questa informazione per lei valga tutte le potenziali conseguenze. E se questa sarà le decisione dell’UE che diventerà legge la accetterò.
Ma non ho alcun problema a dire che per me il gioco non vale assolutamente la candela.
E se non va bene la pasta perchè il lavoro della Commissione trattava la carne, cambiamo il soggetto in “carne nel ripieno dei tortellini”.
Tanto per chiudere, non ho aziende, non ho interessi nella pasta nè in qualsiasi altro settore che ho menzionato in tutti i miei commenti, non ho interessi politici particolari. In passato ho lavorato nel campo alimentare. Ciò mi consente, anche adesso che mi occupo di altro, di avere una visione più ampia rispetto a chi non ha mai operato nel settore. Ogni settimana comunque faccio la spesa come lei, cercando di acquistare quanto di meglio io possa per me e la mia famiglia e probabilmente rispetto a lei ho altri parametri nel definire quelle che secondo me sono le aziende da premiare.
Nei miei ragionamenti cerco sempre di considerare tutte le parti in causa e i relativi pro e contro, perchè trovo che solo così si possa giungere ad una conclusione il più possibile obiettiva.
Se tutto questo comunque fa di me un utente non attendibile la invito ad evitare di interagire ulteriormente con me in modo che entrambi evitiamo di perdere tempo in questo modo. Questo perchè il confronto è vero solo nel momento in cui si è disposti ad ascoltare senza preconcetti la controparte.

marco
marco
Reply to  Alessandro
14 Febbraio 2014 00:49

Mi sembra che lei sta provando a cucirmi addosso le modalità dei suoi interventi e che le ho contestato …. infatti.. proprio io ho auspicato che chi proverà a farsi una idea di questo nostro scambio , leggerà anche i vari passaggi.
Sembra quasi una tecnica di “comunicazione avanzata”….

1) mi rimetto all’intelligenza che accennava in qualche commento precedente… il fatto che si sia iniziato ad importare il grano nel 1915 non sta a rafforzare nessuna tesi particolare sulla necessità di indicare la provenienza. Mostra soltanto il suo interesse nella ricerca di informazioni relative alla storia. Bene. Oggi siamo nel 2014 e le cose cambiano… secoli fa si moriva di malattia anche tramite alcune sostanze ritenute a quel tempo valide medicine … oggi ci sono migliaia di controlli in più, di attività , di “percorsi globali” delle merci ,etc , e qeulle “medicine” sono state abbandonate…
quindi .. questo ricorso al passato non testimonia niente di particolare. Oggi possiamo sapere molte più cose rispetto al passato e è sicuramente meglio. Si vive anche più a lungo.

2) a proposito degli imballaggi è stato chiarissimo. Quello che non è chiaro è come mai la moderna tecnologia di stampa (ora fanno anche le stampanti laser in 3D) con poche “righe di software” possano risolvere con un ridotto impatto i costi che lei cita. Dimentica che già oggi è necessario etichettare singolarmente ogni prodotto con data di scadenza etc e questa non è già presente sulle confezioni che devono essere in ogni caso “ritoccate” prima della messa in commercio. …. quindi altra riflessione che lascio commentare a chi ci legge

3) Vada a rileggersi bene i suoi post sui documenti della comunità europea e sulla questione dei costi. Sono stato io ad andarmi a leggere il link da lei proposto. Ho letto quasi tutto il documento originale in inglese e ho voluto riportare informazioni corrette e non parziali come la sua che sottolineava solo “il 50% di aumenti”
Ho scritto io che riguardava SOLO LA CARNE ..ma lasciamo stare pure questo..

Per me alcuni suoi commenti scritto in “3 righe … ” non mi sembrano cosi innocui o limitati dalla scrittura.
Visto che non sono un lettore pigro .. provvedo anche a fare tutti i copia ed incolla delle sue citazioni :

-“3). Lo scenario che riassumo in 2 parole è: potenziale aumento dei costi per le aziende fino al 50% in più (il cui 90% ricadrebbe sul consumatore)” (aggiungo io : consumatore povero stai attento !!)
– “il Reg. CE è comunque gerarchicamente superiore ad una legge nazionale” (aggiungo io : consumatore poco colto c’è qualcuno ancora più in alto che ti governa e tu devi obbedire)
-“In ogni caso qui si parla di una legge nazionale gerarchicamente inferiore rispetto alla normativa comunitaria” (etc)

Sono tutti commenti che mi sembrano piuttosto tendenziosi.. o come li vogliamo chiamare ?

In ogni caso. Le ho detto già diverse volte. Non ci sono buoni o cattivi ma ci sono 2 attori , venditore ed acquirente e questa dinamica è regolamentata da un contratto tra le parti innanzitutto prima ancora di qualsiasi imperfetta legge europea superpartes.
Sta cercando di trasformarmi in un consumatore “egoista” che è contro i produttori. Si sbaglia e anche questo è stato chiaro più volte. Così come le ho già risposto altre volte qua bisogna capire “chi/cosa/come” si vuole tutelare e non lo stabilisce solo lei con le sue idee ne un consumatore come me ne un produttore MA TUTTI INSIEME ed in maniera equa chiara E ONESTA.
La bella favoletta del sistema paese può andar bene per chi ha una visione limitata. Io le ho parlato più volte di certe “ampiezze etiche” soprattutto per il suo tanto caro “sistema paese” che viene penalizzato in primis con l’introduzione nel territorio di alimenti che vengono prodotti altrove , da altra forza lavoro nell’altra parte del mondo, magari anche in luoghi del mondo dove vige un certo sfruttamento e poca tutela dei lavoratori stessi.
Quindi la sua favoletta del sistema paese la metto insieme alle altre.
Altra domanda “chi si decide vogliamo tutelare” ?
Per me questo è il vero punto della discussione
A tale proposito io ho le idee ben chiare e non le permetto di trasformarle in “convinzioni arroccate” o interessi personali poiché si tratta anche di etica e che per l’ennesima volta non vedo da nessuna parte nel suo lungo commento.

Io alle sue domande rispondo. Del resto l’ho già fatto più volte ed è per questo che continuo ad interagire. Lei ipotizza e fa solo delle ipotesi sulla minore sicurezza alimentare. Aggiungerei , oltre alle questioni di etica, sempre da “uno tra tanti consumatori che non rappresenta la totalità”, voglio assolutamente sapere se il grano utilizzato nella pasta che acquisto è Canadese poiché provvederò a fare delle scelte diverse in tale caso e, conoscendo la situazione , lo faccio già, tra l’altro. In Canada come negli stati uniti si fa un uso massiccio di agricoltura e pesticidi OGM. Discorso in cui le ho già detto più volte non voglio entrare poiché dovremmo andare ad interagire per altre mille volte e non ne ho nessuna intenzione.
Così come non acquisto scarpe di noti marchi poiché prodotte in paesi dove c’è un massiccio sfruttamento di lavoro minorile , di sicuro questa cosa a parecchi “consumatori poveri” ancora non interessa. Qui c’è la differenza tra una società ed un’altra , una società e uno stato che si preoccupano di migliorare le condizioni sociali e culturali dei cittadini che lo compongono e non di “altro”. Ma questo so già che “è troppo” per lei quindi non mi dilungo ulteriormente.

Io non voglio acquistare pasta con grano di tale provenienza. E’ chiaro?
Se per lei questa è una questione di poco conto, è una sua libera scelta. Bene. La mia è diversa. Bene anche questo. E questo sulle colture OGM è solo uno degli altri diversi aspetti su cui si potrebbe riflettere a lungo ma non certo con lei e infatti come lei dice ha altri parametri per definire quelle che sono le aziende da premiare…
questi sono i miei.

Se il produttore non lo indica poiché un imperfetto documento comunitario non glielo impone ancora , e soprattutto quando lo stesso documento imperfetto gli consente di aggiungere sulla confezione “prodotto in Italia” io non lo ritengo assolutamente giusto e corretto e questo è quello che contesto vivamente. E questo è solo un esempio.
In quanto ai costi sui poveri consumatori a lei tanto cari e che le vengono in mente quando ha il mappamondo alla mano, le ricordo che ci sono casi in cui, come nella produzione dell’olio, è stato stabilito di indicare non esattamente con precisione l’origine ma di dire all’acquirente se si tratta di olio prodotto con materie prime nazionali 100%, di origine UE, Extra UE. E questo non ha certo fatto lievitare i costi al 50%. Purtroppo, al momento, solo su alcuni prodotti è stato imposto l’obbligo.

Anche io cerco di ascoltare e ritengo di averlo fatto più volte apprezzando ad esempio la parte relativa ai controlli. Mi dispiace ma non si può lasciare ne alla legge imperfetta della comunità ne a chi è del settore alimentare di vendermi un prodotto realizzato (anche se pure indirettamente mediante pesticidi) con OGM (AD ESEMPIO) senza che io lo sappia e possa scegliere. Sempre ad esempio, oggi in Italia , con un prodotto 100% italiano , non sarebbe possibile pure se di “sapore e tenuta” inferiori. Ripeto non voglio entrare nella questione OGM poiché già immagino le sue convinzioni.

E questo, è solo un esempio che sto cercando di spiegarle da tempo, in contrapposizione alla sua idea in cui se un produttore non vuole dare maggiore chiarezza nella lista degli ingredienti (in un modo o nell’altro) al momento è libero di farlo. Per me non è assolutamente corretto e non è certo una questione di libertà (sempre concessa dalle sue tanto care imperfette leggi comunitarie).
Mi farebbe piacere TROVARE UN PUNTO DI INCONTRO, non certo con lei , ma con chi mi “viene a vendere” questa pasta/prodotti… e che questo punto di incontro venga garantito e tutelato dalla legge , comunitaria e non cercando di rispettare nei limiti del possibile GLI INTERESSI DI TUTTI GLI ATTORI COINVOLTI

Questo si chiama confronto.
Non lo è certo quello che diventa un mero tentativo di influenzare altre persone che leggono con minore attenzione …. magari anche provando a screditare l’interlocutore con dinamiche e commenti che ha fatto lei diverse volte “..consumatori confusi che non sanno cosa vogliono” …”consumatori dai bisogni indotti” … chiacchiere ..

Lei per me non è per niente attendibile aldilà di quali siano i suoi interessi reali o quantomeno, non cerca assolutamente nessun confronto reale.
Non ho nessuna intenzione di perdere tempo con lei ne di interagire ulteriormente ma non le permetterò in nessun caso ne di “trasformare” i miei commenti ne di diffondere “comunicati terroristici sull’aumento dei prezzi” ne di rasentare la linea dell’insulto. Quindi mi faccia la cortesia non mi costringa a perdere tempo ulteriormente.

Alessandro
Alessandro
15 Febbraio 2014 00:10

Il bello di siti come questo è che tutto rimane scritto!
1) Nel suo intervento precedente lei scrive: ” guarda caso, le necessità di aggiornare le norme sulle diciture da poter inserire sui prodotti sono state aggiornate quasi di pari passo nello stesso periodo”. Quale periodo? Parla di un secolo fa quando verosimilmente (da verificare, se qualcuno ancora leggesse questa discussione sarei interessato a sapere questo dato) possiamo far risalire l’utilizzo di grani esteri? O Parla di 10/20 anni fa come scrive poco dopo? E a quali norme fa riferimento? Non sapendolo mi sono limitato a seguire il filo logico del suo discorso e le ho chiesto se lei è a conoscenza del fatto che un secolo fa questa necessità si sia sentita …io non lo so, ma lei evidentemente sì visto che lo sostiene.
2) Lei da per scontato che tutte le aziende abbiano codificatori compatibili con quanto lei richiede. Saprà bene ad esempio che un conto è stampare un codice lotto, un altro stampare un testo più lungo e complesso. Se li hanno benissimo, costo zero. Se non li hanno si tratta comunque di costi non necessariamente irrisori. Soprattutto per piccole realtà. Prima che lei venga fuori con la storia che cambio le motivazioni di volta in volta, questo lo avevo già scritto.
3) Come ho premesso, il bello è che ciò che si scrive qui rimane scritto. Infatti il link sul lavoro della Commissione l’ho pubblicato il 17 dicembre. E ho premesso che si riferiva alla carne utilizzata come ingrediente. Questo è facilmente verificabile, basta leggere le prime due righe del mio intervento. Che lei ha commentato il 20 dicembre…Ma se sostiene di aver detto lei che si riferisce alla carne, allora devo aver sicuramente sbagliato e leggere le date…
Quelli che poi lei chiama “commenti tendenziosi” io li chiamo “dati di fatto”. O meglio, perchè è meglio essere chiari: il primo è un semplice riportare una delle conclusione della Commissione Europea. Mi smentisca se può. Ma non può perché anche questo è scritto. Quindi semmai sarà stata tendenziosa la Commissione. Il fatto poi che un Regolamento CE sia gerarchicamente superiore ad una legge nazionale non è tendenzioso, è un dato di fatto. Ma credo che lo sappia anche lei…e se non lo sa, anche questa è una cosa facilmente verificabile.
Ma andiamo avanti. Il contratto tra le parti non è impedito: come ho avuto modo di scrivere più volte, lei può tranquillamente scegliere già ora quelle che sono le aziende che soddisfano i requisiti che richiede tra i quali anche l’indicazione dell’origine. Così come già ora può privilegiare le aziende con certificazione etica SA 8000 ad esempio. E nessuna legge, nazionale o comunitaria le sta togliendo questo sacrosanto diritto.
Faccio fatica a capire cosa intende per decidere “tutti insieme”. Intende un referendum? O cosa? La democrazia rappresentativa non è una forma di governo secondo lei efficace? Non è perfetta ovviamente. E come tale genera “documenti imperfetti”. Ma mi sa dare l’esempio di una legge secondo lei perfetta?
Sulla “favoletta” del sistema paese: lei pensa che limitare l’introduzione nel nostro paese di materie prime estere favorirebbe il sistema paese? E’ legittimo che lei lo pensi. Io altrettanto legittimamente penso il contrario ma almeno ne ho spiegato il motivo.
Sul chi/come si voglia tutelare: ho già detto. Anche qui io almeno ho spiegato il perché la penso in questo modo. Come ho più volte detto che si tratta di scelte. E come tali finiscono sempre per scontentare una parte.
Passiamo a OGM. Nel suo ragionamento dimentica alcuni particolari
Giusto, in Canada si utilizzano OGM. Se vengono in UE i prodotti che contengono più dello 0,9% di OGM devono indicarlo in etichetta. Ci sono in controlli. E lei dirà: chi mi garantisce che coi controlli io abbia la garanzia di non mangiare OGM? Nessuno glielo garantisce, perché i controlli ovviamente non sono sulla totalità del prodotto che entra. Allora lei dice che se leggo che viene dal Canada sono tranquillo. Lei sa che le sementi Ogm si possono acquistare anche da qui? Bene. Una volta acquistate si possono anche usare…Se i controlli del prodotto che entra dal Canada non le possono garantire di non mangiare OGM, come può pensare che invece gli stessi controllori ufficiali siano in grado di garantirle di non mangiare OGM con prodotti italiani? E ancora: lei ha detto in un intervento precedente che vuole solo che i produttori indichino sulle confezioni l’origine, non che quanto dichiarano venga controllato da qualcuno, giusto? O almeno così ha scritto. Quindi basterebbe che nel suo scenario il produttore ometta l’origine Canada o USA per renderla tranquilla sulla questione OGM?
Su UE/non UE. E’ lo scenario 2 del link della Commissione. E l’ho riportato quando ho inserito il link stesso. Ha naturalmente un minore impatto di costi e per contro da al consumatore, minori informazioni. Anche qui, si tratta di scelte: chi pretende di conoscere la provincia o il comune di origine (richieste reali che ho letto qui) non potrà certo dirsi soddisfatto di questa soluzione. Per lui sarà quindi una legge imperfetta.
Concludendo: io non scrivo certo per convincere qualcuno, né ho la presunzione di essere in grado di farlo, probabilmente mi sopravvaluta. Mai nei miei commenti io ho fatto riferimenti alla platea di “chi ci legge”. Né ho mai sostenuto che la mia posizione fosse l’unica possibile e corretta. Io ho sempre cercato di portare nei miei commenti dati a supporto di quanto scritto. Dati che possono essere condivisibili o meno in base ai propri punti di vista. Ma almeno io dei dati li ho portati.
Se lei avesse avuto la buona volontà di leggere i miei commenti senza pregiudizi avrebbe notato poi che “convinzioni arroccate” non era riferito a lei. Bastava leggere per intero la frase in cui utilizzo quei termini. Di certo mai le ho mancato di rispetto. Né tantomeno insultata. Non posso dire altrettanto di lei che non ha mancato di farlo in modo più o meno velato, permettendosi di lasciarsi andare a giudizi personali nei miei confronti circa la mia mancanza di senso etico senza averne diritto alcuno.
Per i “comunicati terroristici” sull’aumento dei prezzi, lo ripeto, se la prenda con la Commissione, non con me. E porti i suoi dati (che sicuramente avrà) per smentirli. E non sono certo io a costringerla a perdere tempo con me, visto che per primo le ho scritto, che, per il rispetto di tutti gli utenti di questo sito, non era il caso di utilizzare questo spazio pubblico per ridurlo ad un botta e risposta tra due persone e ad invitarla a non interagire ulteriormente con me qualora non mi ritenesse attendibile. Cosa che non ha fatto e non certo perchè io l’ho costretta…

marco
marco
15 Febbraio 2014 13:07

Avrò potuto anche sbagliate qualche data …ma infatti come dice bene lei .. “è tutto scritto” e per fortuna e guarda caso non sono il primo a ipotizzare degli interessi diversi da quelli “spassionati e personali”, in ogni caso, questo argomento non mi interessa più quindi non le rispondo più ,figuriamoci ora che vuole spostare il piano della discussione “sui dati” , quei dati che dall’inizio ha sempre fornito in maniera distorta e incompleta… ma per cortesia è dall’inizio che gioca con “tanti piani” ogni volta cambia di livello , mi ricorda il mago Silvan.

Riguardo agli OGM il discorso è molto complesso e riguarda oltre che ai controlli molte “leggi imperfette della comunità europea” che spero vengano presto riconsiderate e a favore della maggioranza dei cittadini europei (solo 5 paesi sono a favore , per quello che mi riguarda dico “per fortuna” !!)
per il resto le mie e le sue considerazioni “qui dentro” lasciano il tempo che trovano. Io non sono un tecnico che deve legiferare in merito, ne qui in questo sito siamo a far parte di una commissione che debba legiferare in merito, quindi non vengo a dare tutti i dettagli normativi , le diverse sensibilità etiche per stabilire fino in fondo come e dove deve essere regolamentata la questione.
Quello 0,9% consente ad esempio di introdurre anche prodotti che sono stati a contatto (come il grano a pesticidi) e che quindi , in controlli approfonditi potrebbero rilevarne la presenza.
Vero non è possibile controllare tutto , ma questa regola sui controlli che mi sembra a lei tanto cari non può essere certo presa ad esempio per dire “non possiamo controllare nulla , non possiamo controllare tutto, quindi che controlliamo a fare?” !!..

..Io faccio delle riflessioni a differenza di qualcuno che vuole indurre riflessioni più profonde e OVVIAMENTE SOLO A MIO PARERE IN MANIERA “PILOTATA”. Detto questo, sarà nelle sedi opportune che verrà regolamentato il tutto. Alle persone che seguono le sue idee e a coloro che seguono le mie e ci rappresentano spetterà tale il compito oltre che quello di diffondere quanto più possibile le corrette informazioni senza cercare di “pilotarle” e qui faccio nuovamente riferimento ad uno stato che si preoccupi di far evolvere socialmente e culturalmente i propri cittadini onde evitare che “le masse poco informate” possano facilmente essere influenzate.

Io i suoi commenti li ho letti e ho cercato anche di approfondirli, infatti, mi sono reso conto rispetto alle mie considerazioni iniziali che in effetti in alcuni settori ed in certi casi la possibilità di specificare 10 origini diverse su 10 ingredienti diversi diventa complicato e costoso per le aziende. Ciò non toglie che se ci fosse la volontà di venire incontro e qui a mio parere NON si tratta di un “regalo” ma di un diritto di acquista ed un dovere per chi vende si potrebbe ipotizzare : un “PUNTO DI INCONTRO” cosi come le avevo detto più volte, aggiungendo diciture del tipo “ORIGINI DIVERSE” oppure indicare l’origine della materia prima principale e senza costi stratosferici poiché purtroppo al momento sono in pochi a farlo proprio perché non c’è l’obbligo.
Se non ci fosse stato l’obbligo della garanzia legale di 2 anni , ma quante aziende avrebbero offerto la stessa , soprattutto per una durata di 2 anni?
Ci aveva provato un grosso produttore di smartphone e per fortuna non per molto.

Altro punto di incontro potrebbe essere quello di analizzare settore per settore e stabilirne diverse regole. Oggi con l’olio ad esempio già avviene, con le uova ,avviene. Sulle uva viene stampigliata una singola dicitura (su ogni singolo uovo) dove viene indicata la freschezza, il tipo di allevamento , la provincia.
Non mi venga a dire che con le uova è diverso, perché gliel’ho già detto : “regolamentare settore per settore”
Indicare “origini diverse” (quindi nessuna necessità di controllo, nessun problema sulle scatole, etc etc)

Ma no. Per lei nessun punto di incontro è “sostenibile” nemmeno questo più semplice come quando si cambia uno slogan. Tutto è inutile circa le indicazioni dell’origine. Tutto, soprattutto quando si parla della pasta e soprattutto a mio pare senza nessuna considerazione anche di tipo etico oltre che “alla base di qualsiasi contratto di acquisto/vendita”
Si può scrivere “materie prime di origine non ue” ?? quanto costa , su tutte le confezioni
“materie prime di origine DIVERSA”

Si è vero ho espresso giudizi personali ma se rilegge, si accorgerà che inizialmente mi sono rivolto a lei come un “normale altro utente” che scrive su questo sito come me……..e soltanto dopo aver accumulato le sue VELATE considerazioni diffamanti sui miei commenti e su chi la pensa diversamente da lei l’ho fatto.
Lei si è riferito rispondendo esattamente a me quando ha parlato “di consumatori dai BISOGNI INDOTTI” cercando di screditare le mie convinzioni e i miei interessi
Ma come si permette?? e ora nega pure.
Mi faccia il piacere , la smetta.

Le ho già detto se ho continuato e continuo a risponderle è soltanto perché non le permetto di “rasentare velatamente degli insulti” e pilotare ciò che scrivo “con i suoi dati”. Ora basta. Lei continui le sue attività e i commenti su ogni articolo …
Io non ne voglio fare una questione personale abbiamo entrambi dichiarato i nostri interessi e le nostre sensibilità.
Ripeto non le permetterò altri giochetti del genere infatti degli OGM si è parlato e riparlato a sufficienza anche su questo sito.

Per quello che mi riguarda , ad oggi, chi acquista ha poche possibilità di essere tutelato in merito a quelle che sono le mie considerazioni personali , sensibilità, etica, etc ed a proposito non solo della pasta.

Quindi, da persona coscienziosa e che non pensa egoisticamente solo ai propri bisogni personali e non ha “tutti bisogni indotti”, ma che pone alla base delle proprie scelte di vita il rispetto dell’ambiente , del lavoro degli altri, della natura , della non sfruttamento massiccio ed indiscriminato della terra che “ci ospita” , sceglierà di favorire nei limiti del possibile , aziende che lavorano e producono in maniera etica (sul serio) e non guardando il mappamondo , certi dati, certa scienza.

Cercherò in ogni occasione/luogo possibile di diffondere parte del mio sapere/sensibilità in merito in ogni occasione, sede, persona.
sulle confezioni dei prodotti :
Si può scrivere “materie prime di origine non UE”
Si può scrivere “materie prime di origine DIVERSA”
Si può scrivere “materia prima principale di origine X”
costa 0,00001 cent a confezione come quando si cambia uno slogan pubblicitario di una confezione stessa. Non richiede nessun controllo, ed è più “ONESTO”.

marco
marco
15 Febbraio 2014 15:30

Avrò potuto anche sbagliate qualche data …ma infatti come dice bene lei .. “è tutto scritto” e per fortuna e guarda caso non sono il primo a ipotizzare degli interessi diversi da quelli “spassionati e personali”, in ogni caso, questo argomento non mi interessa più quindi non le rispondo più ,figuriamoci ora che vuole spostare il piano della discussione “sui dati” , quei dati che dall’inizio ha sempre fornito in maniera distorta e incompleta… ma per cortesia è dall’inizio che gioca con “tanti piani” ogni volta cambia di livello , mi ricorda il mago Silvan.

Riguardo agli OGM il discorso è molto complesso e riguarda oltre che ai controlli molte “leggi imperfette della comunità europea” che spero vengano presto riconsiderate e a favore della maggioranza dei cittadini europei (solo 5 paesi sono a favore , per quello che mi riguarda dico “per fortuna” !!)
per il resto le mie e le sue considerazioni “qui dentro” lasciano il tempo che trovano. Io non sono un tecnico che deve legiferare in merito, ne qui in questo sito siamo a far parte di una commissione che debba legiferare in merito, quindi non vengo a dare tutti i dettagli normativi , le diverse sensibilità etiche per stabilire fino in fondo come e dove deve essere regolamentata la questione.
Quello 0,9% consente ad esempio di introdurre anche prodotti che sono stati a contatto (come il grano a pesticidi) e che quindi , in controlli approfonditi potrebbero rilevarne la presenza.
Vero non è possibile controllare tutto , ma questa regola sui controlli che mi sembra a lei tanto cari non può essere certo presa ad esempio per dire “non possiamo controllare nulla , non possiamo controllare tutto, quindi che controlliamo a fare?” !!..

Faccio delle riflessioni a differenza di qualcuno che secondo vuole indurre riflessioni più profonde e pilotate. Detto questo, sarà nelle sedi opportune che verrà regolamentato il tutto. Alle persone che seguono le sue idee e a coloro che seguono le mie e ci rappresentano spetterà tale il compito oltre che quello di diffondere quanto più possibile le corrette informazioni senza cercare di “pilotarle” e qui faccio nuovamente riferimento ad uno stato che si preoccupi di far evolvere socialmente e culturalmente i propri cittadini onde evitare che “le masse poco informate” possano facilmente essere influenzate.

Io i suoi commenti li ho letti e ho cercato anche di approfondirli, infatti, mi sono reso conto rispetto alle mie considerazioni iniziali che in effetti in alcuni settori ed in certi casi la possibilità di specificare 10 origini diverse su 10 ingredienti diversi diventa complicato e costoso per le aziende. Ciò non toglie che se ci fosse la volontà di venire incontro e qui a mio parere NON si tratta di un “regalo” ma di un diritto di acquista ed un dovere per chi vende si potrebbe ipotizzare : un “PUNTO DI INCONTRO” cosi come le avevo detto più volte, aggiungendo diciture del tipo “ORIGINI DIVERSE” oppure indicare l’origine della materia prima principale e senza costi stratosferici poiché purtroppo al momento sono in pochi a farlo proprio perché non c’è l’obbligo.
Se non ci fosse stato l’obbligo della garanzia legale di 2 anni , ma quante aziende avrebbero offerto la stessa , soprattutto per una durata di 2 anni?
Ci aveva provato un grosso produttore di smartphone e per fortuna non per molto.

Altro punto di incontro potrebbe essere quello di analizzare settore per settore e stabilirne diverse regole. Oggi con l’olio ad esempio già avviene, con le uova ,avviene. Sulle uva viene stampigliata una singola dicitura (su ogni singolo uovo) dove viene indicata la freschezza, il tipo di allevamento , la provincia.
Non mi venga a dire che con le uova è diverso, perché gliel’ho già detto : “regolamentare settore per settore”
Indicare “origini diverse” (quindi nessuna necessità di controllo, nessun problema sulle scatole, etc etc)

Ma no. Per lei nessun punto di incontro è “sostenibile” nemmeno questo più semplice come quando si cambia uno slogan. Tutto è inutile circa le indicazioni dell’origine. Tutto, soprattutto quando si parla della pasta e soprattutto a mio pare senza nessuna considerazione anche di tipo etico/sostenibile oltre che “alla base di qualsiasi contratto di acquisto/vendita”
Si può scrivere “materie prime di origine non ue” ?? quanto costa , su tutte le confezioni
“materie prime di origine DIVERSA”

Si è vero ho espresso giudizi personali ma se rilegge, si accorgerà che inizialmente mi sono rivolto a lei come un “normale altro utente” che scrive su questo sito come me……..e soltanto dopo aver accumulato le sue VELATE considerazioni diffamanti sui miei commenti e su chi la pensa diversamente da lei, l’ho fatto.
Lei si è riferito direttamente a me quando ha parlato “di consumatori dai BISOGNI INDOTTI” cercando di screditare le mie convinzioni e i miei interessi
Ma come si permette?? e ora nega pure.

Le ho già detto se ho continuato e continuo a risponderle è soltanto perché non le permetto di “rasentare velatamente degli insulti” e pilotare ciò che scrivo “con i suoi dati”. Ora basta. Lei continui le sue attività e i commenti su ogni articolo …
Io non ne voglio fare una questione personale abbiamo entrambi dichiarato i nostri interessi e le nostre sensibilità.
Ripeto non le permetterò altri giochetti del genere infatti degli OGM si è parlato e riparlato a sufficienza anche su questo sito.

Per quello che mi riguarda , ad oggi, chi acquista ha poche possibilità di essere tutelato in merito a quelle che sono le mie considerazioni personali , sensibilità, etica, etc ed a proposito non solo della pasta.

Quindi, da persona coscienziosa e che non pensa egoisticamente solo ai propri bisogni personali e non ha “tutti bisogni indotti”, ma che pone alla base delle proprie scelte di vita il rispetto dell’ambiente , del lavoro degli altri, della natura , della non sfruttamento massiccio ed indiscriminato della terra che “ci ospita” , sceglierà di favorire nei limiti del possibile , aziende che lavorano e producono in maniera etica (sul serio) e non guardando il mappamondo , certi dati, certa scienza.

Per quello che mi riguarda, cercherò in ogni occasione/luogo possibile di diffondere parte del mio sapere/sensibilità in merito. In ogni occasione, sede, con ogni persona mi confronterò a proposito della necessità/dovere di indicare sulle confezioni dei prodotti l’origine dove ad esempio :
Si potrebbe scrivere “materie prime di origine non UE”
Si potrebbe scrivere “materie prime di origine DIVERSA”
Si potrebbe indicare un codice ed approfondirlo sul sito del produttore…
costerebbe 0,00001 come quando si cambia uno slogan pubblicitario di una confezione.
Non richiederebbe nessun controllo specifico , sarebbe tutto solo più chiaro e CORRETTO

Alessandro
Alessandro
15 Febbraio 2014 23:18

Prima di tutto vorrei fare una premessa, ancora sui bisogni indotti. Le riporto ciò che avevo scritto: “In futuro sicuramente le cose cambieranno: d’altra parte siamo circondati da bisogni indotti”. Non vedo come il concetto di bisogno indotto possa essere ricondotto ad un’offesa. Men che meno ad un’offesa personale nei suoi confronti, visto che uso la prima persona plurale e scrivo “SIAMO circondati da bisogni indotti”. Non mi offendo se mi dicono che la connessione ad internet del cellulare che sto usando è un bisogno indotto, né che acquistare l’acqua in bottiglia lo sia, o la pay-tv. In ogni caso non è stato detto con lo scopo di offendere, ma se malgrado ciò si è sentito offeso, me ne scuso.
Detto questo, il problema non è che lei abbia sbagliato data. Lei ha tutto il diritto di non condividere nessuna delle miei posizioni, ma non può sostenere il falso. Ed è falso sostenere che io abbia omesso che lo studio della Commissione Europea fosse riferito alla carne, perché è stata la prima cosa che ho premesso nel momento in cui ho messo il link. Così come è falso sostenere che sia tendenzioso dire che un Regolamento Comunitario sia gerarchicamente superiore ad una legge nazionale. Non è tendenzioso . E’ oggettivo. I “giochetti” quindi non sono certo io a farli.
Chiarito questo, posso legittimamente dire che per ME l’indicazione dell’origine porta più svantaggi che vantaggi? Spero di sì. Posso dirlo senza essere da lei considerato una persona di serie B? Le motivazioni le ho spiegate, se non le condivide va benissimo, ma ho la stessa libertà di pensiero e parola che ha lei.
Non ho alcun problema a dire peraltro che se non ci fossero costi aggiuntivi, se non fosse vero che ci possa essere contrazione dei consumi e disoccupazione, se non fosse vero che ciò potesse compromettere l’efficacia dei controlli sulla sicurezza alimentare, io sosterrei senza dubbio alcuno la sua posizione. E, aggiungerei, come ho avuto modo di dire già altre volte, se venisse spiegato in modo chiaro ai consumatori che l’origine e la qualità delle materie sono cose differenti. Perché anche io sarei curioso come lei di conoscere l’esito di un eventuale sondaggio sull’argomento sui Social Network come da lei auspicato qualche commento fa.
Io naturalmente non so se queste cose davvero si verificheranno. Lo studio non l’ho fatto io e non so come sia stato strutturato. Ma è l’unico documento che conosco dove viene trattato il problema in modo organico. E devo dire che molte cose che ho letto in quello studio le avevo pensate anche io, facendo riferimento alla realtà dove lavoravo prima. In ogni caso, anche solo nel dubbio di uno scenario del genere, qualche cautela io la terrei, soprattutto in questo momento storico.
Se poi quello studio si rivelerà sbagliato, tanto meglio. Per tutti.
Perché comunque l’indicazione dell’origine ci sarà. La normativa (Regolamento CE) lo prevede. Articolo 26. Le uniche cose da definire sono semplicemente le modalità attraverso le quali verrà fatto tutto ciò. Il mio parere è che si andrà nella direzione che dice lei. Ovvero indicazioni generiche: UE/non UE (o simili).
A questo punto io chiedo e l’ho già fatto un paio di volte: coloro che vogliono conoscere il paese di origine (se non addirittura provincia e comune) saranno soddisfatti nel leggere semplicemente: origine non UE? O origine DIVERSA?
Sbaglia comunque nel dire che per queste indicazioni non serve alcun controllo. Sono indicazioni in etichetta e come tali saranno sottoposte al controllo ufficiale.
Posso infine dire legittimamente che un operaio che rimane disoccupato perché la sua azienda ha chiuso, per ME, ha lo stesso valore di un agricoltore che non riesce a vivere della sua terra? Posso dire quindi che sostenere, come ha fatto lei, che il sistema paese trarrebbe giovamento dal non importare materie prime estere sia quantomeno azzardato? Perché lei può benissimo decidere di non considerare “certe scienze” e “certi dati”, ma non considerare il mappamondo significa non considerare che il territorio, che per certi versi è la nostra forza, per altri, purtroppo è anche il nostro limite.

marco
marco
16 Febbraio 2014 13:30

Non riesco più a trovare sul sito il primo post in cui lei ha inserito il link ed il “suo semplice commento sui costi che arrivano ad aumentare fino al 50%” senza fare nessun riferimento al settore trattato o a “diversi settori”, ma dandone una indicazione generica.
Su questo non “ci troviamo”
Solo dopo la “mia correzione” lei ha iniziato a commentare in maniera diversa. Ora quel post non lo trovo più
per lei questo non è un problema , per me si.
Quindi sarei io a sostenere il falso? e’ fortunato che sul sito non si trova più quel primo articolo dove lei pubblicava il link/url purtroppo… sempre purtroppo sono riuscito a trovare solo quello successivo del 12 dicembre.

In ogni caso il mio messaggio è chiaro : occhio che ci sono utenti più scrupolosi che “controllano” certe informazioni parziali … e questo è quanto, a buon intenditore poche parole.

Mi complimento con lei circa la sue abilità di trasformazione di ciò che scrive. Soprattutto utilizzando una scrittura/linguaggio generico dall’alto potere influenzante (SIAMO..bisogni indotti) non riferibile necessariamente ad una singola persona e quindi riadattabile genericamente ad un qualsiasi discorso e con la capacità di minimizzare ciò. Ha associato il “bisogno indotto di voler conoscere le origini” con altri come quello di voler utilizzare internet. Diciamo che ci sono diverse tipologie di bisogni indotti.
Quelli creati ad hoc da qualcuno per trarne un vantaggio economico a discapito di altri e quelli invece che possono portare beneficio sia a chi li creare e a chi “li riceve”. NO? io preferirei quest’ultimo.

In ogni caso m siccome ci tiene tanto ogni volta , come a volte vedo fare certi politici in tv , a ripetere ad oltranza i suoi punti di vista , mi costringe nuovamente ad investire lo stesso tempo per le stesse risposte che le ho già dato più volte e che indicano che , siccome non siamo tutti uguali, abbiamo sensibilità e punti di vista diversi e che entrambi meritano di essere rispettati ed è troppo semplicistico dire “può andare a cercare aziende certificate SA8000”. Nelle opportune sedi saranno “i gruppi con maggiori sostenitori” che dovranno essere ascoltati e rappresentati, ma senza tralasciare coloro che rappresentano “diverse minoranze”. Ci sono associazioni che si preoccupano di tutelare i diritti di tante persone che su certe questioni di etica (purtroppo per diversi motivi) non sono attente o sono ancora poco interessate e lo fanno per lo stesso “mondo” che lei ogni tanto mette in mezzo ma con dei diversi interessi.

1) la piccola azienda che perde posti di lavoro è alla stessa stregua di tante piccole aziende che perdono posti di lavoro quando si “delocalizza” all’estero per acquistare materia prima a costi inferiori : quindi decidiamo quando/quale azienda tutelare con la differenza dei “grandi numeri”. Qui stiamo parlando di colossi che acquistando all’estero “buttano giù” tante piccole aziende locali. Si metta l’anima in pace perché questo tema è fragile
2) la considerazione verso il mappamondo è una opportunità che riguarda ed interessa solo gli azionisti , gli amministratori, e chi sta dietro la logica del profitto e qui ognuno ha la libertà di scegliere da che parte stare.

3) quest’obbligo dell’indicazione se pur generica (solo in alcuni settori) c’è stato e c’è già e non mi sembra abbia
creato particolari disastri. Certo è che qualche grossa azienda ha rivisto le stime di vendita e ha dovuto crea linee di prodotti diverse
4) I controlli per merce che arriva dall’estero ci sono già a campione all’atto dell’importazione della stessa. A posteriori se ne fanno di altri insieme a quelli, ad esempio, che avvengono a livello documentale a campione circa la corretta informazione fiscale , relativa ai processi di produzione , etc. Sicuramente queste nuove indicazioni potranno incidere minimamente e non certo indicheranno “sino al 50%” soprattutto se saranno generiche.
5) A me è ben chiara la differenza tra origine e qualità. Le faccio un esempio. Prediligo il caffè Arabia in assoluto e non mi sembra sia prodotto con chicchi di caffè coltivato in Italia. E’ giusto che le aziende si tutelino da questo punto di vista , sta anche a loro affrontare questa faccenda , non certo , cercando in ogni modo di non affrontare il discorso , evitando in tutti i modi di indicare le origini delle merci.
6) l’indicazione dell’origine è tanto cara ad un numero elevatissimo di consumatori e questi (“pilotati” e non)
chiedono a chi produce , maggiore chiarezza. Aggiungo, soprattutto, a chi utilizza la dicitura “prodotto in Italia” che in italiano ha una forma corretta ma che nella pratica distorce/confonde le idee di un numero elevato di persone che acquistano.
7) la questione dell’indicazione dell’origine viene richiesta da un numero elevatissimo di consumatori e che non riguarda solamente l’idea di voler stabilire a priori la qualità del prodotto. Le ho detto più volte ad esempio di questioni etiche e non.
Conoscere l’origine delle materie prime per poter decidere a priori se una azienda si rifornisce in paesi che rispettano certe tutele o meno spaziando dall’uso indiscriminato o meno di colture OGM (anche sapendo che questo avviene qui nel ns paese. Sarebbe opportuno che chi di dovere imponga anche ai produttori locali che possono usufruire di alcune leggi imperfette , l’obbligo di indicare la presenza o meno di OGM nei loro prodotti)

Il riassunto finale è questo : logica del profitto o logica della sostenibilità?
Io sono per quest’ultima e mi spiace se qualche dividendo dovrà essere rivisto al ribasso.
A questo mi sono riferito ogni volta dicendo chi/cosa/vogliamo tutelare. E non l’ho mai fatto da estremista chiedendo un “obbligo forzato/indiscriminato” per le aziende ma studiare insieme a loro , associazioni di consumatori e associazioni di produttori , un PUNTO DI INCONTRO per tutelare gli interessi di entrambi e che non può essere a mio parere lasciato come suggerisce lei al libero arbitrio/buona volontà di chi produce ma deve essere regolamentato “BENE” e nelle sedi opportune. E qui concordo con alcune indicazioni giustamente suggerite da lei. Far capire al consumatore che l’origine non necessariamente indica qualità. Che sono necessari i controlli. Che sono necessarie delle regole comuni uguali per tutti.

In ogni caso , certi obbiettivi si possono raggiungere utilizzando diverse strategie. Certo alcune richiedono sforzi maggiori, altre, come ad esempio , quelle di acquistare un certificato short sul mercato azionario. Richiede meno fatica, un po di capitali ,ma uno sforzo ridottissimo per guadagnare e/o perdere tantissimo.

“Lo vuole trovare un punto di incontro” ? o ad oltranza in ogni suo intervento è capace di parlare di solo di “lavoratori che perdono il posto” (quando sappiamo bene che il problema è molto più grosso e diverso) e che l’origine non indica la qualità (cosa che è chiara) ?

Alessandro
Alessandro
Reply to  marco
16 Febbraio 2014 23:57

Non serve che lei perda tempo a cercare quel post. Quel post non lo può trovare perchè non esiste. E sa perchè? Se clicca sul link e apre il pdf, potrà leggere la data del documento: 17 dicembre 2013. Come posso avere riportato il 12 dicembre un documento che non era ancora uscito?! Le chiedo per favore di non negare l’evidenza anche in questo caso, come già ha fatto con le gerarchie delle fonti del diritto.
Sui bisogni indotti: dice che ci sono diversi tipi di bisogni indotti? Condivido certo. Noto con piacere che condivide con me che si tratta di bisogno indotto anche l’indicazione dell’origine.
Velocemente sugli altri punti
1) parliamo ANCHE di ciò che dice lei. Ma togliendo l’importazione come lei sostiene sia giusto fare si toglie la possibilità alle aziende (e continuo a doverle ricordare che la maggioranza delle aziende italiane non sono colossi, ma sono piccole e medie)
2) temo che non le sia chiaro il riferimento al mappamondo: si limiti a farmi capire come, nel solo territorio italiano, sia possibile coltivare e allevare tutte le materie prime necessarie per soddisfare sia la domanda interna che l’export
3) ripeto, quei numeri non me li sono inventati io. E ripeto, se quello studio si rivelerà sbagliato sarò solo felice
4) chi ha scritto che i controlli causano un aumento dei costi fino al 50%? La prego di leggere meglio sia il documento che i miei commenti a riguardo
5) allo stesso modo io le rispondo che a me è ben chiaro che “prodotto in italia” non significa che le materie prime siano italiane. Infatti auspicavo, come auspica lei, un sondaggio su social network.
6 e 7) su questo non discuto, naturalmente. È un dato di fatto. E questo sarà il motivo per cui la legge verrà integrata in tal senso. Questo non significa che io non possa dire che secondo me le risorse era meglio investirle in altro modo. Di certo non mi sentirà mai dire che sia una legge imperfetta solo perchè va contro quelli che sono i miei punti di vista.
La mia non è logica del profitto, ma logica di ridistribuzione della ricchezza. Ed è una logica che sta alla base di uno stato sociale, altrochè profitto!. Ma forse non sono in grado di esprimerlo in modo sufficientemente chiaro.