Italia: Paese ricco di materie prime, sinonimo di prodotti di qualità, culla del made in Italy. Ma è davvero così? Secondo il Rapporto 2024 sull’agroalimentare italiano dell’Istituto di Sevizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA), il comparto italiano è caratterizzato da un’agricoltura strutturalmente importatrice che dipende dall’estero per l’approvvigionamento di beni agricoli che l’industria alimentare trasforma in prodotti tipici italiani.
Il made in Italy e i numeri dell’import
I principali prodotti importati necessari per le filiere del made in Italy agroalimentare sono: il caffè non torrefatto (100%), l’olio di palma (100%), i panelli di soia (83,3%), le fave di soia (68%), il frumento di grano tenero (64%), i bovini vivi (57%), il mais (54%), l’olio extravergine d’oliva (48%), il frumento di grano duro (44%), il prosciutto e le spalle di suini freschi (37%).
Secondo l’analisi di ISMEA, sono mais e soia – ingredienti di base dell’alimentazione zootecnica – i prodotti che presentano maggiori problematicità in termini di approvvigionamento. Se pensiamo alla soia, infatti, uno dei fornitori principale a livello mondiale è il Brasile da cui arriva il 50% delle importazioni italiane. Per produrre 1 kg di carne servono però 7 kg di soia, una sproporzione che ha fatto sì che nel Mato Grosso, stato brasiliano a sud dell’Amazzonia, si è passati da monocolture per 3 milioni di ettari nel 2020 a distese di monocolture di 7 milioni di ettari oggi. L’enormità della devastazione ambientale dovuta alle monocolture di soia prende forma se si pensa alla distruzione dei 4.000 km2 di superficie nel Cerrado (situato nell’altopiano del Brasile) considerato la savana con la più alta biodiversità al mondo.
Il caso dell’olio d’oliva
Il 48% dell’olio extravergine d’oliva che si compra nei supermercati italiani è importato in particolare dalla Spagna, una percentuale che salta agli occhi poiché l’Italia è il secondo esportatore mondiale e il primo consumatore. La produzione di olio d’oliva risulta in calo tendenziale ed è soggetta a una crescente variabilità. La Sicilia, per esempio, quest’anno ha visto il suo raccolto dimezzato rispetto alla stagione precedente, a causa della siccità, ma la crisi idrica non è la sola minaccia. In Puglia, infatti, da anni si combatte contro il batterio Xylella fastidiosa, a causa del quale dal 2013 a oggi si stima che circa 21 milioni di olivi siano morti o siano stati abbattuti per non far dilagare la malattia.
Ma ad aver avuto un calo nella propria produzione a causa dello stress idrico è stata anche la Spagna (da 1,7 milioni di tonnellate a circa 600-800 mila) con conseguente aumento di prezzo fuori norma. La disponibilità e il prezzo dell’olio spagnolo incidono anche sul mercato italiano dell’extravergine dato che solo il 39% del prodotto venduto in Italia è totalmente italiano, mentre il resto deriva da miscele di oli extravergini di diversa origine in particolare realizzate con olio italiano e spagnolo.
Alcuni rischi dell’importazione
Abbiamo visto che l’industria alimentare nazionale dipende fortemente dalle importazioni, un dato di fatto che deve tenere conto di fattori geopolitici, climatici e sanitari che riguardano pure le altre nazioni. Il centro studi Divulga ha calcolato che la crisi del Mar Rosso mette a rischio 5,3 miliardi di euro di approvvigionamenti di materie prime agricole che l’Italia fa arrivare dall’Asia e dall’Oceania. Dal Mar Rosso passa il 9% di tutte le materie prime importate dall’Italia: attraverso il Canale di Suez transita il 67% di tutto il riso che arriva nel nostro Paese, il 47% degli oli vegetali, il 45% del pomodoro trasformato e il 35% di tè e caffè.
Un altro aspetto da considerare riguarda eventuali malattie che possono colpire le piante o gli animali, come nel caso del manzo francese. Quello della carne bovina è un altro comparto molto dipendente dall’estero, in particolare dalla Francia che da anni ci fornisce l’85% della nostra domanda di capi da ingrasso. L’approvvigionamento italiano dipende dunque dal patrimonio bovino francese che dal 2018 al 2023 ha però subito una riduzione di 745 mila vacche da carne per effetto di una serie di problemi sanitari, tra cui l’emergenza della Blue tongue. Rispetto all’importazione di bestiame vivo, un’ulteriore criticità potrebbe derivare dalla futura legislazione europea riguardo al trasporto di animali su gomma che imporrà viaggi più brevi e a minor densità di capi con conseguente crescita dei costi.
Il mito del made in Italy
Osservando quali materie prime prendiamo da altri Paesi possiamo dedurre che molti prodotti tipici del made in Italy dipendono dalle importazioni. Facciamo ancora qualche esempio: se si pensa alla tradizione culinaria italiana, viene in mente la pasta, eppure dipendiamo per il 44% dal grano duro estero in particolare nel 2023 i principali fornitori italiani sono stati Canada (29% del valore importato dall’Italia), Russia (15%), Grecia (14%), Turchia (14%) e Kazakistan (9%). Una merce che rappresenta il quarto prodotto delle esportazioni agroalimentari italiane (dato 2023) è il caffè, il cui tasso di approvvigionamento italiano è pari a zero. L’Italia importa l’80% di questo bene da sole cinque nazioni (Brasile, Vietnam. Uganda, India, Indonesia); una volta arrivata all’industria di torrefazione nazionale, la materia prima viene tostata, miscelata, macinata e confezionata e solo infine inserita nel mercato interno ed estero.
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