I prodotti alimentari che l’industria spaccia per surimi, grazie a un packaging attraente e una pubblicità accattivante, sono una brutta copia dell’autentico surimi giapponese. Quest’ultimo, di cui si ha notizia per la prima volta in un documento del dodicesimo secolo, non è che polpa macinata e lavorata artigianalmente di un pesce bianco, il pollock d’Alaska (Gadus chalcogrammus) una specie di merluzzo che vive nell’Oceano Pacifico settentrionale.
L’autentica ricetta del surimi è stata tramandata pressoché immutata per secoli. Poi negli anni ’50 in pieno boom economico è caduta nelle mani dell’industria alimentare. Da allora le qualità nutrizionali e organolettiche sono state compromesse dalla produzione su larga scala e dai bassi costi. Il risultato è che oggi il ‘surimi’ del XXI secolo rientra a pieno titolo nella categoria dei cibi ultra processati. Dei rischi che comporta il consumo eccessivo di tali prodotti (obesità, diabete, malattie cardiovascolari e perfino mentali) se n’è già parlato più volte su Il Fatto Alimentare (leggi qui l’articolo sul rapporto tra ultra processati e invecchiamento precoce).
L’etichetta del surimi industriale
Per comprendere cosa contengono i surimi industriali e valutare le qualità nutrizionali e organolettiche bisogna leggere attentamente l’etichetta. Anche se nessuno dei prodotti in commercio brilla per qualità, alcuni sono da evitare perché sono, per così dire, ‘borderline’. I surimi moderni sono prodotti che imitano, mediante l’impiego di coloranti e aromi, l’aspetto e il gusto di crostacei come gamberi, granchi e perfino aragoste (ne abbiamo parlato già nel 2016 in questo articolo). Basta però leggere attentamente l’etichetta per capire che siamo di fronte a un prodotto farcito di additivi (stabilizzanti, coloranti, esaltatori di sapidità tra cui l’immancabile glutammato), e aromi, il cui utilizzo ha la finalità di dare a chi lo consuma la pia illusione di gustare crostacei freschi.
Gli ingredienti del surimi
L’etichetta del surimi, come del resto quella di tutti i prodotti alimentari industriali, riporta la lista degli ingredienti in ordine decrescente di quantità. Oltre al pesce ci sono: additivi, uova e farina (che però hanno una funzione più tecnologica che nutrizionale) e aromi. La qualità di un surimi aumenta in modo inversamente proporzionale al numero di additivi e aromi presenti.
La materia prima
La materia prima può essere polpa di pesce o surimi. Nel primo caso il pesce, appena pescato, è privato della pelle e delle spine, e la polpa viene tritata fino a ottenere una massa che viene congelata per poi essere trasferita nelle linee di produzione. La polpa di migliore qualità proviene da alcune specie di merluzzo, come il pollock d’Alaska e il merluzzo dell’Atlantico.
Nel secondo caso le industrie utilizzano direttamente surimi, una sorta di pasta ottenuta utilizzando non di rado scarti di pesce miscelati ad additivi e aromi. Comunque in entrambi i casi la quantità di pesce presente nel prodotto finale raramente supera il 50%. Riassumendo, la qualità è migliore quando la materia prima è polpa di pesce, viene indicata la percentuale e precisata la specie da cui proviene. Un titolo di merito è anche il fatto che la pesca sia sostenibile.
Come valutare il surimi dall’etichetta
Diamo ora uno sguardo alle etichette di alcuni surimi in commercio (vedi tabella sotto) e cerchiamo di stabilire quali meritano attenzione. Una prima selezione porta a escludere i prodotti (sei) con un numero di ingredienti superiore a dieci. Fra i rimanenti possiamo escludere anche i bastoncini Athena (marchio di Eurospin), che pur avendo pochi ingredienti, utilizza surimi e non pesce come materia prima. A questo punto appare piuttosto difficile fare una graduatoria di merito per i tre entrati in finale (Fleury Michon, Coraya e Carrefour), avendo caratteristiche quasi identiche e un contenuto di polpa simile (38-40%)
Gran parte del surimi in commercio vanta sull’etichetta un alto contenuto di proteine, quando in realtà tale contenuto è notevolmente inferiore a quello presente in una stessa quantità di filetto di merluzzo
Aspetti nutrizionali
Gran parte dei surimi in commercio riportano in etichetta claim nutrizionali e salutistici. Uno dei più frequenti decanta la ricchezza in proteine. Si tratta di un’affermazione dubbia, 100 grammi di surimi contengono mediamente 9 grammi di proteine, vale a dire meno della metà della quantità presente nella stessa quantità di merluzzo. Anche il claim della ricchezza del surimi in omega-3 che circola in rete non ha fondamento sia perché il pesce che si usa abitualmente è povero di omega-3 sia perchè quel poco che c’è viene in gran parte distrutto dai trattamenti di trasformazione industriale. Ma c’è di più, una porzione di merluzzo fresco (150 g) contiene meno di mezzo grammo di sale, mentre una porzione dello stesso peso di surimi può arrivare a contenerne oltre 4 grammi. E questo non è certo un aspetto positivo.
In conclusione
Se pensate a un piatto a base di pesce, il consiglio è di lasciare stare il surimi, e preferire il merluzzo, non importa se fresco o surgelato. Una porzione di merluzzo fresco copre circa il 52% del fabbisogno proteico giornaliero, apportando una quantità irrisoria di sale. Viceversa la stessa porzione di surimi copre appena il 23% di tale fabbisogno, mentre apporta una quantità di sale che si avvicina al livello di assunzione quotidiana che l’OMS raccomanda di non superare (5 mg). E poiché come dice un antico detto napoletano “il risparmio non è (quasi) mai un guadagno” preferite il merluzzo e non il surimi anche se una porzione del primo vi costa approssimativamente 3 euro e la stessa porzione del secondo può costarne meno di 2. Ne guadagnerete in gusto e salute.
Matteo Giannattasio (medico e agronomo, già docente del corso Qualità degli alimenti e salute del consumatore all’Università di Padova)
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