“La pasta è cruda, eppure gli spaghetti sono rimasti in pentola 9 minuti come indicato sulla confezione”. Questa frase si sente spesso in famiglia quando si pranza o si cena e di solito genera uno scambio vivace di pareri con strane teorie e giustificazioni da parte del cuoco di turno.
Il problema dei tempi di cottura “imprecisi” riguarda numerose marche che riportano sull’etichetta informazioni non proprio corrette. Una volta la qualità degli spaghetti veniva valutata attraverso la tenuta in cottura e la prova non lasciava spazio a dubbi. Oggi le cose sono cambiate perché tutte le paste superano la prova, tanto che alcune resistono bene anche se restano 2-3 minuti in più sul fuoco. Come mai?
I motivi alla base del fenomeno derivano dalla variazioni del sistema di essiccazione della pasta che oggi viene fatto ad alte temperature. Questa nuova procedura è iniziata negli anni ’70, quando una grossa azienda italiana decide di aumentare il calore nei tunnel di essiccazione fino a 80-85°C. In questo modo la pasta forma uno strato esterno “protettivo” che resiste meglio e mantiene bene la cottura, anche utilizzando un grano di qualità inferiore. L’altro vantaggio è che in questo modo si riducono notevolmente i tempi di lavorazione, incrementando la produzione. Scoperto il trucco, molti pastifici si sono accodati e anche le temperature sono lievitate, tanto che oggi numerosi aziende di marche low cost, ma anche grandi firme, lavorano a temperature che in passato non si potevano immaginare (superiori ai 100°C).
L’altro aspetto da considerare è che oggi si utilizza materia prima con maggiore quantità di proteine, che favorisce la tenuta alla cottura. La maggior parte dei pastifici miscela grano duro nazionale con quello importato (la provenienza della farina è visibile in etichetta da luglio del 2017), perché la produzione italiana è largamente insufficiente per coprire il fabbisogno dell’industria della pasta. Il grano coltivato in Francia, Canada, Stati Uniti e Australia è più tenace e ricco di proteine e questo permette di ottenere una pasta che tiene meglio la cottura.
Il risultato è che adesso le indicazioni sui minuti di cottura non sono precise. Solo poche aziende hanno deciso di fornire due valori: il primo riguarda i minuti per ottenere spaghetti al dente mentre il secondo si riferisce a una cottura standard. Nella maggior parte dei casi, però, il tempo è uno solo e spesso la pasta non risulta cotta al punto giusto e rimane l’animella cruda all’interno. L’altro fattore che disturba è l’abitudine di riportare questa informazione in un angolo della confezione con caratteri tipografici tanto piccoli da dover inforcare gli occhiali per leggere.
Qualcuno giustifica il tempo di cottura “ristretto” sulla confezione considerando l’abitudine di spadellare la pasta in padella per qualche minuto con un sugo, dopo averla scolata. Si tratta di un’operazione che di fatto si può considerare come un prolungamento della cottura. La soluzione potrebbe essere di riportare in etichetta (lo spazio c’è) tre tempi di cottura: al dente, standard e per la pasta da spadellare.
Per verificare la cottura degli spaghetti esiste un metodo semplice ma sconosciuto ai più. Basta prelevare un filo di pasta dalla pentola, inserirlo tra due vetrini trasparenti e schiacciare. Se nella parte centrale si vede una riga bianca, l’animella appunto, la pasta non è ancora ben cotta. Il punto ideale per portarli in tavola si raggiunge quando la linea centrale tende a scomparire (vedi foto). Facendo il test è facile scoprire che i minuti di cottura indicati sulla confezione sono spesso “imprecisi”. Chi non dispone dei vetrini può fare una prova più semplice: basta tagliare con un coltello lo spaghetto e verificare a occhio a che punto è la cottura. Il parametro è così importante che alcuni pastifici lo misurano su ogni lotto.
Il problema è stato evidenziato anche da alcune trasmissioni, come il programma Patti chiari della tv Svizzera italiana, che ha segnalato il problema dei tempi indicati in etichetta troppo ristretti rispetto alla buona cottura della pasta. Chissà se i pastifici seguiranno il suggerimento. Nel frattempo raccontateci la vostra storia in cucina.
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[sostieni]
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Io in genere acquisto pasta che ha già tempi di cottura piuttosto lunghi – 11/14 minuti a seconda dei formati-come Rummo, Garofalo o Grano Armando.e ho imparato che devo tenerla qualche minuto in più, anche se mi piace mangiarla piuttosto al dente. il vantaggio è che se si pensa di spadellarla posso cuocerla qualche minuto prima e ripassarla quando arrivano gli ospiti,senza pericolo che scuocia ( molto comodo per chi ha amici ritardatari..)
Pronti la racconto subito. Acquisto 3 o 4 marche diverse di pasta: De Cecco Garofalo, Molisana e Voiello. Molto meno spesso altre 2 marche poco note.
L’unica che da risultati precisi ed eccellenti è De Cecco sia di minutaggio che di tenuta (gli unici a inserire 2 valori in etichetta). le altre danno risultati medio buoni. E’ anche l’unica che garantisce e comunica ( anche nello spot) la lenta e lunga essicazione.
Va anche detto che la gente non sa più mangiare la pasta al dente e non sa cosa voglia dire al dente. Salvo qualche formato di pasta un po’ particolare, per i 4 marchi citati è sufficiente togliere la pasta 2 minuti prima del tempo indicato in confezione e saltare la pasta nel sugo per il tempo necessario ad ultimare la cottura, aggiungendo chiaramente acqua di cottura alla bisogna.
La foto mi mette di dubbi….qullo di sinistra è indietro di cotture, ma è largo il doppio di quello di destra che sembra essere cotto al punto giusto. Come mai?
Sono arrivato anche a 20min. di cottura senza scuocere la pasta.
Personalmente preferisco la pasta cotta e non cruda al centro, che richiede una masticazione eccessiva che tendenzialmente pochi fanno, ingoiando spezzoni poco masticati ed insalivati.
E’ verissimo che ogni formato di pasta e di marchio diverso ha i suoi tempi specifici, ma quelli indicati nelle etichette sono generalmente insufficienti per cuocere completamente al cuore, eliminando la percezione del nocciolo crudo.
Mentre la pasta semicruda ed anche quella essiccata a bassa temperatura hanno un indice glicemico leggermente più basso rispetto a quella stracotta, o precotta con l’essiccamento ad alta temperatura che ingiallisce il prodotto.
Per esperienza diretta: in Francia alcune marche locali sugli spaghetti riportano i tempi per cotture “al dente” e “cremeux”. Il grado di cottura tende ad essere un abito culturale, geografico e spesso anagrafico con i praticanti della pasta al dente e spadellata tendenzialmente al sud e/o tra i giovani mentre salendo di latitudine e/o di età si gradisce sempre più la “colla”, fino a livelli che i puristi “diggiù” giudicano scandalosi.
Forse per questo il problema dei tempi insufficienti è stato sollevato in Svizzera.
Mah, io semplicemente la assaggio prima di scolarla….
Ecco, volevo ben dire. Ci mancherebbe fare esperimenti di laboratorio in cucina!
Io di solito faccio un solo assaggio, dal risultato calcolo quanto tempo occorre ancora e via.
Ecco appunto, anch’io, senza andar a caccia di vetrini…
E l’intestino, che dice?
Da tempo evito di acquistare paste lavorate industrialmente perché mi provocano forti infiammazioni intestinali. Problema che ho risolto con l’assunzione di pasta a lenta essicazione.
Certe scelte produttive dovrebbero avere l’approvazione del Ministero della Sanità.
Perfettamente d’accordo con Marina. L’unica pasta che non mi fa male ormai è la biologica / grani antichi a lunga essicazione. Siccome sembra che il problema si stia allargando a macchia d’olio, credo sia venuto il momento di rivedere alcuni parametri. Tra l’altro, mi chiedo, le aziende non cominciano a notare i cali di vendita?
La scelta di proteggere la salute diventerebbe a lungo termine anche più remunerativa… se le cose fossero fatte con buon senso e rispetto per l’uomo e la natura.
La pasta non biologica non fa male e soprattutto non esiste alcun rapporto tra tipo di pasta bio o tradizionale e le indicazioni sul tempo di cottura in etichetta
Anche io per verificare la cottura al cuore addento la pasta. Per quanto riguarda la pasta Rummo, ho smesso di comprarla da quando è passata dalla confezione di plastica a quella attuale in materiale composito non riciclabile; ho scritto al loro sevizio consumatori per conoscere il motivo di questa scelta senza ottenere risposta. Rana ha fatto la stessa scelta anti-ecologica per motivi esclusivamente estetici. Consapevole del problema, inizialmente aveva promesso una rapida soluzione, ma ad oggi ed a distanza di anni, non ha ancora provveduto.
Io uso la pasta Rummo integrale che è buonissima e i 7 minuti indicati sulla confezione sono perfetti.
Bella seccatura, da ragazzo tenevo il cronometro vicino ai fornelli e nei pochi minuti di cottura scaldavo il sugo e preparavo lo scolapasta, adesso, cambiando spesso formato e marche, devo stare in piedi accanto alla pentola anche 20 minuti, assaggiandola spesso, per ottenerla cotta ma soda, senza animella dura e croccante, se ho fretta uso solo capellini, che francamente non sono adatti a tutti i sughi.
Io calcolo il tempo da quando l’acqua riprende a bollire e poi, trascorso il tempo indicato, l’assaggio.
Il tempo di cottura della pasta è assolutamente soggettivo. Il tempo di cottura riportato sulla confezione deve essere considerato semplicemente una indicazione di massima dei minuti di cottura. La pasta deve essere sempre assaggiata prima di scolarla. Inoltre, il tempo di cottura varia al variare della durezza dell’acqua, dalla quantità di sale utilizzata, dal fatto che l’acqua venga addizionata del sale prima che l’acqua giunga a bollitura, dopo o durante e anche dall’altitudine del posto in cui viene cotta la pasta.
Alla luce di tutte queste considerazioni il tempo di cottura deve essere quindi una semplice indicazione.
Buona giornata,
Patrizia Cristallo
La componente della durezza dell’acqua ha un’influenza relativa sulla definizione dei tempi di cottura. Servono indicazioni più precise in etichetta
@RobertoLaPira “La pasta non biologica non fa male e soprattutto non esiste alcun rapporto tra tipo di pasta bio o tradizionale e le indicazioni sul tempo di cottura in etichetta”
Asserire con sicurezza che la pasta industriale non biologica non faccia male denota una mancanza di accuratezza e un non voler vedere l’evidenza dei fatti. Che il cibo prodotto da coltivazioni che non fanno uso di antiparassitari, anticrittogamici, fitofarmaci e sostanze chimiche di sintesi sulla cui confezione appare la scritta “Attenzione pericoloso per gli organismi acquatici” sia più salutare e aiuti a diminuire drasticamente la comparsa di tumori e altre malattie autoimmuni è ormai confermato da centinaia di studi. Voler a tutti i costi sostenere il contrario per far felici le solite multinazionali che non prendono in considerazione la salute di chi acquisterà poi i loro prodotti, lo trovo davvero poco professionale e poco onesto.
@Emy Acquistare pasta integrale non bio (così come qualsiasi altro prodotto da forno integrale le cui farine non siano biologiche) vuol dire avvelenarsi due volte, perché contiene il chicco intero e dunque anche la parte esterna del grano, quella più esposta a pesticidi. Non ha proprio senso.
Il Fatto Alimentare da sempre è favorevole alla diffusione dei prodotti biologici. Questo però non vuol dire che chi sceglie alimenti tradizionali si avvelena e chi mangia integrale non bio si avvelena due volte. La normativa prevede limiti ben precisi che nella stragrande maggioranza dei casi sono rispettati. Esiste il problema della presenza di tanti antiparassitari in concentrazione minima nello stesso prodotto il cosiddetto effetto cocktail che andrebbe in qualche modo risolto.
Infatti, un piatto di pasta va condito con pomodoro o sughi, olio, formaggio… a fine pasto qual è la quantità di pesticidi, antibiotici, ormoni ecc ecc ingurgitati? Sappiamo che le normative vengono spesso redatte in compagnia di uno o più rappresentanti delle lobby e i livelli di legge purtroppo sono sempre comunque troppo elevati e non favoriscono certo la salute umana. Il giochino di alzare l’asticella a favore dei produttori di cibo industriale è nota a tutti. Dire che il futuro dell’agricoltura, e di conseguenza dell’alimentazione umana, non debba necessariamente passare dal biologico per migliorare la salute del territorio e del nostro organismo ha poco senso. Le istituzioni dovrebbero promuovere e obbligare ad una progressiva conversione al biologico, per iniziare, e poi gradualmente a sistemi di agricoltura ancora più naturali e rispettosi di uomo e ambiente.
esatto, ed è proprio il problema dell’effetto cocktail non risolto, in primis, a destare preoccupazione in coloro che sono avvertiti ed interessati al tema, ma non solo, perché sono convinto che tutte le conoscenze necessarie non siano state raggiunte o diffuse abbastanza per saper distinguere cosa è bene o male riguardo ad ogni singolo pesticida chimico usato in agricoltura. le normative sono troppo spesso il risultato di una mediazione tra convenienze di parte e non il primario tornaconto per la salute di tutti.
Ma il grano duro rimane la coltura agraria che necessita di meno trattamenti proprio per la sua rusticità e per la scarsa convenienza ad usarli vista la bassa remunerazione. Informarsi prima di dar per scontati luoghi comuni e bufale allarmistiche.
Scusate se intervengo, ma lavorando nel settore è un argomento che mi sta molto a cuore.
Credo che forse stiamo esagerando un pochettino…(mi riferisco all’indicazione della cottura al dente, cotta, scotta, da spadellare).
Ok gli ingredienti (da mille anni), gli allergeni (dal 2011), la provenienza delle farine (dall’estate scorsa), ma stiamo perdendo di vista altri punti importanti:
1. il punto essenziale. La cottura è estremamente soggettiva (in famiglia spesso, per qualcuno è cruda e per altri è scotta).
2. ogni volta che esce una nuova legge, un nuovo “qualcosa” in più da indicare in etichetta, le aziende devono cambiare gli imballaggi (spesso non si tratta di un etichetta apposta al prodotto, ma di interi km di film prestampati). Cambiare un imballaggio ha dei costi non proprio irrisori per le aziende.
Credo che in questo caso ci si dovrebbe affidare al buon senso, prima che tra un po’ ci troveremo ad indicare in etichetta “masticare prima di deglutire” (scherzi a parte, trovati nei libretti di tv e robot da cucina, frasi intelligenti come “collegare alla corrente prima di utilizzare”)…
E poi…dai! Siamo italiani! Vogliamo assaggiarla questa pasta prima di scolarla!?!?
🙂
Buona giornata a tutti
Mimì
Buon giorno,
gradirei qualche informazione sulla qualità nutrizionale delle diverse modalità di essicazione, a bassa e ad alta temperatura
Mille grazie!
Abbiamo pubblicato diversi articoli sull’essiccazione del pasta che trova sul sito
La mia esperienza di assaggiatrice come figlia di commercianti alimentari all’ingrosso, credo che il tempo di cottura bisognerebbe conteggiarlo dopo la prima bollitura della pasta versata per la cottura. Non so, ma una volta i grossisti, prima degli acquisti in grande quantità, provavano in famiglia tutti i prodotti.Grazie sempre per le notizie.
Imma
L’articolo ha affrontato un aspetto pratico ed importante del tempo di cottura; sono rimasto però sorpreso che non sia stato sottolineato il fenomeno della glicazione quando la essicazione della pasta è fatta ad alta temperatura. Questo argomento, così importante per la salute, è già stato affrontato da Il fatto alimentare in passato e pensavo che venisse ripreso ed approfondito in questa occasione. Trovo in commercio paste di cui vengono decantati i frumenti di origine, ma poi vengono essicate a temperature sopra i 100 gradi!
L’alta temperatura corregge e appiattisce la scarsa qualità della materia prima, come certi grani antico-vintage superati dalla Storia e dall’evoluzione ma paradossalmente tanto di moda. Grani moderni con equilibrato profilo proteico e con buon glutine permettono invece di ottenere ottime paste anche con essiccazioni a bassa temperatura.
…E comunque il tempo di cottura dipende anche dall’altitudine della località in cui viene cotta.
Certo ma non è questo il focus del problema
La pasta cuoce infatti già a 80° e la temperatura di ebollizione è in genere 100° ma in pianura. In alta montagna bolle a qualche grado in meno. Spegnendo pochi minuti prima la pasta continua a cuocere benissimo (da 100 per raffreddarsi a 80 l’acqua impiega infatti quei minuti in cui la pasta continua a cuocere).