Il pane prodotto con grani antichi è veramente più buono e più salubre di quello prodotto con grani moderni? E da cosa dipendono le caratteristiche fisiche, chimiche ed organolettiche del pane? Quali fattori influenzano la nostra percezione di consumatori? Per dare una risposta, un team di ricercatori del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) ha studiato l’interazione tra quattro importanti fattori della panificazione (genotipo di frumento, tecnica di macinazione, agente lievitante e tipo di cottura) e le proprietà chimiche, fisiche e organolettiche del pane, precisandone il ruolo nel determinare sapore ed odore. Alla conclusione dello studio, pubblicato dalla rivista Scientific Reports di Nature, la convinzione che il pane di grani antichi abbia un sapore o un odore migliore, rispetto a quello di grani moderni, appare destituita di fondamento.
Infatti, contrariamente a quanto comunemente si pensa, il genotipo grano antico o grano moderno risulta importante solo nel determinare l’aspetto e la consistenza della crosta e della mollica. L’effetto principale sull’alveolatura e sull’odore viene dall’agente lievitante (lievito di birra o pasta madre), mentre la cottura (forno a legna o a gas) ha un ruolo marginale. Sono quindi le tecniche di lavorazione della granella e degli impasti a rendere di fatto il pane veramente profumato e gustoso.
I ricercatori del Crea hanno utilizzato due varietà di grano duro: una antica con taglia alta e bassissimo indice di glutine e l’altra moderna con taglia bassa e alto indice di glutine. La granella ottenuta è stata quindi macinata con due diverse tecniche, lievitata con due diversi agenti e infine è stata cotta in due diversi tipi di forno, fino ad ottenere 16 tipologie differenti di pani, di cui sono stati analizzatigli odori, il contenuto proteico, l’indice di glutine, le ceneri, le fibre solubili e insolubili, il colore, il sapore, la consistenza della mollica, l’alveolatura, insieme ad una valutazione sensoriale dei pani.
Secondo il Crea, lo studio potrebbe avere ricadute dirette per l’industria di trasformazione (panifici, pastifici, industria dei dolci) consentendo lo sviluppo di nuovi prodotti con caratteristiche sensoriali ben precise ma soprattutto offre al consumatore uno strumento per operare delle scelte più consapevoli e, magari anche economicamente più convenienti, sottraendosi all’influenza di mode alimentari spesso dettate da disinformazione.
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Non condivido le considerazioni con cui è condito questo articolo. Il ricorso crescente ai grani antichi da parte dei consumatori non è frutto di disinformazione, né nasce solo dalla ricerca di sapori e profumi migliori, ma da un discorso di salubrità. I grani antichi hanno caratteristiche più adatte alle diverse aree dove vengono coltivati e per questo sono meno soggetti a muffe (e quindi micotossine o agenti chimici disseccanti). Lo studio del Crea si concentra invece solo su aspetti legati al gusto, ma ciò non toglie che i grani antichi possano essere più sani e ambientalmente sostenibili delle due-tre varietà moderne.
Si ma lo devi prendere bio perche’ quelli non sono tutti carichi di glifosato..
https://www.lucianopignataro.it/a/parla-impasti-affermazioni-non-comprovate-scientificamente/140060/amp/
Se non si condivide un articolo frutto di un lavoro sperimentale lo si confuta con altri studi altrettanto seri. Parli di maggiore salubrità? Allora porti un lavoro serio che ti dia ragione. Il fatto che i grani antichi siano meno soggetti a muffe è un’affermazione destituita di fondamento perchè indimostrata anzi è dimostrato il contrario. Un frumento allettato ed un grano antico alletta molto di più ha cariassidi più ammuffite e con componenti del chicco modificati, si pensi solo alla pregerminazione. Se a seguito del mio intervento non completi il tuo dire con citazione di lavori sperimentali seri, ripeto seri e scientifici il tuo intervento ha la stessa validità di quando si dice: “ma l’hanno detto al bar”.
Trovo davvero sconfortanti i troppi commenti in cui ai fatti scientifici si risponde con le sensazioni di pancia. Speravo che almeno i lettori di una testata rigorosa come questa fossero meno superficiali, ma a quanto pare è una pia illusione…
Scusi Lorenzo, se abbiamo compreso che lo studio super scientifico del Crea riguarda le caratteristiche organolettiche di alcune farine diverse, cioè il loro sapore/gusto, odore, colore e via di seguito tutte caratteristiche sensoriali, come fa a sconfortarsi se i commenti sono sensoriali e di pancia come lei li definisce?
Dovremmo acquistare il pane solo perché scientificamente derivato da farine moderne, anche se il giorno successivo all’acquisto è già immangiabile e da buttare?
Ed anche rifiutare le nostre tradizionali abitudini di odori e sapori “antichi” legati alla nostra infanzia, solo perché i nostri panificatori artigianali nostalgici non sono scienziati e ci propongono il pane dei nostri nonni?
A questo suo sconforto, propongo in alternativa il mio verso questo studio scientifico superficiale, inutile per il consumatore, soprattutto perché non affronta la realtà dello scadimento qualitativo delle produzioni industrializzate del primario alimento mediterraneo.
“Sono quindi le tecniche di lavorazione della granella e degli impasti a rendere di fatto il pane veramente profumato e gustoso”
SIC ET SIMPLICITER
Tutto e il contrario di tutto, ma…sia da varietà antica-vintage che moderna. Nessuno ha detto “moderno” è meglio. Uguali. O è comunque un’offesa al luogo comune ormai acquisito?
Tutto il resto le solite elucubrazioni di parte.
Le elucubrazioni sono di chi finge di non aver compreso che le critiche sono per aspetti meno superficiali delle sole qualità organolettiche, più o meno uguali nel confronto dello studio super scientifico del Crea, ma coinvolgono altri parametri che non interessano, a chi stando da una sola parte, non contempla tutti gli altri attributi che indirizzano i consumatori e per nostra fortuna anche molti produttori attenti alle esigenze dei loro clienti consumatori.
E non vale solo per il pane, ma anche per la pasta, i latticini, i salumi e via producendo dalla filiera agroalimentare italiana d’eccellenza.
Gli “altri attributi”, le altre caratteristiche qualitative, agronomiche, igienico-sanitarie, tecnologiche, merceologiche e tanto altro sono state valutate e dibattute in maniera più o meno approfondita da un’ampia letteratura scientifica internazionale e nazionale, di cui CREA è non secondario protagonista.
Basta cercarsele e studiarle, sono pubbliche e gratuite e una pur piccola parte l’ho messa in link in precedente commento. Dopo attenta e umile lettura probabilmente si avrebbero idee più chiare e ridotta propensione alle semplificazioni della Google University
Come curiosità aggiungo che:
– Strampelli ha selezionato il panaceico Cappelli da una popolazione tunisina lavorando proprio in quell’Istituto di Foggia che oggi ne continua la missione scientifica che tanto scandalizza i probi cittadini che “pagano le tasse” (al bar)
-Strampelli però lavorò soprattutto sul miglioramento genetico del grano tenero attraverso incroci con materiale proveniente da ogni parte del mondo.
Uno dei primi suoi grandi successi fu il tenero Ardito, ottenuto incrociando Rieti Originario, resistente alla ruggine nera, con il Wilhelmina Tarwe, varietà olandese ad alta produttività (incrocio tra una varietà locale olandese e una inglese), e reincrociando il risultato con l’Akakomugi, frumento giapponese caratterizzato da taglia bassa (gene Rht8) e maturazione precoce (gene Pdp-D1, insensibilità al fotoperiodo). Con il risultato straordinario (che oggi sarebbe SCANDALO !) che maturava 15-20 giorni prima del Rieti; era alto 80-100 cm (HI più elevato); resisteva al freddo e alla ruggine; era molto produttivo
Fu grazie ai grani di Strampelli che la produzione italiana di frumento passò dai 44 milioni di quintali prodotti nel 1922 agli 80 milioni di quintali del 1933 (“battaglia del grano”), che è la stessa quantità prodotta oggi in Italia su una superficie che però è meno di un terzo.
E i nostri NONNI il pane lo facevano con quei grani moderni, modernissimi…
Grande sfoggio di scientificismo funzionale all’autoaffermazione dell’ente, meno o per niente utile al consumatore, che ha altre priorità ed interessi, come osserva giustamente Francesco.
Infatti chi consuma cerali trasformati in pane pasta ed altri prodotti da forno, oggi chiede informazioni maggiori sull’origine dei grani usati, la salubrità fino alla certificazione bio, la completezza e l’integrità delle farine impiegate, la digeribilità e l’assimilazione di quello che mangia.
L’aspetto organolettico è molto personale e comunque dipende in gran parte dalle abitudini familiari dei luoghi d’origine.
Lo studio del Crea è un approfondimento tecnologico che solitamente riguarda ed interessa i grandi produttori di alimenti trasformati per la Grande Distribuzione, con linee guida per la messa a punto di caratteristiche organolettiche maggiormente accettabili dalla grande massa dei consumatori.
Per questo scopo le conclusioni di confronto tra grani antichi e moderni, a mio parere, non hanno significato funzionale in base alle risultanze delle analisi eseguite, perché la scelta del consumatore si basa su altri principi e valori, piuttosto che la semplicistica e banale differenza di sfumature del gusto finale.
Il contenuto di glutine nelle farine che si trovano oggigiorno nei supermercati è nettamente superiore a quello che la natura avrebbe previsto ed è dovuto esclusivamente all’intervento dell’uomo su grani e farine. Questo proprio al fine di garantire una maggior lievitazione e quindi prodotti più morbidi, leggeri ed appetibili. Purtroppo questo non ha nulla a che fare con la salubrità del prodotto. Lo studio del Crea dovrebbe sottolineare questo aspetto.
Il Signor Francesco fa riferimento alla impostazione bello Studio Crea che da come parametri di rilevamento le caratteristiche organolettiche dell’alimento. Tale studio non entra dunque minimamente nel merito delle reali caratteristiche strutturali di Ttale cibo come NUTRIZIONE. In base a tali parametri tutto è molto relativo alla Psicologia della Percezione e complementari utili al marketing alimentare, eventualmente supportata dai dati biochimici rilevati. Emozioni, Sensazioni, Memoria, Apprendimenti, sono dunque gli ingredienti che orientano nella valutazione delle proprietà organolettiche . Vi ricordate delle Madeleines di Proust, sicuramente…È il “migliore” rispetto a che, che qui è equivocato. Lo studio NON tratta in alcun modo del valore NUTRIZIONALE di tali cibi e l’articolo ha un titolo con evidenza in equivoco rispetto ai contenuti dello Studio stesso, che davvero è un sondaggio rigoroso, non uno Studio scientifico rigoroso se non eventualmente in ambito psicologico, per le più duverse finalità, NON NUTRIZIONALE. Un caro saluto grazie a Tutti per le preziose partecipazioni. Aiutano a ragionare e cogliere aspetti diversi. Monica Lanzillotta
P.S. un aiuto molto serio dal Sig. Fabricius Caiofabricius che cita studi che dimostrano che la esponenziale impennata di celiachia a 40/590/60 anni di questo ultimo anni non è dovuta alla selezione di grani per industria a super implementi glutine quali sono.. Grazie mille
Ringrazio il bel gruppo di ricercatori del CREA di Foggia per le pregevoli indagini sui cereali che seguono altre già pubblicate su riviste internazionali referate di notevole interesse su temi di attualità con metodi scientifici e imprescindibile accurata valutazione statistica.
E’ vero sono fuori moda e non seguono sotto dettatura quello che vorrebbe sentirsi dire chi già possiede la post-verità preconcetta indorata di slogan orecchiabili. Ma chissà, può darsi che quel che sembra ormai desueto, il rigoroso metodo scientifico, possa comunque sopravvivere all’ondata di neofideismo aggressivo e avido di potere che, senza il benchè minimo riscontro sperimentale, pretende di fare affermazioni dogmatiche prive di qualsiasi riscontro reale e razionale, scalpitando per condizionare scelte e politiche pubbliche che potrebbero presto (5 marzo p.v. ?) immiserire il Paese.
Nessuna nuova o vecchia varietà di grano duro per quanto vintage ha evidenziato fino ad oggi di possedere geni di resistenza alle fusariosi e quindi alla eventuale successiva contaminazione da micotossine deossinivalenolo (DON).
Tanto meno le poche vere popolazioni antiche di grani duri sopravvissute in Sicilia (Russello, Timilia) o Lucania (Saragolle) dove certo non si è avuta nei secoli la necessaria pressione ambientale per indurre mutazioni utili alla resistenza genetica ai Fusarium, dato che la patologia fungina è stata sempre scarsamente presente in questi ambienti semiaridi e sicuramente di scarsa importanza competitiva nella selezione naturale.
Come ben dimostrato da pluriennali ricerche internazionali e italiane in diversi ambienti pedoclimatici con diversi metodi di coltivazione, scelte agrotecniche e tante diverse varietà vecchie e nuove, lo sviluppo e la contaminazione da micotossine dipende in gran parte dalle condizioni climatiche delle località di coltivazione (ecco spiegata la maggior frequenza nei grani duri “portati” al nord del tradizionale areale di coltivazione) e in particolare dalla combinazione piogge /temperature/umidità relativa nel periodo fenologico della spigatura-inizio maturazione lattea. Molto importante poi lo specifico andamento stagionale dell’annata (e recentemente con qualche rischio anche al Sud-Isole) e parimenti il metodo di coltivazione e soprattutto la natura e la quantità dei residui della coltura precedente (non a caso meglio in bio e in rotazione con leguminose) e il loro efficace interramento . Scarso seppur a volte significativo è invece il contributo delle varietà, anche quelle tanto di moda solo perché rese appetibili col falso appellativo di “antiche”…di 50 anni!.(*).
Ottimo il contributo della recente ricerca a smontare la fake-news che la celiachia sia in aumento a causa della diversa composizione del glutine nelle varietà moderne.
Nessuno infine usa il gliphosate in Italia sul grano vecchio e nuovo, convenzionale o bio, semplicemente perché NON SERVE, oltre ad essere del tutto inutile sulle “muffe” essendo un disseccante completo.
Questo dicono i dati sperimentali, il resto sono congetture e desiderata, ma le opinioni seppur legittime non contano nulla nella ricerca della verità scientifico-sperimentale.
RIPORTO SOLO I PIU’ IMPORTANTI E/O SVOLTI IN ITALIA
Amoriello et al. 2017 Behaviour of durum wheat cultivars towards deoxynivalenol content: a multi-year assay in Italy
http://agronomy.it/index.php/agro/article/view/817
Quaranta et al. 2010 Grain yield, quality and deoxynivalenol (DON) contamination of durum wheat (Triticum durum Desf.): results of national networks in organic and conventional cropping systems
http://www.agronomy.it/index.php/agro/article/view/243
Aureli, G. et al. 2015 – Preliminary survey on the co-occurrence of DON and T2+HT2 Toxins in Durum Wheat in Italy. Cereal Research Comunication, 43(3), 481-491.
http://akademiai.com/doi/abs/10.1556/0806.43.2015.010
M. Camerini et al. 2015 – Deoxynivalenol Content in Italian Organic Durum Wheat: Results of a Six-year Survey
http://akademiai.com/doi/abs/10.1556/0806.43.2015.036
BENTIVENGA, et al. 2016 – Agronomic evaluation of Fusarium Head Blight (FHB) resistance in Italian durum wheat cultivars and screening of advanced line MAS selected for FHB resistance. Plant varieties studying and protection, 32, n. 3: 30-41.
http://journal.sops.gov.ua/article/view/75978
[De Santis, M. A., Giuliani, M. M., Giuzio, L., De Vita, P., Lovegrove, A., Shewry, P. R., & Flagella, Z. (2017). Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy. European Journal of Agronomy, 87, 19-29.]
[Ribeiro, M., Rodriguez-Quijano, M., Nunes, F. M., Carrillo, J. M., Branlard, G., & Igrejas, G. (2016). New insights into wheat toxicity: breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease’s immunostimulatory epitopes. Food Chemistry, 213, 8-18.]
[Prandi, B., Tedeschi, T., Folloni, S., Galaverna, G., & Sforza, S. (2017). Peptides from gluten digestion: A comparison between old and modern wheat varieties. Food Research International, 91, 92-102.]
http://science.sciencemag.org/content/356/6333/44.abstract
Reovirus infection triggers inflammatory responses to dietary antigens and development of celiac disease
R Bouziat, R Hinterleitner, JJ Brown… – …, 2017 – science.sciencemag.org
http://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2547202
(Time Trends in the Prevalence of Celiac Disease and Gluten-Free Diet in the US Population: Results From the National Health and Nutrition Examination Surveys 2009-2014
JAMA Internal Medicine Published online September 6, 2016)
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0016508513007026
No effects of gluten in patients with self-reported non-celiac gluten sensitivity after dietary reduction of fermentable, poorly absorbed, short-chain carbohydrates
JR Biesiekierski, SL Peters, ED Newnham, O Rosella… – Gastroenterology, 2013 – Elsevier
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1542356515001536
Small amounts of gluten in subjects with suspected nonceliac gluten sensitivity: a randomized, double-blind, placebo-controlled, cross-over trial
A Di Sabatino, U Volta, C Salvatore, P Biancheri… – Clinical …, 2015 – Elsevier (univ Pavia, Gastroenterologia)
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/apt.13372/full
Randomised clinical study: gluten challenge induces symptom recurrence in only a minority of patients who meet clinical criteria for non‐coeliac gluten …
B Zanini, R Baschè, A Ferraresi, C Ricci… – Alimentary …, 2015 – Wiley Online Library
*“Antico” è qualcosa ante 1950??
Accaduto o attuato in un’età remota (per lo più oggetto di sottinteso apprezzamento), e per questo qualitativamente dissimile rispetto alla corrispondente realtà moderna o contemporanea
agg.
1 Di epoca remota (per l’Occidente, convenzionalmente, ca. dal 2000 a.C. al 476 d.C.): storia, età a.; gli a. popoli, Romani, Greci mmmmm SIAMO UN PO’ LONTANUCCI
2 Di un passato lontano inteso genericamente
del lontano passato, risalente a tempi remoti: leggi, scritture antiche |storia, età, arte antica, per consuetudine, dalle origini della civiltà greca e romana fino alla caduta dell’impero romano d’Occidente
Di età passata da gran tempo;
Antico vs Vecchio – E’ degno che qui si riporti tutto il bell’articolo del Grassi.
«Queste due voci ritengono ancora nell’italiano quella stessa differenza che le partiva nella lingua loro originale, perchè i Latini adoperavano antiquus in stile nobile e vetulus (1) in istil familiare: antiquus era sempre presso di essi in senso di rispetto, e vetulus veniva per lo più usato a disprezzo. Venendo ai particolari, antico è propriamente ciò che è passato da più secoli; vecchio è pur ciò che è passato, ma in tempi più vicini a noi; con questo vocabolo si determina la età; con quello si cessa dal misurarla; antico si oppone a Moderno; vecchio a Giovane; il primo è sempre posto ad onore, onde un uomo di austeri costumi è chiamato antico, una buona scrittura si paragona colle antiche, i grandi artisti studiano l’antico, e diciamo antica repubblica, antico Stato, famiglia antica; così l’Alfieri salutava Asti sua patria col nome di antica città. Per lo contrario chiamiamo vecchio uno Stato prossimo alla sua rovina;
«Dicasi lo stesso d’antichità e di vecchiezza; questa concerne più particolarmente all’età delle persone, quella sale all’origine delle famiglie. La vecchiezza scema la forza dei corpi; l’antichità accresce il lustro delle cose e le fa venerande; quindi si apprende ai giovani a rispettar la vecchiezza, perchè il debole sta sotto l’ombra del forte; ma l’antichità è raccomandata all’universale cittadinanza delle genti e si chiamano barbare quelle nazioni che non l’hanno in grandissima venerazione.»
Ma se vecchio oggi più che mai suona come insulto allora il termine esatto per definire le varietà di 50-100 anni fa è
VINTAGE
si dice di capo di vestiario, accessorio, mobile ecc. di moda nel passato, che viene recuperato o imitato nella moda moderna
Possono essere vintage abiti, accessori, bijoux, mobili, dischi, chitarre, computer, videogiochi; ma anche biciclette, automobili (Fiat 500, Renault 4), motociclette (Vespa, Lambretta) generalmente prodotti tra il 1920 e il 1980.
Sarà la nostalgia verso il passato, un passato recente, in cui eravamo “un po’ più giovani”, sarà la voglia di rivivere certe situazioni, il desiderio di ritornare a momenti che non torneranno più…Sarà perchè sarà, ma che il vintage sia “la moda delle mode“, è un dato di fatto
Nella moda, nel costume, nel gusto, oggetto che appartiene a un’epoca andata, d’altri tempi, con un particolare sapore evocativo di un’atmosfera vissuta con nostalgia.
Per la precisione
VARIETA’ VINTAGE TAUMATURGICHE
Nonostante la complessa trattazione colturale e culturale, molto sinteticamente per non essere frainteso, confermo che preferisco la biodiversità colturale e soprattutto quella culturale.
Perché per nostra grande fortuna, ogni testa è un mondo complesso di razionalità ma anche di molto sentimento istintivo ed intuizione complessiva, che ci fa vedere ogni cosa da molti punti di vista e non solamente da quello puramente scientifico.
Ma queste cose il marketing aziendale le conosce benissimo e si uniforma anche e soprattutto ai desideri e sensibilità dei consumatori clienti.
E’ vero, uno vale uno.
E poi basta co’ ‘sta Scienza…tutto è cominciato col metodo del Pisano ( e se sa che da quelle parti so ‘n po’ bischeri) con la menata della Terra che girava intorno al Sole, quando il buonsenso evidenzia ogni mattina il contrario.
Quando la Scienza diventa Fede, perde l’oggettività e la funzione di razionalizzare l’opera umana, che complessa è, e complessa rimane, nonostante tutte le scorciatoie e semplificazioni mentali.
L’italiano è geneticamente individualista e difficilmente inquadrabile in fila per tre col resto di due…
ed a guerra persa cambia bandiera e si allea col nemico.
La scienza non può essere fede, forse fiducia, che è ben diverso.
Comunque nella Storia MAI è accaduto (e mai accadrà) il contrario, che la Fede diventi Scienza…
Al massimo, e ci risiamo, superstizione oppressiva con le solite armi strategiche della PAURA e dell’IGNORANZA in associazione sinergica
GRAZIE per questo tuo prezioso intervento.
fabrizio_caiofabricius
Varietà antiche seminate oggi non sono più antiche in quanto non rispecchiano il genotipo della varietà originale e quindi siamo di fronte impressioni falsate nella comparazione. Sarebbe meglio che molti studiassero un po’ di genetica prima di sproloquiare.
Il lavoro del CREA conferma quello che è il meccanismo-tranello mentale che le persone adottano per rafforzare le loro convinzioni già precostituite sui prodotti dell’agricoltura.
Nel merito dello studio, è il meccanismo di confrontare alimenti uguali per forma e uso (il pane), dando giudizi sulla materia prima, dove però diversi tipi di lavorazioni e ingredienti (abburattamento, tipo di lievitazione) ne stravolgono le caratteristiche sensoriali finali.
Questo lavoro riporta la discussione ai fondamentali dell’approccio scientifico: vogliamo confrontare il prodotto dell’antico col moderno? Ok, confrontiamoli per lo stesso tipo di macinazione, lievitazione e cottura.
Invece, purtroppo, normalmente, le persone confrontano il pane da grano “antico”, integrale, lievitato con pasta madre, con il pane tipo 0 del supermercato; per dire poi che è superiore sotto ogni punto di vista.
Gianluca
Parole sacrosante…se poi aggiungi che la dizione “grano antico” non ha valenza scientifica e nella pratica non è mai la stessa cosa, la frittata è fatta.
Ringrazio il Sig. fabrizio_caiofabricius per l’intervento dell’11/01/2018 ore 17:02, in cui ha riportato l’estratto di un articolo sulla differenza di significato tra i termini “vecchio” e “antico”.
Ho fatto qualche ricerca in rete e forse il testo è stato pubblicato nel “Vocabolario dei sinonimi della lingua italiana” di Pietro Fanfani, stampato nel 1884.
Fa piacere, di tanto in tanto, imbattersi in qualche bella lettura.
I suoi voli pindarici fanno perdere il sapore del discorso, che è più scienza applicata al marketing, piuttosto che filosofia e critica della ragion pura.
Forse questa diffusa diffidenza nei confronti dei grani c.d. moderni deriva anche dal “come” vengono utilizzati. Mi spiego: se vado in panetteria (insegna che declama “il pane di una volta”!) a comprare 4 pagnottelle morbide, normali, e mi trovo questa lista di ingredienti:
Pane alle patate con olio di sansa di oliva; farina di grano tenero tipo 00, acqua , sale, pasta acida (lievito naturale in polvere, glutine di grano tenero), olio di sansa di oliva, lievito, fiocchi di patate (patate disidratate 99 per cento), emulsionanti mono di gliceridi di acidi grassi, stabilizzante difosfato di sodio E450, spezie, antiossidante palmitato di ascorbile E304, metabisolfito di sodio E223, aroma naturale correttore di acidita’ acido citrico E330, contiene solfiti. Ottenuto da pane parzialmente cotto e dorato in questo negozio.
Ecco che appena trovo qualcuno che panifica con sola farina acqua lievito e sale penso di aver trovato il santo Graal e se questo qualcuno usa anche grani “antichi” soddisfa pienamente la mia voglia di mangiare qualcosa che non abbia una lista lista ingredienti pari ad un bugiardino dei medicinali.
Quindi non sono solo i singoli ingredienti che fanno la qualita’ (in senso generale e quella percepita al palato) ma anche il modo con cui questi vengono utilizzati.
Lo studio di quali sono i parametri che maggiormente modificano il risultato di una panificazione è certamente interessante. E’ però molto difficile poi dire quale è il più buono. La qualità, come si sa da tanto tempo, è molto soggettiva e poco misurabile.
Anche la scelta di parametri di partenza è molto difficile, non si tratta davvero di un confronto tra grano antico e grano moderno. Si tratta di un confronto tra un grano duro antico Dauno III e un grano duro moderno Sfinge, ma generalizzare e dire che il confronto è tra antichi e moderni amplifica l’effetto della ricerca. Peccato che da noi il pane si fa con grano tenero.
Poi si analizzano le differenze tra una semola integrale e un semolato, ma nel tenero si parlerebbe di tipo 2, tipo 1, 0 o 00.
Di quali pani stiamo quindi parlando? Non certo dei pani che troviamo in commercio, con farine di teneri moderni (spesso di importazione) e raffinate (0 o 00), ne le rare occasioni di pani di fatti con farine macinate a pietra (tipo 1 o 2) di grani locali e macinati volta volta.
Peccato perché la ricerca poteva essere molto interessante, così invece ci serve a poco. Forse possiamo accettare come risultato importante quali sono le caratteristiche che incidono sul risultato, non il risultato che è valido solo per quei 2 tipi di grani, nati per fare la pasta e usati nel test per fare il pane.
Quindi si potrebbe comunque concludere che : il genotipo grano è importante per determinare l’aspetto e la consistenza (ma non sappiamo cosa è meglio e sopratutto è un parametro soggettivo) L’alveolatura e i profumi sono più legati all’agente lievitante (e qui è sottinteso che un lievito di birra è più povero di profumi di una pasta madre fresca). La cottura ha un ruolo marginale (anche se credo che sui profumi un po influisca). La macinatura non la riporta Il Fatto Alimentare, ma la riporta la ricerca e la mette insieme al genotipo, come parametro che contribuisce a differenziare i componenti organici volatili che poi fanno i profumi.
Poi non riporta un risultato importante: il glutine, con un indice del 90 % nel semolato moderno contro l’1% dell’integrale antico.
quindi peccato che non si siano paragonati 2 varietà usate di teneri per la panificazione, ma certo è che importanti differenze ci sono tra diversi pani, fatti in modi diversi partendo da grani diversi. Lasciamo ad ognuno la libertà di assaggiarli, di digerirli, di misurarsi la glicemia, e poi lasciamoli liberi di scegliere.
Concordo quasi tutto, tranne che su una cosa: la qualità non è ne soggettiva, ne difficile da misurare, è un numero, che varia da 0 a 1 e si ottiene così: soddisfazione delle aspettative sul prodotto\aspettative sul prodotto.
Sono i nostri parametri personali di qualità che variano (disponibilità economica,educazione,status sociale,etica ecc), non la qualità. Ognuno di noi ne ha il suo concetto e le aziende si stratificano e stratificano i loro prodotti di conseguenza.
Se sono in stato di povertà, un panino di una famosa catena di fast food a 1 euro, probabilmente soddisfa tutti i miei parametri, riempie, è gradevole al palato e posso permettermelo giornalmente.
Se sono più che benestante, istruito, attento all’ambiente, quello stesso panino sarà percepito come molto scarso e non corrispondente alle mie aspettative per un pasto. Opterò quindi per un sandwich fatto con grani antichi macinati a pietra, pesce ottenuto da pesca sostenibile povero in grassi saturi e sale iodato a ridotto contenuto sodico, dal costo 15 o 20 volte superiore al panino del fastfood, ritenendolo un prezzo congruo per la serie di valori aggiunti che IO riconosco importanti per quel prodotto.
Questa, che è e vuole essere un’iperbole, è la spiegazione semplificata della qualità che può essere applicata a qualsiasi bene, materiale o concettuale.
Scusi Simone, ma se la qualità “assoluta” numerica non soggettiva, dipende dal rapporto tra due fattori di soddisfazione e aspettativa sul prodotto, come fa a dire che non è un giudizio soggettivo?
A chi viene attribuita l’aspettativa e la conseguente soddisfazione se non ad un soggetto specifico con caratteristiche individualizzate, come lei ha ben rappresentato?
I numeri sono neutri e di per se oggettivi, ma se rappresentano un giudizio individualizzato divengono essi stessi parametro soggettivo statistico.
Il prodotto ha delle caratteristiche, fisse, oggettive, ricercate e sviluppate dal produttore, che svolgono la funzione di soddisfare una necessità/aspettativa (reale o indotta) del consumatore.
Le aspettative sono soggettive se prendiamo un singolo individuo, ma per quanto ci piaccia pensare di essere unici, ognuno di noi a seconda della categoria merceologica presa ad esempio, è inquadrato in un insieme omogeneo di consumatori, che sceglie di acquistare una categoria di prodotti. Le aziende quando entrano del mercato con un bene, hanno due vie per valorizzare in qualità :
1. Analizzare approfonditamente il proprio prodotto per quelle che sono le sue peculiarità e in seguito attraverso il marketing (che non è mai generico) comunicare nel modo più efficace possibile all’insieme di consumatori sensibili alle caratteristiche del prodotto. (questa è la via solitamente scelta dalle aziende che non dispongono di budget grandi)
2. Analizzare il mercato del settore in cui ci si vuole inserire (definito posizionamento), individuare se all’interno di questo, ci sia un’insieme di consumatori le cui esigenze/aspettative non sono ancora soddisfatte dalla concorrenza, e a questo punto realizzare un prodotto che soddisfi queste necessità.
La qualità è quindi il valore assoluto, che si misura anche indirettamente attraverso il tasso di riacquisto dopo aver provato il bene, ed è l’espressione di quanto si è riusciti a centrare il prodotto con l’aspettativa dell’insieme di consumatori, che si è scelto di soddisfare. Nessuno produce per accontentare TUTTI i consumatori, altrimenti fallirebbe miseramente.
La Libertà è il bene in assoluto più prezioso,
(anche di scelta, di consumo…), ma se prima e sistematicamente si “terrorizza” il consumatore non necessariamente in possesso di più lauree, assume un suono sinistro e mi sembra a dir poco furbescamente ingenua questa pur nobile affermazione.
E da qualche anno il cibo è diventato la palestra principale per questo tipo di approccio umorale, antiscientifico, di finta antipolitica antikasta che invece si affanna a fare un’altra politica per la creazione di una casta alternativa basata su fake-news che alimentano e privilegiano una calda e rassicurante post verità attesa e di comodo, minacciando paure ancestrali di stampo fideistico-superstizioso. Tutti buoni e democratici contro ricercatori, medici, avidi e cinici detentori del Potere ?
Mmhhh, piuttosto sembra un bel progetto politico di sostituzione alternativo, il ritorno al medio-evo, Il CIALTRONEVO, dove, come già ampiamente visto nella Storia, oligarchie detengono potere e gestiscono risorse soprattutto attraverso paura e ignoranza.
Questa ottima, seria e completa ricerca sui pani è, come tante che l’hanno preceduta, solo un punto di conoscenza in più, niente di più, ma, soprattutto niente di meno.
E con più punti che si traccia una retta o almeno un percorso di conoscenza .
Ben vengano quindi altre ricerche, si chiarisca meglio il problema, si affronti con metodo scientifico e soprattutto multidisciplinare senza conclusioni affrettate o, peggio, di comodo di quel che si vuole sentirsi dire (POST VERITA’).
E’ vero, si son confrontati “”solo” due genotipi e da questo non sarebbe corretto trarre conclusioni valide per le intere “categorie” di appartenenza, semmai si possano ritenere valide queste categorie. Ma intanto il risultato per quei due è chiaro e scientificamente ineccepibile. Si allarghi eventualmente la gamma di genotipi da studiare.
Del resto la convinzione che i grani moderni fossero i responsabili del fantomatico aumento della celiachia si basa proprio sulla FORZATURA di un lavoro (Hetty van den Broeck et al , 2010) che aveva il vulnus di aver messo a confronto solo pochi e “sfortunati” genotipi
Lo stesso valido gruppo di lavoro del CREA-Cerealicoltura di Foggia, insieme a tanti altri lavori internazionali, ha invece ribaltato questa frettolosa e allarmante conclusione, mettendo in prova una serie maggiore di varietà vecchie e nuove: lo studio si è concentrato su 8 varietà moderne (Adamello, Simeto, Preco, Iride, Svevo, Claudio, Saragolla, PR22D89) e 7 vecchie -nobilitate col termine fasullo di antiche- (dal 1900 al 1949 Dauno III, vecchio Saragolla, Rusello, Timilia, Cappelli, Garigliano, Grifoni 235) per investigare la diversa composizione del glutine.
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S116103011730045X
M De Santis, M. Giuliani, L Giuzio, P De Vita, A Lovegrove, P R. Shewry, Z Flagella,
European Journal of Agronomy
Volume 87, July 2017, Pages 19-29
Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy
sia tra i grani vecchi, “fasullamente antichi”, che tra quelli più recenti si sono varietà più tossiche e varietà meno tossiche. SONO I SINGOLI peggiori o migliori, NON LE “CATEGORIE”…
“..è noto come le gliadine alpha e gamma contengano molti epitopi tossici per i celiaci. In questo studio non si è trovato un effetto significativo del miglioramento genetico sull’espressione di queste proteine […]In più la gliadina omega-5, che dà particolari problemi agli allergici, è particolarmente presente nei grani antichi.”
Concludono dicendo che
“non sono state trovate differenze significative tra varietà vecchie e nuove per quel che riguarda le alpha e gamma gliadine, considerate le maggiori responsabili della tossicità per i celiaci. In più nei grani moderni si è assistito a una riduzione della gliadina omega-5, un allergene importante.”
Quindi, non solo i grani vecchi, fasullamente antichi, non sono “meglio” di quelli moderni da questo punto di vista, ma rischiano anche di essere più allergenici. È interessante che alcune delle varietà antiche studiate sono proprio quelle che ora vanno per la maggiore: Cappelli, Timilia, Russello, Saragolla. Queste di sicuro non sono meglio…..
Analoghe conclusioni in
[Ribeiro, M., Rodriguez-Quijano, M., Nunes, F. M., Carrillo, J. M., Branlard, G., & Igrejas, G. (2016). New insights into wheat toxicity: breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease’s immunostimulatory epitopes. Food Chemistry, 213, 8-18.]
su 53 varietà moderne di frumento, 19 popolazioni antiche non selezionate (chiamate “landraces”), 20 farri spelta, 15 duri moderni e 19 popolazioni antiche non selezionate di grano duro. Ci sono 126 varietà e specie provenienti un po’ da tutto il mondo.
“le vecchie popolazioni di frumento tenero, non soggette a miglioramento genetico, mostrano un contenuto di epitopi tossici più elevato delle varietà moderne. Possiamo quindi concludere che il miglioramento genetico non ha contribuito alla prevalenza degli epitopi immunostimolanti per la celiachia”.
Poi , a proposito dell’uso allegro, e non solo, di termini “PAUROSI” (Dividi et Impera-Spaventa e Controlla)
PESTICIDI è cattiva traduzione inglese di comodo che spaventevolmente richiama la peste, ma che invece andrebbe cambiata in parassiticidi o, come usano i tecnici, agrofarmaci, erbicidi, insetticidi, anticrittogamici… ..
ANTICO è termine carico di aspettative forti e nobili, ma se il termine corretto, VECCHIO, oggi più che mai suona come insulto allora il termine esatto per definire le varietà di 50-100 anni fa è
VINTAGE
Tanto meno AUTOCTONO, perchè sia il supervintage Cappelli che il citato DAUNO III sono selezioni del grande miglioratore genetico STRAMPELLI che selezionò popolazioni provenienti da tutto il mondo nella prima metà del ‘900…appunto VINTAGE
Il grano duro è ampiamente usato da secoli al SUD anche per fare pane. Il prestigioso Pane di Altamura prevede nel disciplinare l’uso di 4 varietà di duro, migliorate fra il 1950 e il 1980 ..aiuto come le chiamiamo ? Antiche? Moderne? Splendide cinquantenni?
La parola “RAFFINATA” per creare un’aurea di colpevole manipolazione nelle farine non è termine corretto in quanto la RAFFINAZIONE è un processo squisitamente CHIMICO che consente, con l’uso di agenti chimici esterni, la separazione di parti da una sostanza. L’olio di sansa di olive è raffinato rispetto all’olio extravergine di oliva grazie all’impiego di solventi. La farina 00 è invece solo SETACCIATA o “abburattata”. Ossia la farina 00 è il risultato di un semplice e “antico” processo di vagliatura fisica il più spinto delle 5 tipologie (00, 0, 1, 2 e Integrale) : la 00 sarebbe la più PURA con tasso di abburattamento, ossia RESA effettiva in farina del grano macinato del 50% ( di 100 kg di grano restano 50 Kg di farina) , del 72% per la 0 (ossia 72 kg di farina finale), dell’80% per la 1 (80 kg di farina finale), 85% per la 2 (85 kg di farina finale), nessun abburattamento per la integrale della quale resta il 100% del chicco macinato. (rielaborato dall’ottima sintesi di Luciano Pignataro Wine&Food Blog pag. 3).
Ben venga l’uso di cibi integrali, ma con la macinazione a pietra MODERNA, non quella “antica” che rilasciava inevitabilmente pezzi di pietra…., e anche oggi non dimentichiamo il rischio micotossine e agenti inquinanti sui tegumenti esterni…molto meglio la DECORTICAZIONE. Oppure le micotossine sono lo spauracchio solo per demonizzare falsamente “l’importazione” ?
Buongiorno
molte cosa che ha scritto le condivido, come condivido altre considerazioni fatte da altri, una cosa è sicura: dobbiamo conoscere la filiera produttiva, i processi di lavorazione e l’onestà dei produttori e fare una scelta tra il gusto che ci piace e la digeribilità che in ognuno di noi avviene.
In una cosa, la voglio contraddire, una macina con pietra “vecchia” ma io la chiamerei “naturale”, è sicuramente meglio di una pietra MODERNA, per i residui che rilascia macinando, informatevi come fanno a produrla e poi ne riparliamo.
Non criticavo la ricerca, ma il titolo dell’articolo che fa riferimento a questa. La ricerca è valida, lo ripeto è molto interessante, ma il risultato è valido solo sui 2 genotipi specificati. Una ricerca pulita. Senza nessuna malizia, che non vuol falsare il risultato generalizzandolo. Ma perchè allora un titolo che è solo un interpretazione giornalistica? Per attirare il lettore? Ottima scelta, fa parte del mestiere del giornalista. Se c’è furbizia la vedo più nel titolista che nella mia conclusione che invita solo all’assaggio.
Ti ringrazio delle ricerche riportate, se fosse il mio mestiere forse ne troverei altrettante che portano invece l’acqua al mulino dei grani “non moderni”. Ma non è il mio mestiere e leggo con attenzione quelle da te proposte.
Le parole a volta servono solo per capirsi, per semplificare la comunicazione. Se un termine stimola di pensieri positivi o negativi spesso è per colpa del collegamento reale con qualcosa che è legato a quel termine. Non è la parola stessa ad essere positiva o negativa. Parli di “raffinato” come termine negativo. Ma una persona raffinata è una persona degna di rispetto, è un “complimento”, non un accusa. Se per una farina questo ti stimola un pensiero negativo, è per colpa della farina “molto setacciata” che in questi anni ha perso quella valenza positiva di farina bianca (per ricchi) che si contrapponeva a quella integrale, scura (per i più poveri). Non credo ci sia malizia nell’usare il termine raffinata per una farina.
Lo stesso vale per il termine Pesticida, se avessimo sempre usato il termine agrofarmaco oggi sarebbe questo ad avere una valenza negativa (è e resta un prodotto di tossicità variabile da alta a bassa da usare, come un farmaco, sotto prescrizione, con tutele crescenti in base alla tossicità). Sono in italiano dei biocidi, utili in agricoltura. Ma non chiamiamoli neppure “la medicina”, come troppo spesso si sente dire nelle campagne quando si distribuiscono senza protezioni alcune perchè una medicina non fa mai male.
Ma tutto questo non centra nulla con il pane.
Ha ragione Ezio, se la misurazione della qualità non è un numero unico ma dipende da chi la giudica vuol dire che non si può metterla nel risultato di una ricerca scientifica. Al massimo può indicare una percentuale di gradimento (il pane fatto così piace al 80% delle persone, quell’altro al 20…. per esempio). Dire che è qualitativamente migliore vuol dire mettere dei parametri misurabili, ed estrapolare il risultato in un valore unico (se si decide che la “qualità” del pane è data da morbidezza, numero di profumi, assenza di difetti, indice glicemico, proteine, glutine etc…..allora si può misurare la qualità su quei parametri, ma l’elenco di questi non è un criterio scientifico, ma una scelta che deve essere condivisa e validata)
Che si voglia mangiare un pane prodotto con farine di grani antichi che costano da 4 a 5 volte le farine della GD (prodotte da mulini con processi e controlli qualitativi notevoli!!)..liberi di farlo!!
Come al solito “antico”è buono e “moderno” è cattivo!!!
Ma se si mettono le ‘mani in pasta” cioè se si fa il pane da se, sperimentando modalità di impasti (diretti e indiretti o autolisi ), di lieviti (pasta madre o lievito di birra), tempi di lievitazione (corti o lunghi con o senza utilizzo del frigo), utilizzo di piccole parti di farine di erbacee (tipo il grano saraceno), allora ci si accorge che la differenza tra antico e moderno ha poco senso sia qualitativo e quantitativo (con notevoli risparmi economici )!!!
Provare per credere! !!
Voglio fare solo una domanda, ma le differenze sulla bonta’ dei grani non dovrebbe essere fatta essenzialmnte sui contenuti di: grassi, fibra, minerali, proteine, zuccheri, carboidrati? mi risulta che alcuni grani piu’ “antichi” abbiano contenuti maggiori di alcuni di questi elementi nutrizionali; inoltre le farine soggette a piu’ fasi di lavorazione ” tipo 00″ ne contengono molto meno che nelle farine 1 ; 2; integrale.
grazie
Insomma, chi acquista pani di grani antichi sarebbe un ignorante facilmente ingannato dalla lobby dei “grani antichi” (?!?!??) e con un palato uguale alla sua istruzione (cioè insufficiente).
Ringraziamo tutti questi ricercatori che hanno finalmente dimostrato, scientificamente, quanto è stupida e rozza certa gente.
Ringraziamo tutti quelli che “lo sospettavano già” e che ora hanno l’occasione per dare dello stupido ad altri basandosi su basi scientifiche.
Ringraziamo anche chi ancora difende il povero e bistrattato “metodo scientifico” contro la stupidità della gente e la furbizia delle lobby commerciali e finanziarie (!?!??).
Ringraziamo infine gli scienziati “umanisti” e filosofi, e sono tanti, che di questo genere di ricerche e studi fanno l’utilizzo più corretto, ovvero semplicemente domandandosi: “cosa si è dimostrato qui concretamente”?
In questo caso, se la risposta è che “i pani di grani moderni sono più gustosi dei pani di grani antichi”, allora c’è da contestare come tendenzioso l’articolo, il quale non si limita a questa affermazione ma aggiunge commenti in merito alla “salubrità” e “convenienza”, facendo intendere che, è “tutta una moda”. Secondo me l’articolo è tendenzioso, così come i commenti di molti “difensori del metodo scientifico” (che ringrazio nuovamente a nome della Scienza).
Il fatto reale è che moltissimi acquirenti di prodotti di grani antichi sono inidirizzati e consigliati proprio da medici e nutrizionisti con studi specifici in merito, e questi esperti sempre più spesso consigliano grani come il Kamut proprio per risolvere problematiche e malattie varie (in tutto il mondo). Ora invece questo studio, secondo l’interpratazione dell’articolista e di molti commentatori, ci dimostra che medici e nutrizionisti non sanno nulla, sono vittime della moda e magari anche al soldo della lobby dei grani antichi …
Grazie
Caro Beniamino,
un sapore o un odore migliore, il CREA lo può sentire come chiunque entrando nei supermercati è attratto dal profumo sintetico di pane prefabbricato indigesto ed incommestibile che ormai si sforna ovunque.
Basterebbe invece provare ad assaporare dopo due o tre giorni quella plastica per capire cosa crea e i villi intestinali che quella plastica distrugge. Come mai non approfondisce CREA il significato patologico della LIstina presente solo nei grani moderni ed i danni che sta provoncando in tutta la popolazione mondiale? gli studi non mancano, ma sono indipendenti dalle testate gestite dalle multinazionali,
Come hanno denigrato il biologico che ormai avanza a loro discapito, denigrano le scoperte che butterebbero sul lastrico celebri aziende. Basta vedere le risposte indignate immediate che ha ricevuto il tuo allert. Una risata li seppellirà!
la qualità si può “misurare” …e anche il “gradimento” che in ogni caso resta sempre e soltanto soggettivo.
“il marketing” può effettuare studi e capire quale “parametro” viene apprezzato al numero maggiore di utenti e quindi regolarsi di conseguenza standardizzando il prodotto con quelle caratteristiche.
Ezio volevo ringraziarti per i tuoi interventi che condivido in pieno, è sconfortante vedere che sei “solo contro tutti”
Menomale che la consapevolezza è in aumento.
.. glielo paghiamo noi, giusto? lo stipendio, a questi ricercatori del CREA che ci devono dire se il pane casereccio fatto con il grano senatore cappelli coltivato bio, macinato bio, impastato a mano e cotto mezza giornata prima di mangiarlo è buono come michetta fatta col grano canadese. Ero un ricercatore, e da ex ricercatore vi assicuro che non mi scandalizzo affatto quando sento che vengono tagliati i fondi della ricerca in Italia. Sarebbe forse più opportuno azzerarli del tutto, ed affidare in “outsourcing” la ricerca scientifica, come le buone aziende fanno quando si rendono conto che non ce la possono proprio fare, a farla in casa, per “evidenti ed insuperabili limiti”…
La frase “alla conclusione dello studio, pubblicato dalla rivista Scientific Reports di Nature, la convinzione che il pane di grani antichi abbia un sapore o un odore migliore, rispetto a quello di grani moderni, appare destituita di fondamento” è una perla, fanno una ricerca per dirmi che se se un pane mi piace di più forse mi sto sbagliando…, ci sarà qualcosa che non va nelle mie papille gustative…. che dire, facciamoci una risata, va’….
Le caratteristiche compositive delle farine hanno per forza un ruolo principale nel pane finito, non è solo una questione di processamento o di lieviti utilizzati, come sembra sottolineare questo articolo. In particolare l’alveolatura, aspetto fondamentale nella qualità di un pane, non può dipendere principalmente dal lievito, ma principalmente dalla composizione della farina e cioè dalla percentuale di glutine di cui è composta.
Aiut! Una risata seppellirà CHI?? Sicuramente il metodo scientifico …
Peccato che il grano Kamut °R non esista, ma è marchio commerciale di semplice Khorasan o Turanico superstite in ambienti dimenticati nel tempo dalla Civiltà, ancora però rintracciabile un po’ in tutto il mondo, Italia compresa, senza pagare esosi diritti commerciali internazionali derivati da nota leggenda egizia rispolverata sapientemente in America. Ma il farro di Garfagnana, o di Leonessa no eh? O le saragolle abruzzo-lucane? Eppure quello è il vero “ANTICO”. Stanno lì da 7000 anni non da 70.
Peccato che si estrapolino pezzi di comodo per offendere al bar chi lavora seriamente senza tener conto furbescamente di tutto il contesto, ineccepibile e validato da revisori internazionali.
Mannaggia poi che la macinazione a pietra non sia ‘sta panacea tenuta nascosta dai ricercatori bruti e cativi, ma accanto ad aromi e gusti sicuramente più intensi dovuti alla presenza anche degli acidi grassi del germe non allontanato e alla maggior presenza di enzimi, ha il difetto di rompere parte dei granuli d’amido e insieme all’eccessiva presenza di frazioni cruscali crei difficoltà nella troppo veloce lievitazione ; nonché una shelf-life ridotta a meno di un mese, con rischio di irrancidimento e sviluppo di radicali liberi, questi sì sicuramente dannosissimi alla salute. Senza dimenticare i rischi di apporto di inquinanti ambientali e micotossine dai tegumenti più esterni non preventivamente allontanati.
Se Strampelli rinascesse altro che SantoSubito, sarebbe additato come teribbbile manipolatore genetico al soldo del Potere (e che potere….), altro che elogio del suo antico (???) Cappelli, con o senza senatore che è ancor più chic!