Sarà una pura coincidenza, ma l’effetto Trump ha colpito anche l’extravergine italiano che non potrà più riportare sull’etichetta la frase “imported from Italy”. Il motivo è banale: le bottiglie contengono nella maggior parte dei casi miscele di olio proveniente da Italia, Spagna, Grecia e altre aree del Mediterraneo e quella frase inganna i consumatori. Per anni le nostre aziende hanno venduto olio d’oliva, riportando sul frontespizio della bottiglia la dicitura “Imported from Italy”, salvo precisare nella controetichetta la provenienza della materia prima da paesi europei o extraeuropei.
Il caso dell’olio d’oliva “imported from Italy”
Questa anomalia ha i giorni contati. La cittadina americana Rohini Kumar nel 2014 ha citato la ditta Salov per violazione del 1930 Tariff Act, 19 U.S.C. § 1304 (l’equivalente del nostro illecito per pratica ingannevole o pubblicità ingannevole). La vicenda legale si è conclusa con un accordo giudiziale, una sorta di patteggiamento che impegna la società per almeno tre anni a sostituire sulle etichette dell’olio d’oliva marchiato Filippo Berio la dicitura “Imported from Italy” con la più generica “Imported”. In altre parole se l’olio non è 100% italiano è scorretto riportare in etichetta il riferimento all’Italia.Salov si è impegnata a versare 50 centesimi di euro a bottiglia, per ogni consumatore in grado di dimostrare di aver comprato l’olio d’oliva nel periodo compreso dal maggio 2010 al giugno 2015. La società riconoscerà inoltre agli avvocati di Rohini Kumar un milione di dollari per le spese legali. In Italia, il nome Salov e il marchio Filippo Berio sono poco conosciuti, anche se la società è proprietaria del marchio Sagra. Negli Usa però il fatturato di Salov nel 2015 era di 137 milioni di dollari e il marchio è molto conosciuto dai consumatori.
L’opinione di Alberto Grimelli
«Probabilmente non si tratta ancora di un effetto Trump – ricorda Alberto Grimelli, direttore di Teatro Naturale, nel suo editoriale del 27 gennaio – ma dell’ultimo atto di un processo innescato con i primi scandali sull’olio italiano negli Stati Uniti, qualche anno fa. Bisogna riconoscere che per anni abbiamo venduto sul mercato americano olio mediocre, borderline, quando non apertamente frutto di una frode. Negli ultimi tempi gli americani, anche grazie alle inchieste italiane, hanno scoperto come li abbiamo presi in giro e non l’hanno presa bene. Hanno anche scoperto i mezzucci al limite della legalità, come la frase “Imported from Italy”, per conferire un valore aggiunto a olio di qualità standard. Da tempo – prosegue Grimelli – gli americani stanno dicendo che questi comportamenti non saranno più tollerati. Lo slogan “America first” del presidente Donald Trump probabilmente non farà altro che accelerare questo processo».
La vicenda non sembra del tutto conclusa. Un procedimento simile è in corso anche nei confronti di Deoleo, proprietaria dei marchi Carapelli e Bertolli molto venduti in USA. L premesse non lasciano spazio a prospettive rosee. L’ultima nota riguarda la FDA americana che quest’anno ha in programma controlli speciali sugli oli extra vergini di oliva. Questo aspetto desta qualche preoccupazione tra gli operatori che spediscono negli Stati Uniti 130 mila tonnellate di olio l’anno. Vi terremo aggiornati.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
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