È nato nel momento sbagliato, l’Olio di Puglia Igp. Pochi mesi dopo l’approvazione nel dicembre 2019, l’ultimo extravergine italiano con un’indicazione geografica protetta è stato travolto dalla pandemia prima che si riuscisse a istituire il consorzio di tutela, promuovere il marchio e a sbarcare sugli scaffali dei supermercati. Ma questo non ha impedito a qualcuno di provare già a venderlo sottocosto. Un vero e proprio autosabotaggio, che nel tempo ha ostacolato la valorizzazione della produzione pugliese, dei suoi cinque extravergini Dop e ora rischia di far naufragare l’Igp appena nato.
Ironia della sorte, l’Olio di Puglia Igp è stato pensato proprio per dare il giusto riconoscimento agli oli prodotti in Puglia, ma con minor rigidità di quella imposta dai disciplinari dei marchi Dop. La Puglia, infatti, è la prima regione italiana per superficie dedicata agli uliveti, che fruttano mediamente il 60% della produzione olearia italiana, ed è anche la regione d’origine del 41% della produzione certificata italiana. Tuttavia gli oli Dop pugliesi restano quelli meno valorizzati in termini di prezzo: nei primi mesi del 2020, l’olio Dop Terra di Bari è stato venduto all’ingrosso in media a 3 euro/kg, contro gli oltre 8 euro/kg dell’Igp Toscana, spiega Maria Lisa Clodoveo del Dipartimento interdisciplinare di medicina dell’Università di Bari.
Una cattiva pratica che rischia seriamente di mettere in pericolo l’esistenza del nuovo Olio di Puglia. “Il primo prodotto in vendita come Olio di Puglia Igp nella grande distribuzione è stato visto al prezzo di 5 euro/l. – spiega Clodoveo, che si domanda – Se si vende l’IGP a 5 euro/l, come faranno i produttori a sostenere le spese legate all’applicazione del disciplinare di produzione e i costi di certificazione?”. Gli oli Dop e Igp si vendono mediamente a 10 euro/l, e possono salire anche 15 euro/l per un olio toscano; 5 euro/l è il prezzo a cui si vende abitualmente un olio 100% italiano non certificato.
Eppure l’Olio di Puglia Igp avrebbe bisogno di essere valorizzato da un prezzo congruo: si tratta di un extravergine ad elevato contenuto di polifenoli (oltre i 250 mg/kg all’atto della certificazione), grazie alle peculiarità ambientali e climatiche delle regione, e l’unico a superare la soglia indicata da Efsa per poter indicare in etichetta che “fa bene”. Insomma, il nuovo extravergine ha l’ambizione di presentarsi come un nutraceutico, piuttosto che un condimento.
Svendere gli oli pugliesi non fa male solo ai produttori, ma anche al territorio. Il paesaggio pugliese con le sue distese di uliveti, già martoriati dall’epidemia di Xylella fastidiosa, rischia di vederne scomparire altri se i coltivatori non ricevono la giusta remunerazione per il frutto del loro lavoro.
La spinosa questione dell’extravergine venduto sottocosto nei supermercati come prodotto civetta non riguarda soltanto l’olio pugliese. Proprio per chiedere uno stop alla pratica di svendere l’olio extravergine a prezzi stracciati nei supermercati per attirare i consumatori, la stessa Maria Lisa Clodoveo all’inizio del 2020 aveva lanciato una petizione che ha raccolto circa 3 mila firme. Nove mesi e un lockdown dopo, le cose non sono cambiate.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Buongiorno,
come può il contenuto di questo articolo integrarsi con quest’altro, sempre del fatto alimentare?
https://ilfattoalimentare.it/prezzo-olio-extravergine-bio.html
In particolare cito:
“Con gli elementi a disposizione, mi sento comunque di dire che se si tratta di oliveti a impianto tradizionale (circa 280 olivi per ettaro) e raccolta manuale, i costi di produzione superano addirittura il prezzo di vendita al pubblico indicato per le versioni più economiche.
La questione cambia del tutto, invece, se si tratta di impianti moderni (ora si va sulle 400/500 piante per ettaro) concepiti per la raccolta a scuotitore: in questo caso i costi di produzione possono essere inferiori anche di 3,50 €/litro e quindi il prezzo di vendita si può senz’altro considerare coerente.”
E nell’articolo linkato si parla di biologico, quindi di un prodotto “superiore” come etichetta e qualità percepita rispetto a una dop o igp.
Se è coerente un prezzo di 8 euro litro di olio bio italiano, come può non esserlo quello che riportate per l’olio pugliese? A me non sembra un sottocosto, tanto più che l’epidemia di xylella che ha obbligato a tanti espianti sarebbe stata un’occasione d’oro per incrementare le rese aumentando la densità delle piante e la meccanizzazione della raccolta.
Credo che qualunque consumatore attento tra un olio bio italiano e un normale olio “classico”, a parità di prezzo sceglierà sempre il bio. Ovviamente secondo suo gusto.
Gentile Luca,
come riportato nell’articolo gli oli Igp e Dop vendono mediamente a 10 euro/l, ma si trovano spesso anche a prezzi notevolmente più alti, fino a 15-20 euro/l. 5 euro/l è il prezzo medio per un extravergine 100% italiano, convenzionale e senza certificazioni di origine. L’olio in questione è un Igp, che quindi è stato proposto “sottocosto” rispetto al prezzo abituale degli extravergini con marchio di origine.
Condivido l’opinione di Luca, io compro olio Bio Terre di Bari a circa 7€il litro e, da come evidenziato nel precedente articolo, non mi sembra proprio un sottocosto, visto che il prezzo di produzione è di circa 3€/lt.
L’olio a 20 euro non ha alcun senso. Il mercato non se ne fa nulla. Sarà olio eccellente, ma a mio avviso è inutilmente eccellente per gli usi che nè fa la gente comune. l’GT potrebbe essere un buon compromesso. L’importante è che si vigili e si garantisca che sia extravergine.
Consultando il disciplinare si può utilizzare il 30 % di olio non di origine pugliese (altrimenti sarebbe una DOP).
Applicare un disciplinare IGP ad un olio, vuol dire vendere come pugliese olio non pugliese… i primi a praticare il “sottocosto” sono i produttori