L’olio di palma non è tutto uguale: la qualità dipende dalla lavorazione e da altri fattori. Il punto di vista dell’azienda Germinal Bio
L’olio di palma non è tutto uguale: la qualità dipende dalla lavorazione e da altri fattori. Il punto di vista dell’azienda Germinal Bio
Roberto La Pira 27 Giugno 2014Il tema della salubrità dell’olio di palma viene trattato sbrigativamente, riportando un dato che, estrapolato da un contesto scientifico, privo di documentazione a supporto o riferimenti bibliografici, isolato da un qualsiasi doveroso ragionamento statistico, non potrà che apparire confusamente allarmante a qualsiasi lettore sprovvisto di una cultura medico-scientifica specifica.
“Da un punto di vista nutrizionale e salutistico la situazione non è altrettanto confortante. L’olio contiene dal 45 al 55% di grassi saturi a catena lunga come l’acido palmitico e favorisce l’aumento dei livelli di colesterolo.”
Sotto il profilo nutrizionale l’impiego di oli vegetali al posto di grassi di origine animale (es. burro) consente di ottenere alcuni benefici:
– assenza di colesterolo,
– cospicuo apporto di vitamina E,
– maggiore quantità di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi
– assenza di determinati allergeni (latte).
Si riporta per esempio di seguito un confronto tra le caratteristiche nutrizionali del burro e dell’olio di palma (fonte dati: Istituto Europeo di Oncologia – Banca Dati di Composizione degli Alimenti per Studi Epidemiologici in Italia 1998).
Si sottolinea inoltre che il contributo percentuale sui lipidi della dieta sul territorio nazionale (vedi tabella riportata di seguito) è dato solamente per l’11% dai prodotti da forno, e solo il 12 % degli acidi grassi saturi proviene dall’assunzione di prodotti da forno, mentre la maggior parte deriva da latte e derivati (fonte dati: Diete relative all’intero territorio nazionale ed all’area geografica di Nord-Est – modificato da Pizzoferrato et al., 1999).
Quindi, se la dieta che una persona segue garantisce un’introduzione energetica correlata ai bisogni dell’individuo e un apporto dei nutrienti (proteine, lipidi, carboidrati, vitamine e minerali) in proporzioni ottimali, non è di fatto giustificabile demonizzare l’impiego di oli vegetali solidi come l’olio di palma.
Crediamo che tutti gli operatori della filiera alimentare, compresi i mezzi di informazione, abbiano l’obbligo della massima chiarezza quando si trattano temi che attengono la salute delle persone. L’approssimazione e la superficialità sono pericolose: creano disinformazione, possono indurre in errore consumatori e operatori, e possiedono la sinistra potenzialità di danneggiare aziende come la nostra, che coerentemente portano avanti i propri valori.
Enrica Zuanetti, Responsabile Marketing & Communication, Gruppo MangiarsanoGerminal
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Interessante l’affermazione di Fabrizio Piva (GreenBiz, Martedì, 16 Aprile 2013), amministratore delegato CCPB sul tema, in particolare l’RSPO: “[…] qualcuno si è anche inventato standard di produzione che, secondo qualche associazione ambientalista internazionale, assomigliano ad operazioni di “greenwashing”. Non dimentichiamo, però, che le aziende bio che lo utilizzano possono farlo solo se è certificato biologico e quindi se per l’impianto dei palmeti non è stata distrutta la foresta primaria. Un aspetto di importanza primaria: se il palmeto non viene correttamente valorizzato si rischia di favorire schemi di certificazione internazionali non biologici, quali ad esempio l’RSPO, che nulla o poco dicono in materia di gestione biologica del palmeto e di fatto favoriscono comunque un massiccio utilizzo dell’olio di palma”. Nel sito dell’azienda, peraltro, non trovo riferimenti a certificazione di parti terze (possibilmente conosciute) su RSPO, possibile?
È del tutto superfluo che l’azienda non faccia riferimento a certificazioni di parte terza sull’origine biologica dei grassi di palma che utilizza: salvo che per un pugno di ingredienti (elencati nell’allegato IX del reg. 889/2008 e utilizzabili per non più del 5% del totale ingredienti), tutti i componenti di un prodotto biologico devono essere certificati da un organismo o da un’autorità di controllo che la UE deve aver riconosciuto competente a effettuare controlli e a rilasciare il documento giustificativo.
Con il rilascio del documento, l’organismo o l’autorità attestano che la produzione ha impiegato tecniche di lavorazione del terreno e pratiche colturali atte a salvaguardare o ad aumentare il contenuto di materia organica del suolo, ad accrescere la stabilità del suolo e la sua biodiversità, a prevenire la compattazione e l’erosione del suolo e che tutte le tecniche di produzione vegetale evitano o limitano al minimo l’inquinamento dell’ambiente.
@ roberto pinton, forse non ha letto con attenzione, la domanda che non era indirizzata all’olio di palma “biologico”, ma alla frase dell’azienda “…scegliendo di usare solo olio di palma biologico non idrogenato, proveniente da filiera RSPO…”.
La signora ‘Mangiarsano’, nell’esporre i teoremi del suo gruppo – e dei suoi fornitori – prova a intrattenerci con un futile e ingannevole argomento, l’asserita miglior qualità dell’olio di palma non idrogenato.
Bene dunque chiarire ai lettori del Fatto Alimentare che l’olio di palma, in quanto solido, di per sè non abbisogna di processi di idrogenazione (invece necessari per attribuire consistenza a oli liquidi, quali soia e mais, a esempio).
Quanto poi alla presunta ‘sostenibilità’ del palma certificato RSPO, basti annotare un paio di dati:
– aderiscono a RSPO non solo i grandi utilizzatori industriali del palma, ma anche i suoi produttori, cui sono attribuite responsabilità di deforestazione del Sud-Est asiatico (vedasi wwww.farmlandgrab.org) e, da ultimo, rapine delle terre (c.d. land-grabbing) nell’Afica sub-sahariana
– RSPO certifica la ipotetica sostenibilità di quote solo minimali (<5%) della produzione globale di olio di palma, senza badare al fenomeno della rapina delle terre. Contribuendo invece alla domanda globale di questo 'bloody oil'.
E dunque, appurato e confermato che l'impiego di questa matrice grassa non influisce in misura significativa ai costi di produzione di alimenti ad alto valore aggiunto, BASTA!
Mi scusi.
Allora, è ininfluente che l’azienda faccia o meno riferimento allo standard RSPO, dato che è certificata (pagina http://www.mangiarsanogerminal.com/ita/qualita/certificazioni.php) come trasformatore biologico e, necessariamente, è certificato di produzione biologica l’olio di palma utilizzato come ingrediente di alcuni dei suoi prodotti, così come tutti gli altri ingredienti di origine agricola che utilizza nei prodotti con marchio biologico.
Dato che lo standard biologico (reg. 834/2007, reg.889/2008 eccetera) è più avanzato di quello RSPO (http://www.rspo.org/file/RSPO%20P&C2013_with%20Major%20Indicators_Endorsed%20by%20BOG_FINAL_A5_25thApril2014.pdf) sia dal punto di vista agronomico che ambientale, la certificazione RSPO sarebbe del tutto pleonastica.
L’azienda in questione è certificata BRC, IFS, biololgica, calcola il bilancio energetico e l’impronta ecologica, usa imballi da filiera certificata FSC, le filiere di fornitura di ingredienti “coloniali” sono fair trade, eccetera.
Tutto ciò non la esonera certamente dall’obbligo del miglioramento continuo, ma, dovendo far le pulci alle imprese, potrei suggerirne alcune centinaia di più urgenti…