Gli alimenti più suscettibili di adulterazione sono: olio di oliva, latte, miele, zafferano, succo d’arancia, caffè e succo di mela. E’ questa la classifica dei prodotti alimentari americani più soggetti a frodi, stilata dalla US Pharmacopeial Convention (USP), un’organizzazione statunitense no profit impegnata a sviluppare metodi analitici standardizzati per assicurare il massimo di identità, qualità e purezza agli ingredienti e ai supplementi alimentari.
La classifica, riportata sul Journal of Food Science, è stata stilata da Jeffrey Moore, della Michigan State University, in base ai dati contenuti in oltre 1.300 segnalazioni di frodi (1.000 provenienti da esperti e 250 dai media e 50 da altre fonti).
Al di là della notizia, molto interessante anche per l’Italia che produce, ed esporta tutti i sette prodotti, uno degli scopi principali del lavoro è trovare una definizione condivisa di frode. Secondo gli autori è “una deliberata sostituzione, aggiunta, manomissione o adulterazione del cibo, dei suoi ingredienti o del suo confezionamento, oppure la segnalazione di effetti falsi o equivoci, fatta a scopi economici”. C’è anche una definizione ancora più specifica, proposta dallo USP Expert Panel on Food Ingredient International Adulterants, in cui la frode viene definita come “L’aggiunta fraudolenta di sostanze non autentiche, ovvero la rimozione o la sostituzione delle sostanze originarie senza che l’acquirente ne sia informato, fatta a fini economici”.
Moore ha scritto polemicamente presentando il compendio: «Dal momento che il problema delle frodi alimentari non viene preso nella giusta considerazione, tranne quando la segnalazione arriva da una rivista scientifica, abbiamo pensato di pubblicare i principali dati presenti nel database USP sul Journal of Food Science, sperando che ciò aumenti l’attenzione e contribuisca a proteggere meglio i consumatori». Moore continua dicendo che le frodi alimentari moderne possono essere più pericolose delle contaminazioni tradizionali, in quanto sono spesso realizzate con ingredienti non convenzionali in grado di sfuggire alle analisi.
Per spiegare meglio i rischi Moore cita uno dei casi più drammatici degli ultimi anni, quello la melammina, che nel biennio 2007-2008 contaminò prima cibo destinato ad animali domestici, e poi latte in polvere per bambini e altri prodotti, causando almeno sei morti e l’intossicazione di migliaia di persone. Precedentemente, ricorda Moore, la melammina non era percepita come sostanza pericolosa, anche se scorrendo il database dell’USP si scopre che i primi casi di contaminazione risalgono al 1979. Alla prima segnalazione, tuttavia, non era seguito alcun obbligo di verifica della presenza della sostanza, e i risultati drammatici si sono visti nel 2007.
«Forse – scrive ancora il ricercatore – se i dati del 1979 fossero stati a disposizione di chi si occupa di identificare i rischi tutto ciò non sarebbe successo. Inoltre la giusta considerazione di quei primi casi avrebbe stimolato la ricerca di metodi analitici più specifici e sensibili».
Lo stesso esperto si rende conto di quanto sia impossibile riuscire ad individuare tutte le frodi alimentari. A volte le adulterazioni sono realizzate con sostanze indistinguibili rispetto a quelle sostituite, come è accaduto con la glicerina rimpiazzata dal glicole dietilenico nel vino, con l’anice cinese, innocuo, sostituito con quello giapponese, tossico o con alcune spezie rimpiazzate dal tetraossido o dal cromato di piombo, altamente tossici. E’ pure vero che un archivio internazionale e aperto può aiutare molto. Per esempio, è emerso che il 95% delle segnalazioni riguarda la sostituzione – parziale o totale – di un ingrediente costoso con uno più economico, come avviene classicamente per l’olio di oliva con oli di semi. Inoltre, per quanto riguarda i sistemi di analisi, la raccolta dei dati ha portato già a proporre un approccio che punta sulla verifica dell’assenza della sostanza ritenuta contaminante.
«Ciò – conclude Moore – va benissimo se si sa cosa si sta cercando, ma non è certo il miglior sistema quando non si conosce la sostanza usata per la contrafazione. Avere a disposizione esempi dell’alimento può essere poi utile per cercare eventuali adulterazioni uguali o simili ad altre già scoperte.»
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica
Secondo il mio parere la corretta definizione di "adulterazione" è quella che troviamo nel testo di Lionello ed Egidio Rizzati "Tutela igienico sanitaria degli alimenti e bevande e dei consumatori". Nel testo si legge che "l’adulterazione è un’operazione fraudolenta che consiste nella variazione dei componenti di un alimento, senza peraltro effettuare un addizionamento di altre sostanze".
Mentre quando si modifica la composizione di un alimento sostituendo parzialmente alcuni elementi mediante aggiunta di elementi estranei (di solito di prezzo e qualità inferiore) si parla di "sofisticazione".
Saluti
Oreste Gerini