In Italia la schiera dei contrari al Nutri-Score, l’etichetta a semaforo francese, è molto folta: industria, associazioni di categoria, politici e addirittura istituzioni. Una delle obiezioni sollevate è quella secondo cui, trattandosi di un sistema pensato per le abitudini alimentari dei francesi, non può essere utilizzato così com’è in altri paesi, perché non sarebbe in grado di classificare correttamente i prodotti secondo le raccomandazioni alimentari delle varie nazioni. Ma non è proprio così. Lo dimostra uno studio realizzato dal Gruppo di ricerca di epidemiologia nutrizionale (Eren) dell’Inserm di Parigi e pubblicato sulla rivista Nutrients.
I ricercatori, fin dall’inizio in prima linea nello sviluppo del sistema di etichettatura, hanno calcolato il Nutri-Score di oltre 11 mila prodotti presenti nel grande database internazionale European Food Information Resource e provenienti da otto paesi europei con tradizioni culinarie diverse: Finlandia, Francia, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Svezia e Svizzera. Nel database, era disponibile un numero variabile di prodotti per ciascun paese: si va dagli oltre 2.300 per la Francia agli 850 circa della Svizzera. Prima di calcolare il Nutri-Score, gli alimenti esaminati sono stati divisi in categorie e sottocategorie, come per esempio “pane e derivati dei cereali”, “bevande”, “latte e latticini”…
Il risultato è stato che il Nutri-Score appare efficace nel discriminare la qualità nutrizionale dei prodotti in tutti i paesi esaminati, sia all’interno delle varie categorie, sia tra un gruppo e l’altro. I “bollini” si distribuiscono nelle varie categorie in maniera coerente con le raccomandazioni delle linee guida alimentari nazionali e internazionali. In generale, oltre il 96% dei prodotti del gruppo “verdura e derivati” e il 91% di quelli del gruppo “frutta e derivati” ottengono una A o B. Per i legumi e i derivati la percentuale sale al 100%. Stessa distribuzione anche per quasi il 90% del pesce. Dal lato opposto, quasi nove prodotti su 10 della categoria “zucchero e dolci” ottiene giudizi dalla C alla E. Nella sezione “grassi e oli”, oltre l’80% dei prodotti si classifica tra la D e la E, con un migliore posizionamento degli oli vegetali rispetto ai grassi animali. Solo un quarto degli oli vegetali ottiene una C gialla, il miglior giudizio possibile per un prodotto di questa categoria.
Gli stessi trend si osservano analizzando la distribuzione dei “bollini” nei diversi paesi, con alcune eccezioni in qualche categoria, che possono essere spiegate in parte dalla struttura del database stesso e in parte dalle peculiarità del contesto nazionale. Queste differenze non implicano che sia per forza necessario riadattare il Nutri-Score per poterlo utilizzare al di fuori della Francia. Mentre i Paesi Bassi hanno deciso di farlo, la maggior parte dei paesi che ha scelto di usare il Nutri-Score non ha apportato alcuna modifica al metodo di calcolo.
“Il Nutri-Score – scrivono i ricercatori – appare essere uno strumento efficiente per aiutare i consumatori a distinguere la qualità nutrizionale tra differenti gruppi alimentari e all’interno di essi in diversi paesi europei”. Ma non è una bacchetta magica. Affinché sia veramente efficace, ricordano gli scienziati, ogni nazione deve affiancare all’etichetta una strategia di comunicazione ed educazione alimentare per spiegare ai consumatori come usare il Nutri-Score in sinergia con le linee guida alimentari.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Se le multinazionali lo accettano senza imposizioni (e lo stanno facendo) sicuramente ha qualcosa di sbagliato.
Dubito che rinunceranno ai loro cibi spazzatura, più probabile che sostituiranno i prodotti “cattivi” secondo nutriscore (sale e zucchero ad esempio) con una montagna di edulcoloranti e additivi che miglioreranno il profilo calorico e nutrizionale a spese di effetti sconosciuti sul lungo termine.
Anche se le argomentazioni italiane fanno acqua da tante parti, sarà sicuramente vero che prodotti genuini della tradizione sembreranno meno “buoni” delle controparti ultratrasformate costruite in laboratorio.
Sono una consumatrice di Parmigiano Reggiano e mi, e Vi, domando con quale criterio/bollino venga etichettato. Si tratta infatti di un alimento che si consuma a piccole dosi, poiché il senso di sazietà che dà è grande, dunque non lo si può valutare per una porzione di 100 grammi in calorie e/o grassi.
Un discorso analogo vale per Evo, condimento di cui si usano poche gocce.
Al contrario i wurstel, p.e., forse hanno una simile percentuale di grassi, ma si mangiano a dosi ben diverse!
Ecco la ragione dell ostilità verso il nutriscore.
Non so se ho reso l idea, ma il consumatore italiano comprende di certo il ragionamento.
Grazie dell ospitalità e buon lavoro.
Il Nutri-Score viene calcolato su 100 g (o 100 ml) per avere un riferimento univoco e oggettivo per tutti gli alimenti (cioè quello della dichiarazione nutrizionale presente sul retro della confezione), anche se questo potrebbe apparire penalizzante per alcuni alimenti che vengono consumati in quantità modeste.
Se si usassero le porzioni di consumo, che non è detto siano condivise da società di nutrizione e industria, si dovrebbe lasciare alle singole aziende il compito di indicare la porzione del singolo prodotto oppure definire delle porzioni standard per tutti (cosa che ha fatto naufragare il tentativo di alcune Big dell’industria alimentare di crearsi la propria etichetta).
Entrambe le soluzioni però comportano dei rischi. Se le porzioni vengono definite dalle singole aziende, c’è il rischio che vengano stabilite porzioni irrealistiche per ottenere un giudizio migliore. Se si definiscono delle porzioni standard, non è detto che i consumatori le rispettino: è facile rispettare i 125 g raccomandati di yogurt perché corrispondono a un vasetto, ma chi pesa i cereali da colazione per assicurarsi di consumarne proprio 30 g? Inoltre, a seconda di età e livelli di attività fisica, le necessità nutrizionali variano da persona a persona, e con essere possono variare anche le dimensioni delle porzioni raccomandate.
È per questo che i ricercatori che hanno progettato il Nutri-Score hanno deciso di utilizzare un valore standard di 100 g o 100 ml.
Non dimentichiamo comunque che si tratta di uno strumento che non va utilizzato da solo, ma in sinergia con le linee guida nutrizionali: se le nostre linee guida ci dicono che il Parmigiano Reggiano va consumato (come secondo piatto) in porzioni da 50 g (*), ci dicono anche che il consumo dei würstel, che sono carni trasformate, deve avvenire solo in maniera occasionale.
(*) Le linee guida raccomandano per un adulto fino a 3 porzioni a settimana tra formaggi freschi da 100 g e formaggi stagionati da 50 g. Parmigiano e Grana possono essere consumati anche come condimento per la pasta, in porzioni da 10 g. Attenzione però: ciascuna di esse conta come 1/5 di una porzione di formaggio stagionato da 50 grammi che quindi deve essere sottratto ai secondi piatti.