“La Francia dichiara guerra alla Nutella”. È questo il messaggio che sta passando sulla stampa d’oltralpe e su quella italiana, da quando la Commissione degli Affari Sociali del senato francese ha approvato il cosiddetto “Emendamento Nutella”, che prevede un aumento del 300% della tassazione sull’olio di palma, che costituisce fino al 20% in peso dell’amata crema alle nocciole.

 

Nessuno dice che se l’emendamento verrà approvato in via definitiva mercoledì prossimo, un’infinità di prodotti alimentari dovranno ritoccare i listini. Quello di palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo, e si trova in un terzo dei prodotti venduti nei supermercati, oltre ad essere utilizzato in numerosissimi alimenti, saponi e cosmetici, e anche nei biocarburanti.

Allo stesso modo, non si dice che secondo i più critici osservatori, il provvedimento sembra un modo per far affluire un po’ di denaro nelle casse statali. L’altro elemento nascosto tra le righe, è che la guerra commerciale contro l’olio di palma potrebbe portare alla ribalta altri grassi non meno dannosi per la salute e devastanti per l’ambiente come quello di soia prodotto in gran parte dagli USA.

La faccenda è assai più complessa e articolata di quanto potrebbe sembrare. La proposta di tassazione, secondo il relatore, non è pensata per punire i consumatori ma per lanciare un segnale forte  all’industria agroalimentare, che deve avere maggiore considerazione per la salute dei consumatori e del pianeta.

La tassa di 300 euro per ogni tonnellata di olio di palma, palmisto e copra, in realtà influirebbe in misura marginale sui listini, visto che già oggi la tassazione francese prevede 98,74 per ogni tonnellata di olio di palma e 107,8 euro per ogni tonnellata di olio di palmisto e di copra. La Francia consuma ogni anno 126 mila tonnellate di questi grassi (due chili per abitante), e con la nuova tassa lo stato incasserebbe circa 40 milioni di euro in più. 

 

Facendo i conti in tasca a Ferrero, è facile dedurre che l’aggravio di spese per la Nutella sarebbe di 5 centesimi di euro al chilo, ovvero meno di 3 centesimi di euro per ogni barattolo da 400 g. Diciamo che un simile incremento non può certo scoraggiare i golosi né influire sulle vendite.

C’è da chiedersi per quale motivo i giornali abbiano interpretato il provvedimento francese come un attacco alla crema di nocciole preferita dagli italiani. La tassa in realtà sembra avere ambizioni più serie rispetto a un intento punitivo nei confronti della Nutella. Più interessante forse è interrogarsi sul perchè le autorità d’Oltralpe abbiano concentrato l’attenzione solo sull’olio di palma, palmisto e copra e non su altri grassi vegetali altrettanto diffusi e nocivi per cuore e vasi sanguigni in virtù dell’elevato contenuto di acidi grassi saturi, come hanno subito sottolineato anche esponenti della Ferrero. 

 

Poi c’è la questione della sostenibilità dell’olio di palma, messo sotto accusa in numerosi rapporti per la deforestazione, l’impoverimento dei terreni e i danni a carico delle colture locali. L’olio è poco costoso ed è molto versatile, per questo viene utilizzato al posto dei grassi idrogenati, sempre meno popolari a causa della presenza dei famigerati acidi grassi trans o TFA.

 

Il problema è che per rispondere alle richieste del mercato mondiale i principali produttori (Indonesia, Malesia e i Paesi dell’Africa occidentale) continuano a piantare palma da olio in sostituzione di colture tradizionali e in nuovi terreni ottenuti deforestando.

Per questo motivo nel 2004 i produttori e gli utilizzatori dell’olio di palma avevano fondato la Roundtable on sustainable palm oil per promuovere l’uso di corrette pratiche agricole, garantire la sostenibilità ambientale e tutelare i diritti delle comunità indigene.

 

Nel 2009 il Wwf ha pubblicato una classifica degli utilizzatori di olio di palma, accusando alcuni gruppi della grande distribuzione organizzata (Spar International, Auchan, Aldi, Metro…) di acquistare quote marginali di olio di palma sostenibile.
Qualcosa però, sia pure lentamente, sta cambiando. I colossi come Nestlé e Unilever si sono attivati per garantire l’utilizzo esclusivo di olio Certified sustainable palm oil entro il 2015, come pure hanno fatto Ferrero e United Biscuits (GB).

 

In seguito a un recente rapporto di Greenpeace,  la catena di fast-food Burger King e altri gruppi hanno comunicato al secondo produttore al mondo di olio di palma, PT Smart (Indonesia), la volontà di interrompere la fornitura sino a quando sarà garantito che le piantagioni non contribuiscono alla deforestazione. Prevedibile ma incoraggiante la reazione di PT Smart: “Abbiamo commesso alcuni errori, ma ci stiamo dando da fare per correggerli e recuperare la fiducia dei nostri clienti”.

 

In parallelo alcuni tra i più importanti utilizzatori di olio di palma, grazie ai certificati verdi “Green palm”, approvati dalla “Roundtable on sustainable palm oil” (RSPO), finanziano progetti di riequilibrio dei costi socio-ambientali legati allo sfruttamento della palma, con attività come la riforestazione di talune aree del Borneo.

In questo contesto si inserisce la tassa francese, che probabilmente non influirà affatto sul consumo di Nutella, ma che potrebbe fare aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica francese sui disastri di queste colture e sul fatto che certi grassi alimentari dovrebbero avere un ruolo secondario, occasionale, se non si vuole attentare alla salute del sistema cardiovascolare.

 Agnese Codignola

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Sergio
Sergio
11 Novembre 2012 10:14

Come è messo in evidenza l’aumento di prezzo della Nutella sarebbe insignificante fatto salvo la facoltà dellla Ferrero di moltiplicarlo per ripicca.
Il problema vero sia per Ferrero che per altri produttori sono proprio questi articoli che mettono in evidenza i pericoli per la salute di certi componenti dei loro prodotti.
Da consumatore (non di Nutella) posso solo ringraziarla per l’informazione

Sara
Sara
12 Novembre 2012 07:06

Interessante: perché non avete messo altri loghi oltre a quello di Nutella?