Tutti conoscono la liquirizia, anche se c’è chi preferisce le caramelle gommose e chi sceglie le stringhe, o il gusto più forte della liquirizia spezzata. Forse però non tutti sanno che la liquirizia più pregiata si produce in Italia, in particolare sulla costa Jonica della Calabria. E proprio qui, a Rossano, si trova il museo della liquirizia voluto dalla famiglia Amarelli che dal 1731 contribuisce a rendere popolare e apprezzata questa pianta spontanea dalle radici così profonde che anticamente si temeva arrivassero fino all’inferno. Visitarlo è un’occasione piacevole per conoscerne la storia e incontrare un’eccellenza della nostra imprenditoria.
La liquirizia – il cui nome scientifico è Glycyrrhiza glabra, cioè radice dolce – è conosciuta e utilizzata da oltre tre millenni per le sue proprietà salutari: “è sempre stata preparata a livello artigianale, e anticamente se ne vendevano direttamente le radici”, spiega la presidente della società Pina Amarelli.
Proprio la necessità di estirpare la pianta infestante per rendere coltivabili i terreni ha spinto le famiglie della zona a cominciare a lavorarne le radici, facendole bollire per estrarne il succo che poi veniva essiccato per trasformarlo in pastiglie facilmente conservabili e trasportabili. “Il commercio internazionale della liquirizia è nato in Calabria, all’epoca le diverse famiglie produttrici si dividevano i mercati e le aree d’influenza”, ricorda Amarelli. La prima d essere prodotta è stata la liquirizia dura che nasce direttamente dall’estratto, più avanti si è cominciato ad aggiungere al preparato la gomma arabica per creare caramelle gommose da modellare in varie forme negli appositi stampi: è possibile ripercorrere la procedura partecipando alla visita guidata del Museo della liquirizia “Giorgio Amarelli” che per il suo interesse ha ottenuto nel novembre 2001, il ‘Premio Guggenheim Impresa & Cultura’.
La visita è una passeggiata tra antichi strumenti, illustrazioni, attrezzi agricoli e ricordi di famiglia, oltre naturalmente alla liquirizia, dalle prime produzioni alle creazioni di design che riempiono le sale del caratteristico profumo. All’inizio c’era semplicemente il ‘concio’, “questo il nome dell’antico impianto dove si facevano bollire le radici per estrarne il succo, dal termine dialettale conzare, rendere conservabile, lo stesso che si usa per la preparazione delle olive”, spiega Amarelli. Ai primi del ‘900 la produzione si è progressivamente meccanizzata con le caldaie al vapore, e la costruzione della caratteristica ciminiera ancora oggi visibile, insieme con molti degli antichi impianti esposti nel cortile della fabbrica. Poi è arrivata l’elettricità, in seguito il gasolio e il metano: “Oggi cerchiamo di ridurre l’impatto energetico utilizzando l’energia solare, puntiamo a un’economia circolare anche con altri espedienti, come quello di utilizzate i residui della lavorazione della liquirizia per mantenere umido il terreno”, spiega Amarelli.
Ma se le tecnologie si aggiornano, la lavorazione è ancora oggi controllata da un ‘mastro liquiriziaio’ che verifica l’esatto punto di solidificazione del prodotto. “La specialità per cui siamo leader mondiali è la liquirizia pura, perché le piante nate in Calabria hanno una particolare dolcezza”, spiega Amarelli. È questa caratteristica che rende il prodotto gradevole, anche senza aggiungere altri aromi come fanno gli altri Paesi produttori come Cina, Iran o Afghanistan. “La nostra liquirizia è la migliore del mondo, e ha un basso tenore di glicirrizzina, il principio attivo del succo di liquirizia, il che la rende meno problematica per chi soffre d’ipertensione che ne deve contenere il consumo, come è indicato sulle confezioni”, spiega Amarelli. Anche se in realtà il problema riguarda soprattutto i forti consumatori: uno studio recente dell’Anses, l’Agenzia nazionale francese per la sicurezza alimentare, sui casi di intossicazione riportati tra il 2012 e il 2021, segnala 64 intossicazioni – la metà delle quali con gravi conseguenze – dovute però all’ingestione di forti quantità di bevande a base di liquirizia o in un numero limitato di casi di caramelle (una scatola o più al giorno), integratori assunti in dose maggiore rispetto alla prescrizione o tisane. Sulle confezioni destinate agli Stati uniti la Food and drug administration (Fda) ha chiesto di indicare che chi soffre di ipertensione non deve consumare più di 3/4 pezzetti al giorno della classica liquirizia spezzata o 5/6 del formato più piccolo”.
Anche se la liquirizia ha diverse proprietà benefiche – antinfiammatoria, cicatrizzante, lassativa, fluidificante – oggi Amarelli non produce più liquirizia a scopo medicinale, anche se alle produzioni tradizionali si sono affiancati gelati e liquore, cioccolato e perfino dentifrici e bagnischiuma. “Produciamo anche liquirizia in polvere: sono alcuni grandi chef ce la richiedono per il gusto particolare che dà alle vivande – spiega Amarelli”. Tra i progetti futuri c’è l’allestimento, a fianco del museo, di un orto botanico che permetterà di approfondire la conoscenza della liquirizia e delle altre specie che hanno accompagnato la storia della sua industrializzazione, come l’alloro, gli agrumi, l’anice, la menta e le rose.
© Riproduzione riservata Foto: Amarelli
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giornalista scientifica
“… ha un basso tenore di glicirrizzina, il principio attivo del succo di liquirizia, il che la rende meno problematica per chi soffre d’ipertensione …”: interessante, ho sempre creduto a un divieto assoluto per gl’ipertesi.