Biscotti Mulino Bianco: troppi “gemelli diversi”
Biscotti Mulino Bianco: troppi “gemelli diversi”
Cristina Bellomunno 5 Febbraio 2024La guerra dei biscotti è iniziata a novembre 2023 quando Barilla ha citato in giudizio le aziende Tedesco e Sapori Artigianali per avere prodotto e venduto biscotti in confezioni simili ai ben noti Pan di Stelle, Gocciole e Abbracci Mulino Bianco. Il Tribunale di Brescia il 15 gennaio 2024 si è pronunciato sulla vicenda e ha ritenuto fondato il ricorso dell’azienda di Parma imponendo l’interruzione della produzione e della vendita.
Mulino Bianco contro Tedesco
Nell’ordinanza, il Tribunale ha ritenuto le confezioni dei biscotti Amiconi, Gocciolotti e Maramao venduti con la marca Il Borgo del Biscotto dalla Tedesco, troppo simili a quelle della Mulino Bianco. Le confezioni presentavano “il medesimo colore giallo dello sfondo, ancorché di tonalità differenti; la medesima collocazione dell’immagine del biscotto nella parte anteriore sinistra della confezione, in associazione con immagini ulteriori nella parte destra arretrate in prospettiva, che riproducono gli stessi ingredienti o gli stessi colori degli ingredienti raffigurati nell’omologa immagine della confezione Barilla; lo stesso colore e la stessa collocazione delle scritte relative al nome del prodotto e alla sua descrizione mediante indicazione dell’ingrediente principale, con minime variazioni sul contenuto del claim”.
Il Tribunale di Brescia ha precisato che la forte somiglianza tra le confezioni non produce un effetto confusorio, ma è comunque illecito in quanto si rivela “funzionale” ad attirare l’attenzione del consumatore mediante il richiamo mnemonico all’immagine del prodotto più noto. Va precisato che Barilla per accreditare sul mercato quel tipo di biscotti ha fatto notevoli investimenti pubblicitari, di cui il concorrente (sleale) si trova ingiustamente a beneficiare. Insomma – secondo il Tribunale – il comportamento è contrario ai principi della correttezza professionale (illecito sanzionabile ex art. 2598, n. 3, Codice civile) e paragonabile a quello di chi sale su un treno senza pagarne il biglietto.
Il “look like”
Il fenomeno, giuridicamente conosciuto come “look like” (“simile a”), si verifica per lo più per i beni di largo consumo venduti nei supermercati come: biscotti, dentifrici, saponi, cosmetici e articoli per l’igiene personale. Può succedere che il consumatore di fronte ad un prodotto noto decida di comprarne un altro che “ricorda”, “assomiglia”, “sembra” come quello che abitualmente finisce nel carrello, perché ha colori, forma, grandezza, immagini e una confezione simile, oltre a un prezzo conveniente. Ciò può avvenire o perché ci si confonde o perché, pur comprendendo che si tratta di prodotti diversi, immagina che provengano dalla stessa azienda o da un’altra collegata e quindi abbia qualità simili.
Non c’è dunque da stupirsi se aziende, che hanno investito tempo e denaro per accreditare un certo packaging sul mercato, si affidino al tribunale per evitare che il concorrente tragga vantaggio dalla riproposizione di una confezione “simile”.
Il caso Mulino Bianco non è isolato
Nel nostro ordinamento, pur non sussistendo una disciplina specifica, il fenomeno è represso attraverso l’art. 2598, Codice civile sulla concorrenza sleale. Proprio a causa dell’assenza di una disciplina specifica, la giurisprudenza talvolta sanziona il look like sulla base della fattispecie della concorrenza sleale confusoria, che si verifica quando il prodotto di un concorrente crea confusione perché imita “servilmente” quello originale (art. 2598, n. 1. Codice civile).
In assenza del rischio di confusione, il fenomeno del look like è comunque represso attraverso l’applicazione dell’art. 2598 n. 2 del Codice civile (concorrenza sleale per appropriazione di pregi). Il riscontro si verifica quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi (ad esempio di qualità) non posseduti, ma appartenenti a prodotti o all’impresa concorrente, in modo da perturbare la scelta dei consumatori.
Altre volte, infine, il fenomeno del look like è sanzionato attraverso il ricorso all’art. 2598, n. 3, Codice civile sulla concorrenza sleale per contrarietà alla correttezza professionale. Il capitolo comprende una serie di comportamenti non espressamente previsti ma che, appunto, sembrano contrari a princìpi etici riconosciuti dalla categoria dei commercianti e che risultano idonei a danneggiare l’altrui impresa (es. comunicazioni ingannevoli, violazione di norme pubblicistiche, storno di dipendenti, boicottaggio, ecc.)
Alcuni casi per capire meglio
Uno dei primi episodi di look like è datato 21 settembre 1992 e fa capo al Tribunale di Verona. Il caso era promosso dalla Farmaceutici dott. Ciccarelli contro Lidl Italia S.r.l.e il giudice ha riconosciuto la sussistenza dell’imitazione, in relazione ad alcuni dentifrici (vedi foto sotto).
Un altro episodio famoso è quello del Tribunale di Napoli dell’11 luglio 2000 nella vicenda che vede Gran Turchese Colussi contro Elledì (va segnalato però che l’ordinanza è stata revocata in sede di reclamo). Il Tribunale non ha ritenuto illecito l’uso di una tazza di latte, frollini e il colore turchese sulla confezione Elledì, perché si tratta di segni banali e descrittivi del prodotto. Ha però individuato come criticità l’utilizzo di questi elementi nella composizione grafica che appare sulla confezione, perché determina una similitudine eccessiva rispetto al packaging dei biscotti Gran Turchese.
Tortellini, detersivo e bagnoschiuma
Il Tribunale Milano il 21 luglio 2004 ha adottato motivazioni simili e ha ritenuto che il packaging dei tortellini Grangusto riprendono il complesso degli elementi che caratterizzano la confezione del prodotto “Emiliane”Barilla. Pertanto ha ritenuto il comportamento come una condotta “diretta ad introdurre elementi di confusione sul mercato”, e finalizzata ad “ottenere un agganciamento all’immagine dell’impresa concorrente”.
Motivazioni simili sono state adottate dal Tribunale Bari, 22 novembre 2005 e da Tribunale Milano, 6 marzo 2007 che hanno rispettivamente deciso in ordine al packaging di un detersivo per piatti e di un bagnoschiuma come sotto raffigurati.
Un altro caso deciso dal Tribunale Milano risale al 31 ottobre 2018. La vicenda anche se non riguarda un prodotto alimentare è interessante per le motivazioni. Il Tribunale ha ritenuto che gli elementi distintivi e caratterizzanti il confezionamento del prodotto della ricorrente (vedi foto sotto) fossero confondibili “a causa dell’utilizzo di tonalità cromatiche assai simili; della collocazione degli elementi cromatici (rettangoli colorati frontali) e grafici (immagini di occhi affiancati sulla parte superiore della confezione; allineamento orizzontale di tre icone esplicative nella parte anteriore; allineamento verticale di icone esplicative nella parte posteriore); della somiglianza di cinque delle icone esplicative nella parte posteriore delle confezioni; della forma trapezoidale di entrambe le confezioni” .
I grissini
Diversamente dai casi ricordati, il Tribunale di Bergamo il 27 novembre 1999 ha negato la sussistenza di un illecito con riferimento ai grissini Fagolosi e Amor di pane.
In tale caso, diversamente da quanto affermato in altre vicende, è stata esclusa la tutela dei grissini Fragolosi poiché “in materia di concorrenza sleale confusoria da imitazione di confezioni di prodotti di largo consumo, l’apposizione del marchio del prodotto in larga evidenza deve portare ad escludere la sussistenza di un rischio di confusione”.
Più di recente si è espresso il Tribunale di Milano in data 8 agosto 2023 in relazione alle confezioni di Sottilette della Mondelēz e Kraft.
In tal caso il Tribunale ha specificato che, sebbene Kraft abbia ripreso nelle proprie confezioni l’elemento rappresentativo del toast con grande farcitura del concorrente e ciò potrebbe in sé costituire un elemento di caratterizzazione, “tuttavia ciò non comporta automaticamente che esso risolva la questione della prospettata confondibilità tra i contrapposti prodotti”. E questo in quanto sul mercato sono presenti molti altri prodotti in cui l’immagine del toast – strettamente connesso al particolare tipo di prodotto – “viene rappresentata con simili caratteristiche di generosità di farcitura”.
Quelli descritti sono alcuni dei casi decisi dai nostri tribunali, anche se il fenomeno è molto diffuso anche all’estero, specie negli USA dove è represso mediante la c.d. tutela del trade dress.
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A proposito dell’ultimo caso, Mondelez e Kraft, secondo me la questione è più sottile e rimanda all’awareness del brand e del nome del prodotto. Se si chiedesse a un campione di consumatori chi è il produttore di Sottilette, la maggior parte probabilmente direbbe Kraft e non Mondelez. Proprio perché in origine le sottilette erano prodotte da Kraft. Per me questo è un caso differente dagli altri.
Sì, va beh, l’awareness del brand… tanto per non confondere, si tratta della consapevolezza del marchio. Non sono brutte parole, in italiano. Si possono usare.
Sì! …anch’io ricordo chiaramente le vecchie pubblicità delle “Sottilette Kraft”. Quindi immagino che la Kraft abbia venduto il marchio e si sia poi rimessa a fare lo stesso prodotto con un nome diverso….ed una confezione simile.
molto interessante, questa sentenza è giusta
Sono perplesso.
Fin ad ora ha giocato facile ma se l’è presa con un piccolino.
Cosa contesta? La forma? La formula?
Secondo me, ma non sono avvocato, la formula può essere l’unica che può essere contestata se è stato fraudolentemente copiata per filo e per segno: stessi ingredienti, stesse quantità…
Ma la forma? Barilla avrà forse avuto l’esclusiva dello stampo per qualche anno (a memoria le prime gocciole di Pavesi, azienda del gruppo Barilla, sono state sul mercato da sole per diversi anni) ma poi l’esclusività decade.
Considerando che nel mondo alimentare ci sono molti prodotti copiati e simili tra loro, alla fine i criteri di scelta li esercita il consumatore in base a ciò che trova più di suo gusto, compreso il prezzo
Per la maggior parte delle immagini dell’articolo ok, le imitazioni sono evidenti,
ma nell’immagine dei dentifrici a me sembra che la confezione della “Pasta del Capitano” e quella del “Dentifricio Sindramed” siano MOLTO diverse…
a questo punto mi viene un dubbio: non è che in tribunale vince chi ha gli avvocati migliori (più costosi)?
Io ho un dubbio: ma essere imitati è realmente un disvalore? Mi spiego, sulla Settimana Enigmistica compariva spesso in prima pagina la frase “la rivista che vanta x tentativi d’imitazione”. Perché chi vuole quel prodotto compra l’imitazione e non l’originale? Credo che la maggior parte delle scelte sia fatta per una questione di prezzo. Chi compra l’imitazione del biscotto, siamo sicuri che in sua assenza comprerebbe l’ originale e non un’altra sottomarca, magari anche con forma diversa? E inoltre il fatto di essere imitati non giustifica per l’ originale un prezzo più alto e quindi una marginalità più alta per il produttore?
Ci sono diverse teorie al riguardo anche opposte alla sua. Difficile capire chi ha veramente ragione. Probabilmente ogni caso va vagliato
“l’apposizione del marchio del prodotto in larga evidenza deve portare ad escludere la sussistenza di un rischio di confusione”: vale per i Grissini … ma e per i Biscotti ?
Concordo sulle osservazioni ma non capisco perché (per i biscotti soprattutto) si parla solo di packaging e non anche di forma del prodotto.