Quante volte ci soffermiamo a riflettere su quello che mangiamo? Più spesso riempiamo il carrello senza chiederci come sono arrivati a noi alimenti che ci sono familiari e ci sembrano scontati, ma che non lo sono affatto. Un libro appena pubblicato da Il Saggiatore, Il mondo in un carrello, di Antonio Canu, ambientalista e scrittore, da 40 anni nel Wwf, nasce per rispondere a questi interrogativi. “L’idea mi è venuta nel periodo del primo lockdown, in un momento che ci spingeva a riflettere sulle conseguenze del nostro impatto sul pianeta e in cui la spesa era davvero l’unica possibilità di uscire da casa – spiega l’autore –. Mi sono messo a pensare al percorso che ha fatto la maggior parte degli alimenti per arrivare fino a noi”. L’autore ha scoperto così che anche i prodotti che ci sono più familiari non solo vengono da lontano, ma si sono profondamente trasformati nel corso dei secoli.
“In molti casi le piante selvatiche da cui derivano i vegetali che consumiamo abitualmente sono ormai presenti solo su piccole aree o sono del tutto scomparse, distrutte dall’intervento umano – ricorda Canu –. Mentre prevalgono le produzioni che rispondono meglio alle nostre esigenze”. Per esempio i limoni e gli aranci: il primo è un ibrido tra cedro e arancio amaro, che è a sua volta un ibrido, mentre gli aranci nascono probabilmente dall’incrocio tra il pomelo e il mandarino. Altre piante sono state trasformate da selezioni successive. “Pensiamo alle banane, il frutto più coltivato al mondo dopo il pomodoro – ricorda Canu –. In natura avevano i semi, mentre oggi si riproducono per talea, cioè tagliando e ripiantando un pezzo della pianta”.
Le trasformazioni caratterizzano molti degli alimenti più comuni, come le carote, il grano e il mais. Il carrello che gira tra le corsie del supermercato fa da filo conduttore per raccontare la storia dell’umanità, arricchita da un’ampia bibliografia per chi abbia interesse ad approfondire. Partendo proprio dal frumento, uno stelo originariamente insignificante, che è diventato la base della nostra alimentazione. “L’uomo ha trasformato il grano, ma questo ha cambiato noi – ricorda Canu –. Secondo lo storico Yuval Noah Harari, autore di Sapiens. Da animali a dèi, è stata proprio l’aumentata disponibilità di frumento che ha spinto i nostri antenati a organizzare una nuova società sedentaria: insomma i Sapiens sono stati domesticati dal grano, più che domesticarlo”.
Il cosiddetto Antropocene, nome usato per descrivere l’era legata ai cambiamenti provocati dall’uomo, è cominciato forse prima di quanto si pensi. “Anche se l’impatto maggiore è avvenuto nell’ultimo secolo e mezzo –, osserva Canu –. Dobbiamo pensare a quello che stiamo facendo al pianeta, agli effetti delle coltivazioni e degli allevamenti”. I dati sono impressionanti: macelliamo ogni anno a scopo alimentare 50 miliardi di polli, di cui circa il 70% allevati in maniera intensiva. Tanto che oggi i selvatici rappresentano solo il 30% della biomassa di uccelli, mentre il resto è composto da pollame destinato all’alimentazione (produzione di carne e uova). Per i mammiferi il dato è anche più preoccupante: il 60% è rappresentato da animali d’allevamento (prevalentemente bovini e suini), il 36% da umani e solo il 4% da mammiferi selvatici. Riguardo ai vegetali, poi, le cose non vanno meglio ed emerge un problema di perdita di biodiversità. “Secondo la Fao – nota Canu –, nel ventesimo secolo abbiamo perso il 75% della diversità genetica”. Nel mondo ci sono più di 50 mila piante commestibili, ma solo 15, soprattutto riso, mais e grano, forniscono il 90% dell’energia alimentare mondiale.
In questo viaggio nella storia del cibo c’è spazio anche per raccontare il ruolo di alimenti come il merluzzo, un pesce che ha cambiato il mondo e ha una storia straordinaria, legata al suo impatto nell’economia dei paesi scandinavi. “Oggi, parlando di pesce, il problema principale è il depauperamento degli stock ittici – ricorda l’autore –. Non dobbiamo però dimenticare gli sforzi fatti nel corso della storia per rendere gli alimenti più disponibili. Tra i principali sistemi di conservazione spiccano la surgelazione e l’inscatolamento. Su quest’ultimo sistema l’Italia ha giocato un ruolo importante, grazie a Cirio che, nel 1856, prima con i piselli e poi con i pomodori, è stato tra i pionieri della tecnica dell’appertizzazione (o sterilizzazione), utilizzandola per produzioni industriali”.
È italiana anche la realizzazione del primo stabilimento conserviero di tonno, avvenuta in Sicilia a opera della famiglia Florio che, anziché produrre il pesce sotto sale, come consuetudine del tempo, approntò la conservazione sott’olio e il relativo inscatolamento nella latta, determinando così l’affermazione dei suoi prodotti nel mondo. Tutto questo fino ad arrivare alle verdure di quarta gamma, già mondate e pronte per il consumo. “Anche se questi prodotti banalizzano il rapporto tra la terra e il consumatore – nota Canu –, tutti ricorriamo alle cosiddette insalate in busta o alle patatine in sacchetto”. Svelando la storia dei diversi prodotti, l’autore, con tono sempre leggero, intende proporre al lettore un messaggio importante: quello che il patrimonio che ci circonda non è inesauribile. Un aspetto da considerare maggiormente, quando si spinge il proprio carrello tra le corsie, siano esse reali o virtuali.
© Riproduzione riservata; Foto: Fotolia, iStock, il Saggiatore
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