Regione che vai, mense scolastiche che trovi. Ma va bene così? O sarebbe più opportuno, pur con le differenze dovute alle tradizioni locali e agli approvvigionamenti, che ci fosse un allineamento omogeneo alle linee guida nazionali? Un articolo della rivista Ristorando, firmato da Corrado Giannone e Monica Maj, confronta le indicazioni suggerite dalle innumerevoli linee guida in materia di menu e riscontra differenze che ritiene ingiustificabili. Ne proponiamo una sintesi.
Come è noto ci sono le linee d’indirizzo nazionali per la ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica redatte dal Ministero della salute, ma non si tratta di norme cogenti e possono quindi non essere applicate senza incorrere in alcuna sanzione. Se quindi le linee guida nazionali consigliano un consumo quotidiano di frutta, verdura, cereali e pane. Una o due volte alla settimana legumi, carne e pesce. Una volta alla settimana uova e formaggi e un piatto unico (come pizza o lasagne). Da zero a una volta alla settimana le patate e due volte al mese i salumi. Nelle diverse mense locali vengono al loro posto applicate molte linee guida diverse, redatte non solo dalle singole regioni, ma anche dalle aziende sanitarie. Si può insomma parlare di una sorta di federalismo alimentare, che produce differenze prive di una spiegazione logica e ci chiediamo come mai il Ministero della salute non sia intervenuto per rimediare.
Spesso gli alimenti suggeriti da queste linee guida locali, anche se corretti dal punto di vista nutrizionale, sono rifiutati dai bambini, che si abituano a considerare normale buttare il cibo, mentre non viene loro garantito un corretto apporto nutrizionale. Quanti bambini, al termine dell’orario scolastico, vengono ‘consolati’ con focacce, pizze e panini? Ma ci sono anche altri aspetti negativi: come quello di natura economica (il costo medio per pasto è di 2 euro) e quello legato al fatto che i genitori, insoddisfatti dal servizio di ristorazione, considerino l’ipotesi del pasto a casa. Leggendo le diverse linee guida utilizzate localmente, inoltre, abbiamo notato che nessuna riprende indicazioni importanti come la prevenzione e la gestione delle eccedenze alimentari, prevista dai Criteri ambientali minimi e la qualità sensoriale, prevista delle Linee Nazionali. Per comprendere le differenze tra le diverse linee guida, entriamo nello specifico dei documenti e ne analizziamo due voci (salumi e tonno).
Salumi: Prosciutto cotto, crudo e bresaola sono accettati nelle mense della Lombardia, ma per l’Ats di Pavia restano vietati. In Veneto le linee di indirizzo dicono che vanno utilizzati solo prosciutto crudo o cotto di prima qualità, senza polifosfati, senza additivi e ottenuto dalla coscia, al massimo una volta al mese per le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie; mentre ne è sconsigliato il consumo nei nidi. Nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo delle primarie, per evitare problematiche di soffocamento, si chiede di utilizzare solo prosciutto cotto. Secondo le linee guida della Puglia, la frequenza dei salumi (cotto, crudo e bresaola) è di due volte al mese e, per il loro contenuto di acidi grassi, dovrebbero essere eventualmente proposti al posto della carne rossa. L’Asl di Torino comunica che, qualora si intendesse inserire i salumi, andrebbero limitati a non più di una volta al mese nel periodo autunno-inverno e non più di due volte in primavera-estate, preferendo le tipologie più magre (prosciutto cotto, bresaola, prosciutto crudo, tacchino o manzo affumicati). Inoltre, almeno il 30% in peso dei salumi dovrebbe essere biologico o, se non disponibile, Dop o Igp o di montagna. In Friuli Venezia Giulia, poi, i salumi sono concessi ogni 15 giorni, in sostituzione della carne fresca. La Toscana, infine, indica i salumi e formaggi da alternarsi una volta a settimana.
Tonno in scatola: Per le mense della Lombardia è possibile scegliere tra tonno all’olio di oliva o al naturale, evitando quello in olio di semi. Si richiedono tranci in confezioni originali esenti da alterazione; senza briciole o frammenti. Per l’Ats di Brescia, invece, si possono proporre, al massimo due volte al mese, filetti di tonno sott’olio di oliva da utilizzare ben sgocciolati, uniti a insalate, legumi e/o patate, facendo attenzione a non aggiungere sale. La Puglia consiglia di evitare i prodotti in scatola, in quanto sarebbe opportuno abituare i bambini al consumo di pesce fresco/surgelato. Ritiene inoltre preferibile evitare pesci predatori e di grossa taglia, perché possono essere esposti a una maggiore contaminazione da metalli pesanti; sconsiglia infine pesci che possono determinare sindromi sgombroidi (come tonno e sgombri) per la particolare sensibilità dei bambini all’istamina. Le linee guida della Regione Emilia Romagna, fino a qualche tempo fa, vietavano tassativamente il tonno.
Ovviamente le indicazioni oggi fornite dalle società scientifiche sono destinate a modificarsi nel tempo, perché aumentano gli studi sui singoli alimenti e sulle loro ripercussioni sull’organismo. Per esempio fino a qualche decennio fa non esistevano veri e propri divieti riguardo alle carni rosse e agli insaccati, ma attualmente lo Iarc ha li ha inclusi rispettivamente nella classe 2A e nella classe 1 delle sostanze cancerogene. Per quel che riguarda le carni bianche, infine, oggi non esistono studi sufficientemente attendibili e gli esperti non possono pronunciarsi, anche se la conoscenza dei meccanismi che rendono la carne rossa potenzialmente cancerogena (per esempio la presenza del ferro Eme) permette di ritenere le carni bianche (che ne contengono in piccolissima quantità) probabilmente più sicure.
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Le linee guida sono indicate dall’ IRAN
L’Inran non esiste più. Da dieci anni le competenze, le attività di ricerca e tutto il personale dell’ex-INRAN, è diventato CREA – Alimenti e Nutrizione. Ma quelle di cui si parla nell’articolo sono le Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e sono fornite dal Ministero della salute.