Durante l’infanzia, l’alimentazione provoca nell’organismo una serie di risposte che sono identificabili solo a distanza di tempo. Per cui tra gli scopi principali della nutrizione pediatrica c’è proprio quello di prevenire le malattie dell’adulto. Tuttavia, un rapporto americano del 1993, “Pesticides in the Diets of Infants and Children”, considerava che i residui di pesticidi tollerati negli alimenti erano (ma sono tuttora) calcolati sulla base di un “adulto medio” di 60 kg, senza valutazioni di sicurezza sulla base dell’età e delle caratteristiche dei bambini, che in proporzione al peso corporeo assumono molto più cibo di un adulto e sono a maggior rischio di accumulo di contaminanti tossici. Dieci anni dopo anche l’Oms e l’Agenzia europea per l’ambiente indicavano che “i bambini, in quanto organismi in via di sviluppo, sono particolarmente vulnerabili all’impatto dell’inquinamento ambientale”.
Il dato, abbastanza intuitivo, è accettato dalla comunità scientifica e orienta le scelte dei legislatori. Di conseguenza, per gli alimenti destinati a lattanti e alla prima infanzia si adotta un limite estremamente basso per i residui di tutti gli antiparassitari (0,01 mg/kg). L’UE stabilisce anche che determinate sostanze non possono proprio essere utilizzate nei prodotti agricoli destinati alla produzione di questi alimenti. Tutto bene, quindi? Tutto bene se per l’alimentazione dei bambini si usano solo cibi industriali che, per etichettare un prodotto “per l’infanzia”, devono garantire la conformità alla normativa europea. I problemi iniziano se ai bambini si vuol grattugiare una mela, fare una pappa con prodotti freschi o realizzare in casa un omogeneizzato con il Bimby.
Gli ultimi dati ufficiali sui prodotti presenti sul mercato italiano, infatti, dicono che il 63.9% dei campioni di frutta, il 36.1% degli ortaggi, il 22.7% degli alimenti trasformati e il 24.1% dei prodotti di origine animale presentava residui oltre il limite di sicurezza. Si trattava di cibi che la legge considera idonei all’alimentazione di un adulto, ma che nessuna impresa potrebbe usare per i prodotti destinati all’infanzia. Per avere la ragionevole certezza di non dare ai bambini prodotti con residui di prodotti fitosanitari, non rimane che orientarsi su prodotti nei quali non sono utilizzati (produzione biologica) o in cui la particolare attenzione ai tempi di carenza consente di certificare una produzione a residuo zero.
La situazione è più tranquilla nelle mense che a livello domestico: i Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva e la fornitura di derrate alimentari impongono alle amministrazioni che gestiscono mense scolastiche una quota di almeno il 40% (in peso) di frutta, ortaggi, legumi, cereali, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farina, patate, polenta, trasformati del pomodoro, formaggio, latte UHT, yogurt, uova, olio extravergine provenienti da produzione biologica. Questi criteri sono stati adottati nel 2011 nell’ambito del Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (chiamato anche Piano d’azione nazionale sul Green Public Procurement).
Biologico dev’essere almeno il 15% in peso della carne, così come deve provenire da acquacoltura biologica (o da pesca sostenibile) almeno il 20% del pesce. Qui va detto che, in realtà, dato che nelle mense scolastiche il pesce comunemente allevato (trote, branzini, orata…) è scarsamente utilizzato, a favore del più economico pescato (merluzzo, nasello…), la quota da allevamento biologico è irrisoria. È poi da qualche tempo in attesa della firma del ministro Costa l’aggiornamento di questi Criteri, la cui bozza innalza al 50% la percentuale dell’ortofrutta e prevede che uova, latte e yogurt siano soltanto biologici.
A questo quadro si aggiunge il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, che per “promuovere il consumo di prodotti biologici e sostenibili per l’ambiente” istituisce il Fondo per le mense scolastiche biologiche, con una dotazione di 10 milioni di euro annui (ridotti a 5 milioni per quest’anno) a favore delle amministrazioni che dimostreranno di aver utilizzato prodotti biologici per:
- almeno il 70% di frutta, ortaggi, legumi, trasformati di origine vegetale, pane e prodotti da forno, pasta, riso, farine, cereali e derivati, olio extravergine;
- il 100% di uova, yogurt e succhi di frutta;
- almeno il 30% degli altri prodotti lattiero-caseari, della carne e del pesce da acquacoltura.
Le amministrazioni non possono utilizzare il contributo per la manutenzione stradale o l’illuminazione pubblica (e nemmeno per ripianare le morosità), ma solo per ridurre i costi a carico dei beneficiari del servizio mensa e per realizzare iniziative d’informazione e di promozione nelle scuole.
Per il bando 2018 la parte del leone è spettata ai comuni dell’Emilia Romagna, che con 5,9 milioni di pasti in regola con i requisiti del bando hanno incassato poco meno di 3,6 milioni di euro, seconda la Toscana (1,4 milioni di contributo), al terzo la Lombardia (1,3 milioni di euro). I comuni premiati si son visti in sostanza “restituire” 1,12 euro per ogni pasto e hanno potuto così ridurre l’importo del costo per l’anno seguente di una quota dal 15% al 20%: nei fatti, le famiglie si trovano a pagare un pasto interamente biologico (o comunque con una percentuale elevata) meno di un pasto con derrate convenzionali.
Tra sicurezza alimentare, obblighi di legge e premialità, la carne al fuoco è molta. Per questo il consorzio European Organic Partners ha organizzato il workshop Mensa in Bio – L’impatto sociale, sanitario e organizzativo, che si terrà venerdì 28 febbraio a Bologna, presso FICO. L’evento è rivolto in particolare a amministrazioni pubbliche, aziende sanitarie locali, comitati mensa, imprese del food service, tecnologi alimentari, dietisti, operatori della sanità, imprese e organi di informazione.
Il workshop si articolerà in alcuni incontri tematici tenuti da Roberto Pinton, Laura di Renzo, Massimo Giubilesi e Daniele Ara, seguiti dalle esperienze di alcune aziende del settore. La partecipazione è gratuita, ma, poiché i posti sono limitati, è necessaria la prenotazione entro il 24 febbraio scrivendo all’e-mail segreteriaorganizzativa@gruppoatomix.com.
Per scaricare il programma del workshop clicca qui.
© Riproduzione riservata
[sostieni]