tribunale

Le liti temerarie sono azioni legali promosse da aziende, multinazionali, ma anche da privati, con la consapevolezza di presentare ai giudici difese e memorie piene di argomentazioni infondate, con il preciso intento di intimidire. Lo scopo della lite temeraria non è sempre vincere la causa, ma avviare un procedimento giudiziario che comporta spese legali impossibili da sostenere per la controparte.  I processi durano anni, spesso non sono supportati da buoni motivi e si concludono sovente con una sconfitta dell’azienda o del politico di turno. Ma questo è poco importante: l’obiettivo vero è creare un danno significativo che lascia il segno.

Il problema è serio tanto che l’avvocato Caterina Malavenda di Milano ha pubblicato di recente un libro dal titolo molto esplicativo “E io ti querelo”, edito da Marsilio. Il volume descrive dieci processi che evidenziano il non facile rapporto tra informazione e potere.  Potere che, quando si sente disturbato dalla verità dei fatti, reagisce attraverso le vie processuali con processi deboli e richieste risarcitorie milionarie.

Le spese legali

Risarcimenti di tale entità possono spaventare, in particolare, i giornalisti o una Ong, chiamata in un giudizio risarcitorio, oppure oggetto di indagini da parte della Procura a seguito della presentazione di una querela di un’azienda o di una multinazionale.
Basta fare due conti per rendersene conto. Se l’azienda o la multinazionale lamenta danni di importo pari a 2 milioni di euro, anche senza una documentazione adeguata, l’avvio del procedimento comporta, nel nostro esempio, per il giornalista o l’Ong la nomina di un avvocato che, secondo il tariffario dell’ordine comporta una spesa di circa 40 mila euro. Se poi la causa va in appello l’importo aumenta. E in alcuni casi si arriva al terzo grado di giudizio in Cassazione. Si tratta di cifre insostenibili per un giornalista o una Ong, anche se ha ottime probabilità di vincere o di vedere archiviate le indagini. Diverso è il caso di un giornalista alle dipendenze di un grosso editore o dipendente Rai, che non deve accollarsi la parcella dell’avvocato.

Giustizia o intimidazione?

L’assurdo è che se alla fine del procedimento il giudice accerta l’inesistenza della diffamazione e dà ragione al giornalista o all’Ong, ma non riconosce il pagamento totale delle spese legali da parte dell’azienda, gli avvocati vanno pagati lo stesso. Con queste premesse il lavoro di denuncia e di inchiesta diventa molto difficoltoso. Una redazione ci pensa due volte prima di pubblicare un servizio o un documento supportato da fatti incontestabili, ma rivolto ad una azienda “che gradisce poco le critiche”, creando una seria limitazione alla liberà di espressione e/o all’esercizio dell’attività del giornalista. In altre parole, non c’è nulla che impedisca alle aziende di avviare un’azione legale lamentando danni milionari per mettere a tacere le voci scomode. Lo scopo non è vincere in tribunale, ma creare una forte pressione, impaurire l’interlocutore e coinvolgerlo in un procedimento giudiziario con risvolti finanziari difficili da sostenere.

Tema del diritto, mazza del giudice, scrivania in legno, libri, tribunale, sentenza antitrust

Una direttiva Europea

La Commissione europea ha approvato recentemente una Direttiva Europea (EU) 2024/1141 contro le liti temerarie o cause bavaglio. Si tratta della norma anti-SLAPP (Strategic Lawsuits Against Public Participation) ovvero di una direttiva sulla protezione delle persone attive nella partecipazione pubblica da domande manifestamente infondate o procedimenti giudiziari abusivi. La norma deve essere recepita entro il 2026 dagli stati membri e, comunque, si applicherà solo alle cause con carattere e rilievi transfrontalieri.
La Direttiva incoraggia fortemente gli Stati membri a estendere le stesse protezioni anche a cause in cui le parti e le attività si svolgono all’interno dello Stato. I giornalisti, in quanto individui, rimangono i bersagli più probabili di queste cause (35,2% dei casi), seguiti da testate giornalistiche, editori, attivisti e ong. Nella stragrande maggioranza dei casi, il bersaglio è un individuo anziché un’organizzazione. Nel 2023, l’Italia ha registrato un numero notevole di SLAPP (26 casi), insieme a Romania (15), Serbia (10) e Turchia (10).

Querelati per aver detto la verità

Il Fatto Alimentare in 15 anni ha subito diversi attacchi pretestuosi da parte di aziende. In sede giudiziaria non ha mai perso, ma abbiamo dovuto pagare gli avvocati quando il giudice non ha riconosciuto integralmente il rimborso delle spese. L’esempio più recente sono le cause avviate da San Benedetto nel 2022 . L’azienda dopo avere richiesto danni milionari (non documentati) per un articolo che raccontava fatti veri, ha collezionato tre bocciature in sede giudiziaria. Pur avendo vinto su tutto il fronte abbiamo dovuto sobbarcarci una parte considerevole delle spese legali che l redazione non è in grado di sostenere.
Le cause per diffamazione non sono una novità avendo collaborato come giornalista free lance per 6 anni al programma Rai Mi Manda Lubrano realizzando decine di test comparativi. Ricordo almeno tre aziende, di cui una multinazionale, che hanno citato in giudizio me e la Rai, chiedendo centinaia di milioni di lire di danni e un processo durato 15 anni. Ho sempre vinto ma senza la copertura legale della Rai avrei interrotto la mia carriera a metà degli anni 90.
Il problema è serio. Molte aziende non avviano una querela per diffamazione in sede penale per ottenere giustizia, ma scelgono subito la strada della diffamazione in sede civile per lamentare danni esagerati e costringere la controparte ad affrontare spese legali impossibili o a rinunciare al diritto costituzionale di fare informazione. Il rischio è che il giornalista, la redazione, la Ong smettano di fare inchieste scomode per evitare spiacevoli denunce da parte delle aziende più sensibili.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos.com

Giallone 03.07.2025 dona ora

pulsante donazione libera 2025

5 4 voti
Vota
Iscriviti
Notificami
guest

3 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Umberto
Umberto
4 Luglio 2025 15:24

Secondo me dovreste essere pure risarciti per il danno morale patito, speriamo arrivi una legge di questo tipo.

Osvaldo F
Osvaldo F
4 Luglio 2025 16:12

Buongiorno. Questa parte dell’articolo non mi torna: c’è forse un “anche” di troppo? Diversamente non riesco a capire il significato. Buon lavoro
ma abbiamo dovuto pagare gli avvocati anche quando il giudice non ha riconosciuto integralmente il rimborso delle spese

3
0
Ci piacerebbe sapere che ne pensi, lascia un commento.x