Dopo la relazione Zimmer sugli aiuti all’agricoltura dei Paesi in via di sviluppo e l’interrogazione Toia all’alto rappresentante UE per intervenire contro il land-grabbing in Etiopia, l’8 marzo il Parlamento europeo ha organizzato un’audizione pubblica sulla rapina delle terre. Un fenomeno rispetto al quale non si può restare indifferenti, bisogna agire.
Gli illustri relatori intervenuti a Bruxelles – Oliver de Schutter (Relatore speciale alle Nazioni Unite per il Diritto al Cibo), Renée Vellvé (rappresentante della Ong Grain, in prima linea nella denuncia di questi fenomeni, anche attraverso il sito www.farmlandgrab.org), Jim Harkness, (direttore dell’Istituto americano per l’agricoltura e le politiche commerciali), Shivani Caudri (attivista indiano per i diritti umani), Claire Schaffnit-Chatterjee (analista della Deutsche Bank) e Harald von Witzke (Professore della Humboldt University di Berlino) – hanno espresso un’opinione unanime: il land-grabbing è un tema cruciale e tuttavia purtroppo nè le istituzioni e i decisori politici, nè la stampa e l’opinione pubblica se ne sono ancora resi conto.
«Il fenomeno dell’accaparramento delle terre nei paesi poveri, da parte di grandi investitori e multinazionali, è all’ordine del giorno», ha spiegato l’eurodeputato scozzese Alyn Smith (Gruppo Verde/Alleanza libera europea), che ha presieduto l’incontro. «Si spiega con la brama di investimenti in un settore altamente redditizio [colture intensive di commodities agricole a uso bio-combustibile e alimentare, nda] e caratterizzato da un’alta volatilità dei prezzi e con l’ansia crescente di rimanere a corto di derrate. È facile quindi capire perché l’attenzione rimanga scarsa e anzi queste operazioni vengano incoraggiate, nei paesi ricchi e in quelli emergenti.»
Ma che cosa ci si ostina a tener lontano dai nostri riflettori? «Quello che non consideriamo – ha aggiunto Smith – è che i raccolti delle coltivazioni intensive, nel garantire a noi gli approvvigionamenti e a chi pilota tali operazioni, dei rendimenti di tutto rispetto, sono spesso il frutto di violenze a danno delle popolazioni locali, a cui i terreni vengono spesso strappati con la forza attraverso il beneplacito dei governi locali, se non dall’esercito stesso. Senza alcuna compensazione nè beneficio, tantomeno alimentare».
Quali margini di intervento può avere l’Europa su fenomeni realizzati altrove, spesso da operatori di Paesi terzi? La soluzione richiamata da Alyn Smith è sotto gli occhi di noi tutti: bisogna inserire clausole di salvaguardia dei diritti umani in tutti gli accordi bilaterali che l’UE stipuli e rinnovi coi Paesi terzi. Tali diritti devono venire rispettati non solo nei territori degli Stati contraenti, ma anche da parte di cittadini e imprese di quei Paesi al di fuori dei rispettivi territori. È il caso dell’India ad esempio, i cui gruppi finanziari e industriali sono noti per le loro scorribande in Africa centrale.
Le recenti linee guida FAO per la gestione responsabile delle terre, riserve idriche e foreste (il cui testo finale è stato definito dal Committee on World Food Security il 9 marzo) costituiscono un ottimo punto di partenza, per la lotta al land-grabbing. L’adesione a questi principi dovrebbe anche venire imposta quale condizione per le donazioni UE ai Paesi in via di sviluppo (Un esempio su tutti, l’Etiopia). Ricordando che, sino a quando i governi di queste nazioni non saranno disposti ad accettare e garantire il rispetto dei sacrosanti diritti dei loro cittadini, si potrà comunque offrire aiuto alle loro popolazioni mediante supporto alle Ong internazionali che operano in loco. Con la sostanziale differenza di non offrire supporto a governi non disposti a mettere fine al land-grabbing.
Eppure, molti governi dei Paesi in via di sviluppo adducono che i grandi investimenti in agricoltura sono essenziali per la loro crescita. Non esistono alternative per rilanciare le produzioni agricole?
«Il messaggio che va portato avanti – ha spiegato Olivier de Schutter – è che esiste un’altra via per sviluppare l’agricoltura nei Paesi in via di sviluppo, senza ricorrere al land-grabbing. Bisogna applicare un modello di sviluppo partecipativo, che possa apportare beneficio diretto alle comunità agricole locali mediante trasferimento di know-how e tecnologie appropriate per affrontare le difficoltà legate all’aridità dei suolo, alle scarse piogge e alla desertificazione in atto.»
Dario Dongo, con la collaborazione di Paolo Patruno
Articolo certamente interessante, ma non pensate che l’intervento più efficace a livello europeo sarebbe una semplice revisione della politica energetica di modo da togliere l’incentivo alla produzione di agrocarburante in paesi terzi. In un sol colpo, l’UE ha falsato il mercato (ponendo minimi quantitativi vincolanti) e ha aperto la strada alla commissione di violazioni ambientali e dei diritti umani. Per non parlare della politica All but Oil, che incentiva l’importazione di materie prime tra cui la soja per alimentare i milioni di animali che ci sfamano ogni giorno in tutta Europa. Ma, certo, saremmo pronti ad avere la benzina a 5 euro al litro o rivedere le nostre abitudini alimentari? Invece di cercare di curare i sintomi, converebbe iniziare a guardare alle cause del land grabbing. Tomaso
Parole sante caro Tommaso.
Per iniziare ci accontenteremmo tuttavia di diffondere l’effettiva applicazione del ‘Committee on World Food Security’ della FAO, per interrompere i sintomi che coincidono com gravi violazioni dei diritti umani nei Paesi in Via di Sviluppo