Un cinese mangia carne di maiale e in Brasile un albero cade, per far posto a una nuova piantagione di soia che deve nutrire quel maiale e, di conseguenza, quel cinese. Si potrebbe riassumere così, parafrasando la nota metafora del cosiddetto effetto-farfalla, secondo cui se una farfalla batte le ali a Pechino a New York arriva un uragano, il senso di un articolo pubblicato su Nature Food da un team internazionale di ricercatori coordinati da esperti di diverse discipline del Politecnico di Milano.
Il lavoro mette in relazione diretta l’aumento costante della richiesta di proteine animali – per lo più pollo, maiale e pesce da acquacoltura – proveniente dalla Cina con lo sfruttamento sempre più intensivo delle risorse del Sud America e, in particolare, del Brasile. È lì infatti che si concentra da anni la produzione estensiva di soia che finisce per lo più dall’altra parte del mondo, a nutrire animali da carne che a loro volta entreranno nella dieta di oltre un miliardo di persone.
Una crescita devastante
Per capire l’entità del fenomeno si deve partire dalle importazioni di soia in Cina: sono passate dai circa sei milioni di tonnellate del 2004 ai sessanta del 2020, con un picco di 68 nel 2018. Si tratta quindi di una crescita di un fattore dieci. Nel 2020, coltivare tutta quella soia ha significato utilizzare 17,8 milioni di ettari di terreni, sfruttare più di 86 chilometri cubi di acqua piovana oltre a 0,29 km³ di acqua da irrigazione. Quella soia, poi, è servita per fornire il 10% delle proteine destinate agli esseri umani e il 24-29% di quelle necessarie per allevare gli animali da carne.

Nello studio sono riportati quattro tipi di grafici (vedi sotto) relativi al Brasile, alla Cina e agli altri paesi e riguardanti la produzione di soia in relazione al consumo generale di materia prima, a quello di suolo, a quello di acqua e all’esposizione alla deforestazione tra il 2004 e il 2020. In tutte le voci, come ci si sarebbe potuto aspettare, il consumo della Cina è nettamente superiore a quello del Brasile. Il che significa, però, che il Brasile sfrutta le proprie risorse molto più per poter vendere soia alla Cina che non per soddisfare la domanda interna.
Il problema dell’acqua
Una di esse, poi, l’acqua, è particolarmente critica, perché il paese sudamericano è relativamente arido, nonostante le foreste umide. La deforestazione, lo sfruttamento dei terreni e in generale delle risorse si ripercuote in modo particolarmente nocivo sulla disponibilità di acqua, che subisce ulteriori pressioni. E questo, a sua volta, incide sul ciclo globale dell’acqua, perché tutto il sistema mondiale della produzione di cibo è interconnesso. In pratica il Brasile, esportando soia, è come se esportasse parte della sua preziosa acqua.

Il ruolo della Moratoria sulla soia
Nel 2006 è stata lanciata la Moratoria sulla soia, un accordo internazionale non vincolante per porre fine alla deforestazione dell’Amazzonia motivata appunto dall’ampliamento delle colture di soia. La moratoria è stata rinnovata a tempo indeterminato nel 2016, ma l’adesione del paese più interessato, il Brasile, è stata prima sospesa la scorsa estate, poi riattivata fino a dicembre 2025.
L’accordo è sotto attacco anche se, pur non ponendo fine alla deforestazione, l’ha di sicuro rallentata. Per questo tutte le associazioni ambientaliste e moltissimi scienziati si sono mobilitati per mantenere in vita la moratoria e anzi, rafforzarla. Secondo gli autori, essa rappresenta un buon esempio di gestione delle risorse associate alla produzione di cibo, che dovrà essere sempre più multidisciplinare e transnazionale, perché nessuna scelta relativa al cibo e al sistema agricolo può più essere considerata solo a livello locale o nazionale.

La moratoria del regolamento europeo contro la deforestazione
Va letta in questo modo anche la moratoria dello European Union Deforestation Regulation (EUDR) appena varata dopo mesi di discussioni molto accese. Il testo, com’è noto, è finalizzato a obbligare i produttori a certificare la sostenibilità delle materie prime e, nello specifico, il fatto che non provengano da deforestazione. Tuttavia, nella sua prima formulazione, non distingueva tra produttori grandi o planetari e piccoli o piccolissimi, che risultavano essere i più penalizzati.
Non sarebbe stato nelle capacità economiche di un piccolo commerciante per esempio brasiliano il fatto di fornire una certificazione internazionale sulla provenienza della sua soia entro la prima metà 2026, come previsto. Ora, come riportato anche dal sito Food Navigator, se le modifiche saranno definitivamente approvate, il piccolo produttore avrà tempo fino alla fine del 2026 per adeguarsi, ma dovrà comunque farlo. La moratoria non vale invece per i grandi produttori, che entro la fine di quest’anno dovranno essere in regola, così come non vale per i dettaglianti.
Le certificazioni dovranno essere relative alla filiera del prodotto nel suo insieme al momento del suo ingresso nel mercato europeo, e chi fa arrivare quel prodotto sarà poi responsabile del rispetto delle regole previste. Si tenta così di arginare la deforestazione con un approccio che prescinde dai singoli paesi e che, attraverso la deforestazione, intende limitare il consumo sconsiderato di risorse in tutto il mondo.
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Giornalista scientifica



Per la Soia tra i quali transgenica,si è devestato prima il Cerrado,con la sua desertificazione e contaminazione di ogni falda e nuove schiavitù,dopo si è tentato con la soia moratoratum di arginare gli allevamenti intensivi di ogni tipo di animale in Amazzonia che ancora adesso ogni giorno perde ettari di terreno, mentre si sta concludendo la Cop 30, l’Amazzonia si sta trasformando ormai in una savana, se i ritmi di deforestazione continueranno non sarà più capace di assorbire il carbonio che emittiamo ogni giorno a tonnellate nell’atmosfera,per la soia che viene coltivata da disperati che gli hanno tolto il loro habitat, la loro terra, la loro casa che era la foresta, si riversano come fiumi di persone in città nate per caso, da holding e multinazionali che hanno fatto una catastrofe, non avendo altra possibilità di sostentamento, i garimpo ,sono loro, i nuovi schiavi di chi detiene un patrimonio dell’umanità come suo profitto, inoltre il governo brasiliano è imponente davanti ai stessi allevatori come la JBS la più potente industria del mondo della carne, mentre si continua a rubare terre per la soia , che nessuno mangia in Brasile,pesticidi proibiti, acque avvelenate mentre il Dragone si ingrassa con il più infame ricatto che possa esistere, hai fame, io ti do lavoro, ma la tua terra è mia con ciò che produce,se vi va è così, se non vi va comandiamo noi dato che l’abbiamo comperata,se viviamo in un mondo che è messo all’asta al miglior offerente che futuro ci rimane,questo è il grande problema.