Gli insetti, la cui vendita a fini alimentari è permessa in Europa da più di un anno e mezzo, rappresentano una fonte alternativa di proteine, fibre e sali minerali rispetto alla carne, e per questo vengono considerati una delle possibili risposte al problema dell’allevamento intensivo. Ora però uno studio italiano, condotto da Mauro Serafini dell’Università di Teramo e pubblicato su Frontiers in Nutrition, aggiunge un ulteriore elemento a favore: alcuni di essi sono anche ricchissimi di antiossidanti. E potrebbero rivelare molte sorprese, visto che la maggior parte di essi non è ancora nota.
I ricercatori della Facoltà di Bioscienze e tecnologie per l’agricoltura, il cibo e l’ambiente hanno sottoposto 12 insetti e due invertebrati edibili (un aracnide e uno scorpione) commercialmente disponibili, candidati quindi a entrare a far parte della dieta, a una serie di test specifici per verificare il potere antiossidante tanto della frazione idrosolubile quanto di quella liposolubile.
Gli scienziati hanno così visto che, per quanto riguarda la parte solubile in acqua, le cavallette, i bachi da seta e i grilli sono letteralmente pieni di antiossidanti, al punto che l’estratto acquoso presenta una capacità antiossidante cinque volte superiore a quella del succo di arancia fresco. Al contrario le cicale, le tarantole tailandesi, gli scorpioni neri e le cimici d’acqua giganti ne hanno quantità trascurabili. Quanto ai polifenoli, le specie più ricche sono ancora le cavallette, le formiche e le larve della tarma della farina; in generale, le specie che si nutrono di vegetali sono quelle che producono più molecole antiossidanti.
Anche nella frazione grassa vi sono sostanze antiossidanti preziose e lo si vede bene se la si confronta con l’olio d’oliva: bachi da seta, cicale e bruchi africani hanno grassi benefici in concentrazioni doppie rispetto a esso, mentre formiche nere, tarantole e vermi delle palme ne hanno pochissimi.
C’è ancora molto lavoro da fare, perché la maggior parte delle molecole antiossidanti non sono state ancora identificate e potrebbero essere diverse da quelle più note. Ciò non significa solo che è necessario scoprire la loro biodisponbilità dopo l’ingestione da parte dell’uomo, ma anche che si potrebbero trovare nuove sostanze a elevato valore nutrizionale. Inoltre bisognerà conoscere bene ogni singola specie di insetti, perché le caratteristiche nutrizionali possono essere, come visto, molto diverse.
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Giornalista scientifica
Spero sia vero che hanno ancora tanta volonta’ di approfondire gli studi per cercare di capire cosa c’è di buono ma anche se c’è qualcosa di antinutriente e/o pericoloso per la salute in relazione al loro ,diciamo , stile di vita e all’ambiente piu’ o meno inquinato in cui vivono.
E’ vero che da tanto tempo svariate popolazioni umane se ne nutrono , ed è pure vero che la fame è una cosa tremendamente seria che aiuta a superare certe diffidenze e pregiudizi ma alla prova dei fatti dopo la naturale curiosita’ per le cose nuove non sono affatto convinto di voler inseguire gli insetti non per mettergli un insetticida sulla coda ma per metterli in tegame.
Credo che continuero’ a preferire le verdure e a competere con gli insetti per il cibo piuttosto che trasformarli in cibo.
Sarà, ma fra mangiare n’arancia o un kiwi e un povero grillo ancora preferisco la prima ipotesi. Poi mi risulta che la carica batterica anche non banale sugli insetti qualche preoccupazione dovrebbe dare e se tratto col calore per bonificare addio vitamine termolabili.
In realtà avevo letto che gli insetti destinati ad alimentazione umana sarebbero allevati diversamente. Sinceramente credo che la prova a nutrirsi di questi insetti la lascio fare agli altri.
Qui trova un articolo con un approfondimento sull’allevamento degli insetti commestibili: https://ilfattoalimentare.it/insetti-grilli-allevamento-thailandia.html