La commissione europea vuole costringerci a dichiarare attraverso le tabelle con le informazioni nutrizionali le percentuali di grasso, proteine, ecc contenute nei nostri latticini, pane e salumi. Iniziativa che di per sé non sarebbe neanche riprovevole… se non per la sua obbligatorietà e, soprattutto, per la sua assurdità! Mi spiego meglio: le tabelle nutrizionali forniscono un ulteriore strumento al consumatore finale per poter scegliere quale alimento acquistare. Il produttore paga, per esempio, un laboratorio zoo profilattico (181,54€ + iva a prodotto!!), che analizza il prodotto richiesto e consegna una tabella nutrizionale completa.
Piccolo problema: chi, come noi lavora a latte crudo con metodi artigianali e mandando gli animali al pascolo, ha un tenore in grassi e proteine completamente diverso da una settimana all’altra! Questo discorso, come ben sapete, vale sia per i latticini che per i salumi, il cui grasso cambia a seconda della stagione e quindi dell’alimentazione. Un maiale macellato a novembre si è nutrito, oltre che con il nostro mangime, anche di castagne e ghiande, cosa che il maiale macellato a maggio non potrà fare. Quest’ultimo infatti si sarà nutrito di abbondante erba fresca e quindi le percentuali di grasso accumulato saranno molto diverse! Idem per le capre: a febbraio c’è un latte completamente diverso da quello che lavori ad agosto, eccetera, sia per motivi fisiologici (parto, calori, asciutta ….) che per le essenze che trovano nei pascoli a seconda del mese. Ma il burocrate di Bruxelles questo non lo sa o fa finta di non saperlo.
Dove voglio arrivare: questo regolamento è stato ideato, coscientemente o meno, per le grandi aziende alimentari che lavorano con prodotti “standardizzati” e ha come risultato finale quello di escludere dal mercato chi lavora come noi!! Infatti, chi alleva in modo totalmente artificiale non avrà nessun problema ad avere una tabella nutrizionale più o meno costante durante l’anno. Noi, invece, potremmo incorrere in sanzioni pesanti se la tabella non rispecchia la realtà. E questo non potremmo assolutamente farlo, se non rifacendo in continuazione le analisi.
Per questo voglio invitare tutti a firmare la petizione su Change.org: “Nutritional labelling is not adapted to farmhouse and artisan cheese and dairy products!” (testo presente anche in italiano).
Fausto
Risponde l’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare.
La dichiarazione nutrizionale – come abbiamo scritto in varie occasioni, da ultimo a seguito della pubblicazione di apposita circolare ministeriale – non si applica ai prodotti realizzati da microimprese e venduti a “livello locale” (da intendersi con ampia flessibilità, entro il limite non ammesso dell’ambito nazionale).
I valori da indicare in tabella (vedi articolo) possono derivare dai rapporti delle analisi di laboratorio sui campioni di prodotto ma anche, in alternativa, da calcoli eseguito sulla base di dati “generalmente stabiliti e accettati”.
In ogni caso, la Commissione europea così come il Ministero della Salute hanno definito ampi criteri di tolleranza sui valori nutrizionali dichiarati, tenuto debito conto delle pur significative variazioni che si possono riscontrare sulle materie prime in ragione della stagionalità e/o dei luoghi di coltivazione e allevamento.
Di conseguenza, le condivisibili esigenze esposte nella petizione trovano già conforto nelle esenzioni e tolleranze sopra richiamate. Piuttosto, come abbiamo riportato in precedente articolo, sarebbe utile da parte del Ministero dello Sviluppo Economico un chiarimento, in merito all’esenzione delle micro-imprese dall’obbligo di dichiarazione nutrizionale anche laddove i prodotti siano venduti a distanza, ad esempio tramite e-commerce.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
Molte di queste imprese artigiane ormai vendono tramite gruppi di acquisto solidale e internet, credo sia questo il problema….
Pascoli e allevamenti ovini: la superstite bellezza paesaggistica e zootecnia sostenibile della collina interna italiana. Che si protegga e sostenga con tutte le forze!
Non sarebbe sufficiente fare due analisi, una primaverile e una autunnale, e tenere quelli come valori di riferimento a seconda del periodo di macellazione?