L’articolo di Paolo Berizzi pubblicato il 3 settembre sul quotidiano la Repubblica è inquietante. Un consumatore con scarse conoscenze in materia dopo avere letto il testo, apre la dispensa di casa e ha la sensazione di  essere accerchiato da scatole di pomodoro cinese, pasta greca, mozzarella tedesca, prosciutto olandese, latte polacco…. Il quadro descritto da Berizzi è furbescamente drammatico, perché le storie sulla pasta, sui formaggi, sul prosciutto sono raccontate miscelando verità e falsi miti, dimenticando volutamente particolari molto importanti. E furbesco affiancare le attività criminose – come la contraffazione del Parmigiano reggiano e del Brunello di Montalcino e di altri cibi – con l’abitudine di molte aziende di utilizzare materie prime di provenienza straniera. E’ furbesco dire che gli stranieri hanno invaso l’Italia quando da sempre gli italiani importano grano, caffé, latte, carne per produrre molti prodotti locali. Berizzi forse non sa che senza grano Manitoba  americano o canadese non si fa il Panettone.  L’altro elemento negativo è il tono generale per cui il lettore è facilmente indotto a pensare che i prodotti importati dall’estero sono di qualità inferiore rispetto a quelli italiani. Non è vero, e comunque non si può e non si deve generalizzare. In commercio ci sono prodotti Dop, Doc e Igp  che rappresentano l’eccellenza alimentare dei vari paesi europei, e non certo casualmente l’Italia insieme a Francia e Spagna è il paese con il maggior numero.  La legge solo per questi prodotti prevede il rispetto di disciplinari di produzione, che in alcuni casi prevedono l’impiego di materia prima locale (se la mozzarella di bufala Campana deve usare solo latte locale, la bresaola della Valtellina utilizza da decenni carne argentina). Vorrei sapere con quale criterio si può dire che  la mozzarella di bufala Campana made in italy è buona mentre la bresaola della Valtellina non lo è?

 Berizzi dice che 2 prosciutti su 3 sono venduti come italiani ma provengono da maiali allevati all’estero e cita l’episodio di 15 mila cosce di maiale provenienti da Olanda, Danimarca e Germania  destinate a diventare prosciutti italiani. Il problema caro Berizzi è capire come sono allevati i maiali e non sapere da dove vengono. Se in Olanda, Danimarca e  Germania  allevano bene i maiali e la carne risulta adatta per diventare prosciutto crudo di ottima qualità che problema c’è? L’industriale italiano che compra cosce di maiale di buona qualità  in Italia e all’estero per farle stagionare e  le rivende in tutto il mondo come prosciutto dolce e saporito inganna qualcuno? Se queste cosce sono italiane bene, ma se sono di altri paesi qual è il problema? Certo sulle etichette si potrebbe anche scrivere che i maiali sono tedeschi o olandesi, ma non sarebbe certo questo l’elemento che fa la differenza.  La qualità dei prodotti non può essere una prerogativa collegata solo all’origine. L’origine non è una garanzia di qualità ma solo un buon requisito.

Il caffé Illy, famoso in tutto il mondo per la qualità della miscela, non è certo coltivato in Italia, ma proviene da tutto il mondo. Il segreto non è l’origine  ma la capacità di selezionare e tostare con intelligenza i chicchi.

La storia della pasta raccontata da Berizzi è molto fantasiosa e dimostra una buona dose di ignoranza. Si dice che un terzo della pasta italiana è fatta con grano importato lasciando intendere che si tratta di materia prima di scarsa qualità.  Non è così dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Venezuela e da altri paesi arriva grano di ottima qualità per fare la pasta che viene confezionata e venduta in tutto  il mondo. Senza questo grano non ci sarebbe così tanta pasta italiana di qualità nel mondo. Certo dall’estero si può importare anche semola di mediocre qualità, ma la semola non proprio eccellente si trova anche in Italia. In ogni casa a Gragnano, paese campano ritenuto il simbolo della pasta, esistono immagini datate 1782 che riproducono navi cariche di grano in arrivo dalla Crimea. Sulla questione del pomodoro cinese le idee di Berizzi sono confuse. E’ vero che le importazioni di concentrato di pomodoro cinese aumentano progressivamente, ma questo accade perché il pomodoro cinese viene lavorato da aziende italiane che  confezionano barattoli venduti quasi totalmente all’estero.

 In ogni caso leggendo l’articolo si capisce che Berizzi va poco al supermercato, e quando ci va legge in modo distratto le etichette. Basterebbe guardare le confezioni per rendersi  conto che non solo sulle etichette di carne bovina, pesci, ortofrutticoli freschi, uova, e miele è indicata l’origine della materia prima. In tutti i latticini è possibile individuare lo stabilimento di produzione e un numero sempre maggiore di produttori indica con evidenza volontariamente  l’origine della materia prima. L’Unione europea non vieta di scrivere “made in italy” sull’etichetta, per questo i produttori di latte fresco lo fanno da anni! Per quanto riguarda la frutta, basta guardare l‘etichetta per capire se la mela arriva dal Cile o dall’Argentina o dalla Sicilia. Dov’è l‘inganno?

   Sulla questione della mozzarella Berizzi – come ha fatto  per mesi Coldiretti – cerca di confondere le idee, lasciando credere che il famoso formaggio a pasta filata sia un prodotto esclusivo italiano, lasciando credere che la mozzarella di altri paesi è di qualità inferiore. In realtà la mozzarella si può produrre in tutti i paesi e ai consumatori interessa la qualità del prodotto e forse anche l’origine del latte.  Berizzi dovrebbe spiegare ai lettori che per capire la qualità della mozzarella occorre decodificare l’elenco degli ingredienti e non cercare l’origine. L’accostamento “mozzarella blu = mozzarella tedesca = mozzarella scadente” per colpevolizzare il prodotto straniero è privo di significato. L’incidente capitato ai tedeschi si è verificato lo stesso problema in un’azienda italiana! Berizzi non ricorda il vergognoso episodio della mozzarella Dop di bufala campana alla diossina di qualche anno fa?  La vicenda creò seri problemi, mise in ridicolo l’Italia e i suoi organi di controllo e bloccò per settimane l’intero settore. Non certo un caso che  Oscar Farinetti  di Eataly nello stesso articolo  prende le distanze dalle posizioni di chi propone barriere doganali ai prodotti di qualità!
Per concludere bisogna citare la questione dell’olio extra vergine di oliva che non rientra nelle  Dop. Da un po’ di tempo  molte aziende commercializzano bottiglie di olio extra vergine italiano al 100% e lo indicano con evidenza  in etichetta. Queste bottiglie in genere non ottengono giudizi eccellenti nelle prove organolettiche. I migliori oli ( escluso i Dop ) sono ottenuti da miscele di oli italiani e stranieri e l’abilità sta nel miscelarli bene proprio come fa Illy con il caffé non di imbottigliare 100% olio italiano. Berizzi però direbbe che le aziende stanno imbrogliando i consumatori perché l’olio extra vergine è una prerogativa italiana !
Certo anche io preferisco la frutta nazionale locale, il pesce  azzurro e il latte locale, ma non mi pongo certo problemi se l’olio extra vergine è anche greco, se la pasta contiene grano canadese, se la mozzarella è fatta in Germania o in Italia. La questione è un’altra, mi piace la mozzarella buona, la pasta buona, lolio saporito e il prosciutto dolce…… Questo comunque è solo un aspetto della qualità, poi bisogna considerare la distanza dal luogo di produzione, la questione ambientale ed energetica, il packaging  ecc. ma questo è un altro discorso .
 Roberto La Pira