Sebbene abbiamo la fortuna di vivere in un Paese dove è ancora possibile aprire il rubinetto per riuscire a dissetarci, “vantiamo” il primato mondiale di consumo di acqua minerale in bottiglia; sebbene le campagne pubblicitarie cerchino di trasmettere il messaggio che l’acqua più pura non sia quella del sindaco, secondo una ricerca dell’Irsa (Istituto di ricerca sulle acque) l’Italia si posiziona al quinto posto in Europa per qualità dell’acqua di acquedotto; sebbene si tratti di un diritto essenziale per la vita umana, sempre più spesso si considera l’acqua come un bene di lusso. Un esempio di questa tendenza? L’idrosommelier, una figura professionale certificata e specializzata nel consigliare il tipo di acqua più adatta per accompagnare pietanze o vini.
Sul sito internet di Martin Riese, forse il più famoso e premiato sommelier dell’acqua al mondo, è possibile consultare la sua carta dell’acqua, una sorta di menu dove al posto di vini o piatti sono elencate ventiquattro tipologie di bottiglie di diverse regioni del mondo che si differenziano in base al gusto. Quello che gli idrosommelier sottolineano è, infatti, il fatto che ogni acqua abbia delle caratteristiche uniche e inimitabili che dipendono dal luogo da cui proviene e si misurano in base al residuo fisso, cioè il livello di minerali presenti all’interno della bevanda. Il grado di TDS (solidi totali disciolti, ossia residuo fisso) può variare da meno di 50 mg/l per le acque minimamente mineralizzate a più di 1500 mg/l per quelle ricche di sali, percentuale che ne determina il sapore.
Consultando la carta, salta subito agli occhi la presenza di citazioni tra il filosofico e l’esistenzialista che ricordano il valore imprescindibile nonché inestimabile di questo elemento. Le parole di Lao Tzu e Leonardo da Vinci danno il via alla sfilata delle bottiglie presentate con una descrizione dettagliata del prodotto, i dati di riferimento e l’immagine del packaging. È sufficiente un veloce sguardo per rendersi conto che quelle proposte sono bevande capaci di soddisfare palati molto fini: da una media di 10 dollari per 750 ml si arriva ai 150 dollari della norvegese Svalbardi. Riconoscere l’acqua come un prodotto di consumo destinato a una clientela abbiente non meraviglierebbe tanto se la strategia di marketing utilizzata fosse quella dello sfarzo e del lusso, invece di una retorica volta a ricordare il valore di questa preziosa risorsa. Un paradosso, quest’ultimo, che trova la sua massima manifestazione nel fatto che il sito di Riese pubblicizza Viva con Agua, un’organizzazione no-profit di Amburgo che ha l’obiettivo di migliorare l’approvvigionamento di acqua potabile nei paesi in via di sviluppo.
Martin Riese è l’idrosommelier di un famoso locale di West Hollywood, ma non serve arrivare fino a Los Angeles per assistere a questa moda. Nel gennaio del 2002 è nata a Bologna l’Adam, l’Associazione degustatori acque minerali fondata da cultori della buona cucina, supportati da uno staff di specialisti tra cui chimici, medici e nutrizionisti. Con l’intento di valorizzare il ruolo delle acque minerali come parte integrante dell’alimentazione e di favorire la conoscenza intorno a questa risorsa, l’associazione organizza un corso di formazione il cui percorso si sviluppa in tre livelli. Prendendo le distanze dalla superficialità con cui al ristorante normalmente è possibile esprimere solo la preferenza tra “gassata” e “naturale”, anche l’Adam ha creato una sua carta dell’acqua che ha come obiettivo consigliare il giusto abbinamento tra piatto e acqua, esattamente come avviene per il vino.
L’accostamento acqua-vino sta alla base di un progetto lanciato da Acqua Filette per dare all’acqua la stessa dignità che il mercato riserva al vino o allo champagne. Alla base di “Water like Wine” c’è la certezza che l’acqua sia destinata a compiere lo stesso percorso evolutivo del vino, un’idea che inevitabilmente identifica l’acqua come un prodotto di consumo il cui accesso si discosta dal suo essere un diritto fondamentale, inalienabile e comune. Anche in questo caso si assiste a una strana sovrapposizione tra valore inestimabile della risorsa e potenziale guadagno della stessa. Come si legge dal sito di Filette, l’acqua viene descritta come il bene più prezioso dell’uomo, così prezioso che sembra diventare sempre più velocemente un bene di lusso. La cultura di conoscenza e di consapevolezza della bevanda nasconde infatti un business estremamente redditizio con grandi margini di guadagno considerando le cifre irrisorie che le aziende pagano per le concessioni di prelievo.
Per capire che non è possibile definire l’acqua semplicemente come una sostanza inodore, insapore e incolore non serve la sensibilità di un idrosommelier, ma è sufficiente aver bevuto dal rubinetto di differenti città. Probabilmente aprire la bottiglia di design Armani – l’acqua di lusso nata dalla collaborazione tra Giorgio Armani e Solé – restituisce una sensazione di maggiore purezza rispetto al sorseggiare un bicchiere d’acqua del sindaco. Sensazione suscitata anche da un packaging estremamente lineare e pulito. Consultare una carta dell’acqua potrebbe restituire l’idea di trovarsi in un ristorante che riconosce nella qualità la sua caratteristica migliore, senza soffermarsi però sul fatto che la tendenza all’estero è quella di far trovare al tavolo una brocca d’acqua dal rubinetto.
Paragonare l’acqua al vino e allo champagne potrebbe sembrare un tentativo di valorizzare tale bevanda se non si considera il fatto che i primi due prodotti non sono essenziali per la vita umana. Presentare la professione dell’assaggiatore d’acqua come il mestiere che restituisce dignità alla sostanza più importante per le persone può risultare una strategia marketing pericolosa se si prevede un futuro dove l’acqua sarà causa di guerre, dove lo smaltimento di bottiglie di plastica rischia di diventare un problema con difficile soluzione, dove un terzo della popolazione mondiale non ha accesso all’acqua potabile e sicura.
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[sostieni]
Pensare al sommelier dell’acqua mi farebbe solo ridere non fosse che nel mondo ci sono miliardi di persone che non hanno accesso ad acqua potabile, e pensare che ci sia gente che invece può buttare 150 euro per una bottiglia… Sono costretto a non scrivere ciò che penso davvero, non potreste pubblicarlo…
Concordo in pieno con il commento del sig.Osvaldo , ma d’altra parte l’immenso e quasi misconosciuto valore dell’acqua muove la fantasia di “artisti” , affaristi e curiosi.
Riguardo alle infinite differenze di sapore questa caratteristica deriva dal fatto che l’acqua è il più grande solvente naturale , ogni sostanza che entra in contatto lascia delle tracce , la famosa “memoria” dell’acqua a cui si rifanno alcune scuole terapeutiche.
Acque di rubinetti o fonti diverse hanno sapori differenti perché contengono sostanze diverse non perché ricordano cosa hanno contenuto. La memoria dell’acqua non esiste.
Partendo da un fatto assodato sperimentalmente, e cioè che sommelier quotatissimi non sono stati in grado di riconoscere il Tavernello quando presentato loro sotto le false spoglie di un’etichetta di pregio, anzi lo hanno sperticatamente lodato con tutto il contorno di bouquet di violarancia del Senegal e retrogusto di tabacco Virginia extraforte tostato col legno di cedro, anche solo pensare che possano esiste sommelier per l’acqua va oltre il ridicolo.
Quando poi chiamano in ballo il residuo fisso, che nelle acque oligominerali è sempre a livelli infimi, quasi omeopatici, e comunque totalmente indistinguibile al gusto, entriamo nel regno del surreale.
Potrebbe forse avere un peso il pH differente, ma anche in questo caso solo un controllo in doppio cieco potrebbe chiarire se veramente i cosiddetti sommelier sono ingrado di cogliere delle differenze così sottili come quelle all’internoi delle tolleranze di legge.
Certo esistono acque fortemente connotate da un proprio gusto caratteristico, come Sangemini e Ferrarelle ad esempio, che possono piacere oppure no e hanno sostenitori e detrattori, e acque talmente gassate, come la Perrier, da distinguersi facilmente anche dai profani, almeno appena stappate, ma questo non richiede certo una competenza specifica, solo un normale senso del gusto.
Le superacque che richiedono un sommelier per essere correttamente consumate (e pagate al prezzo di un cognac stravecchio) sono semplicemente una nuova moda tra tante, acquariani, fruttariani paleo e chi più ne ha più ne inventi, tutte impegnatissime a inventarsi una giustificazione scientifica (!) alle proprie fisime pur di fare proseliti e vendersi a prezzo sempre più caro.
Mauro
E’ confortante trovare tante persone intelligenti con cui condividere l’opinione e il respingere il tentativo di essere presi in giro da qualcuno che intende lucrare sulle false impressioni e trasmetterle ad altre persone credulone..
L’acqua non ha memoria astratta come l’uomo , ma ha memoria concreta perché conserva traccia di sostanze disciolte in essa nel tempo magari anche solo di poche molecole , un pò come una persona smemorata che si riempie le tasche di pizzini.
Per fortuna l’acqua non ha alcuna memoria di alcun tipo, o si ricorderebbe dei miliardi di tonnellate di escrementi e scarti industriali che ci finiscono dentro in continuazione da sempre, rassicurati.
Eccetto ovviamente quella inquinata, e allora rischiamo di ricordarcene anche noi se la beviamo.