La Grecia ha deciso: dal 1 settembre i supermercati possono esporre e vendere a metà prezzo, o meno, alimenti che hanno superato da poco tempo il termine minimo di conservazione (Tmc) riportato in etichetta. La norma dovrebbe favorire i cittadini con grosse difficoltà economiche. La notizia è stata ripresa da molti giornali con toni eccitati, creando un certo sbigottimento. Il Corriere della sera due giorni fa titolava “Grecia, i supermercati vendono prodotti scaduti per battere la crisi”, Il sole 24 ore “In Grecia prodotti scaduti pur di vendere”, Il fatto quotidiano “Grecia cibi scaduti, Europa pure”, Euractiv “La Grecia autorizza la vendita di cibi scaduti”. Come spesso accade siamo di fronte a un allarmismo ingiustificato, vediamo perchè.
Il provvedimento greco non riguarda prodotti rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico (riconoscibili perchè riportano sull’etichetta una data di scadenza tassativa, e la frase “da consumarsi entro il …” seguita dal giorno e dal mese) come ad esempio: latte e formaggi freschi, uova, insalata in busta, yogurt, ricotta, carne e salumi confezionati (*)…
La decisione interessa solo cibi che sull’etichetta riportano il “termine minimo di conservazione” (Tmc), ovvero un’indicazione di massima relativa alla durata del prodotto, riconoscibile dalla frase “da consumarsi preferibilmente entro il…” seguita dall’indicazione del giorno e del mese, oppure dal mese e dall’anno o solamente dall’anno.
In altre parole sugli scaffali dei supermercati greci da qualche giorno si trovano: scatole di pasta, pelati, scatolame, bevande, succhi di frutta, marmellate, caffè, olio… venduti a prezzo dimezzato o ridotto di 2/3 perché l’intervallo suggerito per il consumo è trascorso da qualche giorno o settimana. Questa scelta è in linea con la normativa europea, visto che il regolamento UE 1169/11 (come già la direttiva 2000/13/CE e prima ancora la direttiva 1979/112/CEE) vieta la vendita dei soli prodotti soggetti a data di scadenza – ovvero alimenti rapidamente deteriorabili dal punto di vista microbiologico come latte fresco, ricotta, pasta fresca… – a decorrere dal giorno successivo a quello indicato sull’etichetta.
Il divieto europeo non riguarda quindi gli alimenti presi in considerazione dal provvedimento greco che riportano invece il termine minimo di conservazione (Tmc). Si tratta infatti di prodotti per i quali il superamento della durata indicata sull’etichetta non è di per sé associato a un rischio alimentare. A supporto di questa tesi va ricordato che resta un dovere assoluto per tutti gli operatori della filiera, immettere sul mercato alimenti rigorosamente sicuri, come previsto dall’articolo 14 del regolamento CE n. 178/02. La normativa greca fissa anche l’intervallo massimo della vendita posticipata: sette giorni quando il termine minimo di conservazione (Tmc) indica giorno e mese; un mese quando la confezione riporta mese e anno e infine tre mesi quando compare solo l’anno.
Si tratta di deroghe comprensibili che Il Fatto Alimentare ha preso in esame in diversi articoli realizzati con il supporto di specialisti, evidenziando la concreta possibilità di derogare al Tmc. Da un punto di vista chimico, il superamento della data sulla confezione indica che gli alimenti registrano un lento decadimento nutrizionale e organolettico, pur restando assolutamente commestibili. Non siamo quindi di fronte ad un illecito e incauto provvedimento, ma di una decisione di buon senso per lottare contro gli sprechi e per venire incontro a persone in difficoltà. Operazioni non dissimili sono adottate ogni giorno da numerosi supermercati italiani, che cedono gratuitamente alle Onlus attive nel sociale, prodotti freschi in scadenza e prodotti che hanno perso valore commerciale avendo superato il termine minimo di conservazione. L’alternativa del resto è il ritiro dei lotti da parte delle aziende e lo smaltimento in discarica, oppure il disimballo e la destinazione a cibo per allevamenti.
Il provvedimenti greci implicano però un risvolto sociale che lascia l’amaro in bocca. Molti cittadini compreranno i prodotti scontati non per scelta ma per necessità e questo aspetto lede un pò la dignità delle persone. È lecito chiedersi perché le catene di supermercati greche, non trovano un modo per distribuire gratuitamente le confezioni invendute ai consumatori in difficoltà.
Roberto La Pira e Dario Dongo
(*) Per quanto riguarda salumi e insaccati confezionati e pasta fresca, il produttore può scegliere se inserire la data di scadenza o il Tmc.
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Saranno anche commestibili,ma far pagare anche se a metà prezzo,prodotti che hanno un decadimento nutrizionale,mi sembra vergognoso,soprattutto perchè saranno acquistati approfittando della disperazione di molte persone.